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Sindbad e i tesori omaniti

Posted by Simona Maggiorelli su luglio 15, 2012

Dall’antico porto di Sumhuram partivano incenso, reaffinate ceramiche e sculture. Campagne di scavo dell’Università di Pisa portano nuove conoscenze sulla storia di questa cosmopolita area dell’Arabia Felix

 

di Simona Maggiorelli

 

Oman, cammelli attraversano una laguna in Salalah-Dhofar

Sulle orme di Sindbad il marinaio, l’anti Ulisse per eccellenza, che diversamente dal fedele marito di Penelope, cedeva alla bellezza femminile in ogni porto. (Salvo poi darsela a gambe se le usanze locali prevedevano che gli sposi fossero sepolti insieme qualora uno dei due morisse)

Di Sindbad, come è noto, narrano le Mille e una notte, immaginando che, partito da Bassora, come tanti marinai delle epoche più antiche, il  leggendario marinaio  fosse arrivato alla costa più meridionale della penisola araba e da lì salpato alla conquista dei sette mari, lungo le rotte che secoli dopo sarebbero state di Marco Polo.

Da sempre legato alla tradizione alla navigazione e alla vita portuale l’Oman, che nei testi mesopotamici era indicato come Magan, è la punta estrema di quella che fu l’Arabia Felix come la chiamavano i romani che da queste terre, soprattutto in età augustea, importavano incenso pregiato per profumare case e cerimonie pubbliche. Ma l’eudàimon Arabia (come la chiamò Alessandro per non averla conquistata) era anche il punto di partenza delle carovane di mirra, spezie e altri prodotti che da queste terre raggiungevano Roma, la Grecia e oltre.

Dal fiorente e cosmopolita porto di Sumhuram, nell’area di Khor Rori, oggi patrimonio Unesco, ne partivano quantità ingenti anche verso l’India e la lontana Cina, insieme a ceramiche decorate, incensieri scolpiti, spade e amuleti in forma di serpentelli e atri oggetti in metallo  dal momento che la regione omanita è ricca di miniere sfruttate fin dal III millennio a.C.

Raffigurazione di serpente, Salut

Qui per quindici anni, dal 1997 a oggi, un team di archeologi italiani guidati dall’orientalista Alessandra Avanzini dell’Università di Pisa ha condotto un’ampia campagna di scavo allargandosi fino fortezza di Salut. Gli importanti reperti portati alla luce sono stati esposti, fino a lo scorso 7 luglio, nel Museo nazionale di San Matteo nella mostra Oman, il paese di Sindbad il marinaio.

Nel 1996 quando Avanzini vide per la prima volta il sito di Khor Rori, nel Dhofar, intuì che lo studio di questo sito avrebbe potuto portare nuove conoscenze alla storia dei commerci nell’antichità. E con coraggio, quando ancora, il sultanato omanita era trascurato dalle campagne archeologiche che si fermavano nel sud dello Yemen, avviò i primi scavi sistematici.

Le scoperte sono state sorprendenti come siè potuto  vedere anche nella esposizione pisana dove erano esposti raffinati oggetti in pietra e in bronzo come il bacile, trovato nel tempio più importante di Sumhuram: di datazione incerta, fra il II e il I secolo a.C., come molti altri reperti scavati in questa zona sfoggia un’iscrizione a rilievo in elegante alfabeto sudarabico, mentre dei chiodini sul fondo documentano anche antiche operazioni di restauro.

Incisioni rupestri, Oman

Insieme al bacile altri oggetti e frammenti confermano che la pratica delle iscrizioni in geometrico e stilizzato alfabeto sudarabico era diffusa in Yemen come in Oman, dove le prime iscrizioni sono attestate dall’inizio del primo millennio a. C. In un arco di tempo che arriva al VI secolo d.C.  se ne contano più di quindicimila, incise sulle pareti delle montagne, sulle mura della città, su stele e statue.

da left- avvenimenti

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Il coraggio di Sana’a

Posted by Simona Maggiorelli su giugno 24, 2011

di Simona Maggiorelli

Sana'a

Sono in contatto con scrittori yemeniti e insegnanti dell’Università di Sana’a, via internet. Ma in questi giorni non sempre riusciamo a mantenere un filo di comunicazione, per quanto esile. Tutti i nostri studenti che erano là sono rientrati. Anche l’ambasciatore italiano non è più nella capitale yemenita perché la situazione nel Paese è davvero difficile, a rischio guerra civile». E’ accorata la voce di Isabella Camera d’Afflitto quando parla di quanto sta accadendo in Yemen, paese amatissimo, in cui l’arabista della Facoltà di Studi Orientali di Roma, negli anni, è tornata spesso, per studi e ricerche. Con libri come Perle dello Yemen (Jouvence) e Storia della letteratura araba contemporanea (Carocci), Camera d’Afllito ha avuto il merito di far conoscere anche in Italia il vivacissimo panorama letterario di quella che fu l’Arabia Felix. Un lavoro che ora prosegue con un importante volume a più mani Lo Yemen raccontato dalle scrittrici e dagli scrittori da poco uscito per i tipi di Editrice Orentalia.
Professoressa che direzione ha preso la rivolta yemenita dopo la feroce repressione ordinata dal presidente  Saleh e il suo ferimento?
La rivolta in Yemen è partita, proprio come negli altri Paesi arabi, dai giovani, di ogni classe, non solo intellettuali. Anche lo Yemen ha avuto la sua piazza Tahrir, la sua piazza della libertà, che a Sana’a si chiama piazza del cambiamento. Ma se la richiesta di democrazia è partita dai  ragazzi poi è stata “monopolizzata” dai capi tribù che chiedono al governo centrale di Sana’a  il riconoscimento di alcuni diritti  fondamentali  ma anche infrastrutture e ospedali nei villaggi. Parliamo di zone dello Yemen dove vivono i beduini, aree poverissime, di cui i media si occupano solo quando ci sono dei rapimenti. Un mezzo ricattatorio a cui i capi tribù ricorrono proprio per accendere l’attenzione del Governo. In genere senza altri intenti. Chiedono giustizia perché le forze dell’ordine yemenite proteggono  e riconoscono solo i clan vicini al presidente Saleh.
In  Yemen le donne sono solo presenze velate sulla scena pubblica.  Ma loro voce si è fatta sentire nella protesta…
Nell’ambito di una rivolta studentesca che è stata forte e netta, la presenza femminile ha assunto un grande significato. Ho raccolto la testimonianza di quattro scrittrici, che sono diventate delle “eroine” per il coraggio che hanno avuto di scendere in piazza. Arwa Abduh Uthmàn (classe 1965) è una di queste, lavora come ricercatrice presso il Centro di Studi Yemeniti e da tempo porta avanti una sua battaglia anche rifiutandosi di indossare il velo. Per questo è stata  duramente attaccata dagli integralisti. Per scrittrici come Arwa  è una doppia rivolta: al fianco degli studenti e contro chi vorrebbe rimandarle di nuovo in casa.
Nelle opere di scrittori yemeniti di differenti generazioni traspare una forte consapevolezza riguardo alla “questione femminile”. L’emancipazione delle donne nei loro romanzi simboleggia la liberazione del Paese?
E’ proprio così. La letteratura non è affatto marginale se vuole capire il presente. Offre una porta speciale per entrare nella realtà di certe regioni, più di un libro di storia, che aridamente ripercorre i fatti. E qui ne abbiamo la riprova. La centralità della questione femminile in Yemen è segnalata in primis dagli scrittori. E da scrittici laureate, con un dottorato,  ma figlie di donne analfabete e, anche attraverso il romanzo, cercano di elaborare questo epocale iato. In Yemen le donne lavorano, fanno ricerca, guidano la macchina. Alcune sono divorziate e in prima linea nelle battaglie per poter tenere con sé i figli. Altre si battono contro la piaga delle spose bambine. Ci sono donne avvocato che difendono i diritti di queste giovanissime fuggite da situazioni di segregazione, ragazzine che si sono viste negare l’infanzia e l’adolescenza.
ll codice di famiglia, dopo la riunificazione del Paese, ha segnato un passo indietro riguardo ai diritti delle donne. Paradossalmente queste giovani si trovano oggi a rifare battaglie che le generazioni precedenti avevano già fatto nello Yemen del Sud?
Il Sud, che era sotto l’ala sovietica, aveva una legislazione più avanzata per quanto riguarda i diritti civili delle donne. Poi con la riunificazione, lo Yemen ha risentito dell’arretratezza delle regioni del Nord finite sotto l’ala saudita. Un fatto macroscopico è la pratica diffusa di masticare il qat (un vegetale dagli effetti narcotici ndr). Nello Yemen sovietico era andato quasi in disuso, mentre oggi è una piaga sociale diffusissima. Ma c’è anche un altro fatto evidente: nello Yemen sovietico non si vedevano quasi più donne velate. Guardando le foto di Aden degli anni Cinquanta  e Sessanta sembra quasi un’altra città rispetto ad oggi.
Tornando alla letteratura, che tipo di lingua araba è quella  dei nuovi scrittori yemeniti?
L’arabo yemenita è quello classico. Per l’isolamento in cui il Paese ha vissuto a lungo, la lingua e la letteratura si sono molto preservate. Non sono andate incontro a quel certo “decadimento” e impoverimento, che invece ha subito la lingua in altre aree del mondo arabo. Inoltre in Yemen la letteratura russa – quella dei grandi autori come Dostoevskij – ha esercitato una forte influenza.  Molti autori giovani ancora oggi sono “impregnati” di classici russi. Ma va detto anche che la letteratura yemenita, per quanto vanti una tradizione antichissima, è stata a lungo respinta ai margini dal resto dei Paesi arabi. Solo di recente si segnala una  apertura, come se gli arabi stessi si fossero finalmente resi conto della presenza letteraria yemenita e della sua importanza. Prima guardavano con sospetto verso tutto ciò che veniva dalle popolazioni yemenite ritenute ingiustamente retrograde, religiose, bacchettone. Anche dentro il mondo arabo , che al suo interno è percorso da forti differenze, esistono visioni stereotipate e pregiudizi.
Fra i temi che percorrono la letteratura yemenita quello dell’emigrazione e della durezza dell’esilio è molto presente.
Molti yemeniti sono venuti in Europa, ma tanti  sono finiti a lavorare come schiavi in Arabia Saudita. E questo ha determinato il fenomeno delle donne che, rimaste sole, sono messe sotto tutela  dalla famiglie del marito. Poi magari il marito torna in Yemen con un’altra moglie… Un realtà  denunciata nei libri di molte scrittrici yemenite.
Colpisce il fatto che le scrittrici che affrontano questo tipo di tematiche siano anche molto critiche verso il femminismo occidentale: rivendicano di voler fare una rivolta con gli uomini.
Non crediate di aver inventato voi che il femminismo, ci dicono indirettamente. “Certo per noi è più difficile metterlo in atto, ma – avvertono – non crediate che non abbiamo idee”. Nella stessa città di Sana’a ci sono più associazioni che difendono i diritti delle donne, non una sola. Ognuna con una propria identità e in lotta con le altre. C’è quella governativa, quella indipendente, quella di opposizione. C’è anche un dipartimento di studi di genere all’Università nella capitale. Ad unire questa miriade di associazioni è la lotta contro la tradizione del clan familiare che in Yemen è ancora molto forte… In questi giorni quando in tv vedo la città di Sana’a in fiamme, mi si stringe il cuore, penso agli sforzi immani che una parte viva della società stava facendo per uscire dal medioevo. Spero  non siano vanificati dalla repressione militare.
Lo Yemen viene dipinto dai media come  un Paese tout court  fondamentalista. Cellule di Al-Qaeda, con sostegno saudita si sono annidate in alcune zone desertiche del Paese. Ma chiunque abbia viaggiato in questo bellissimo Paese difficilmente dimentica il calore umano e l’attenzione che si incontra per strada, anche nei villaggi più isolati. Come legge questa discrasia?
Personalmente, in tanti anni di viaggi  in Yemen, ho trovato grande apertura , interesse verso l’altro , accoglienza verso gli stranieri; quello yemenita è una popolo straordinario. Ci vorrebbe un governo che lo aiutasse davvero ad uscire dalla povertà e dalla fame. Intanto è cresciuta una classe di intellettuali che lavora per un cambiamento culturale. Per averne un’idea basta vedere la ricognizione  che ha fatto  Francesco De Angelis sulla “rivoluzione” yemenita letta attraverso i bloggers. Chi voglia continuare la ricerca può trovarlo on line sulla rivista ww.arablit.it.

IL LIBRO

Forti di una tradizione antichissima di poesia e letteratura , gli scrittori yemeniti di oggi sperimentano a 360 gradi fra i generi letterari, spaziando dal romanzo dalla forte impronta politica e sociale, all’avanguardia letteraria, alla fantascienza. Offre un viaggio in questo interessante panorama in continua evoluzione  la raccolta di saggi Lo Yemen raccontato dalle scrittrici e agli scrittori curata da Isabella Camera d’Afflitto e pubblicato da Editrice Orientalia. In un paese come lo Yemen in cui il 41,8 % della popolazione vive sotto la soglia della povertà (2 dollari al giorno) ed è ancora  altissimo  il tasso di analfabetismo, la letteratura, specie quella engagé, sta conoscendo una straordinaria fioritura. Al centro il tema dell’emigrazione, dell’esilio, ma anche e soprattutto il  superamento del tribalismo e la lotta per una maggiore democrazia. Ma tema forte è anche l’emancipazione della donna in un  Paese dove oltre il 50% delle spose ha meno di 15 anni.

dal settimanale left-avvenimenti

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Il vero volto della regina di Saba

Posted by Simona Maggiorelli su marzo 10, 2009

img2-da-scontla regina di Saba secondo Moreau

in alto sculture yemenite III millennio a.C

Donna di leggendaria bellezza secondo la cultura araba preislamica.

La tradizione ebraico-cristiana la degradò a demone dal piede caprino.

di Simona Maggiorelli

Una lunghissima e feroce storia di alterazione dell’immagine perseguita la Regina di Saba: donna di leggendaria bellezza e sapienza secondo la cultura preislamica araba, che la tradizione ebraico-cristiana degradò a demone dal piede caprino. Mentre i Vangeli di Matteo e Luca ne fecero addirittura un’astratta allegoria della Chiesa in cerca di Cristo. Una storia feroce e millenaria, più subdola di una damnatio memorie. Tanto che se ne possono ancora cogliere segni nella mostra veneziana Nigra sum sed formosa che, presentando in Ca’ Foscari reperti archeologici e testi antichi provenienti dall’Etiopia, ascrive tout court la regina di Saba alla tradizione copta, facendone la “madre santa” della stirpe salomonide che sarebbe arrivata fino al Negus.
«Di lei non sappiamo con piena certezza né il nome né l’epoca in cui visse, anche se la comunità scientifica oggi è concorde nel dire che la leggendaria regina di Saba sia esistita davvero» scrive Daniela Magnetti nel volume La regina di Saba, arte e leggenda dallo Yemen (Electa). Conosciuta come Bilqis in Yemen, Makeda in Etiopia e Nikaulis in Palestina, gli storici collocano il regno della regina di Saba in quell’Arabia felix che i Romani tentarono invano di conquistare; e più precisamente in quella città di Marib, che nel Nord dello Yemen fu abbandonata intorno al 570 d. C, dopo il crollo della diga che la preservava dal deserto. Non a caso nelle storie della tradizione orale yemenita Bilqis è la regina adoratrice del Sole, signora di una terra fertile di giardini e fontane. E un autorevole studioso come Alessandro de Maigret oggi conferma: “In base alle campagne di scavo, condotte fin dal 1980 in Yemen, si può datare il regno di Saba al decimo secolo avanti Cristo”: la regina Bilqis, spiega l’archeologo italiano, probabilmente favorì la trasformazione dell’altopiano in terre fertili grazie a complessi sistemi di irrigazione.
Oggi dell’antichissima città di Marib dove sorgeva il palazzo reale dei sabei non restano che suggestivi ruderi. Una città fantasma alle soglie del deserto, terra di beduini ma anche, purtroppo, di sequestri di turisti. Per percorrere i 120 km che separano la capitale Sana’a da Marib serve la scorta di militari armati e un faticoso percorso a tappe fra i posti di blocco. Anche per questo, forse, vedere d’un tratto le svettanti colonne del tempio del Sole, su cui si arrampicano ragazzini che sembrano usciti dal nulla, è un’emozione che difficilmente si dimentica.

Ed è qui, in uno dei due templi della regina di Saba che Omar, un po’ guida un po’ cantastorie della tradizione yemenita, ci ha fatto conoscere la storia di Bilqis secondo una delle versioni islamiche più suggestive, quella di Ta’labi, commentatore del Corano, vissuto intorno al 1053. Come nelle storie tramandate oralmente dai beduini, la sua Bilqis nasce dalle nozze del re Hadhad con la figlia del re dei Jiinn, che nelle credenze arabe popolari erano creature dai poteri soprannaturali. Secondo questa versione l’incontro fra la regina e Salomone sarebbe stato un gioco di inviti attraverso un upupa messaggera e di seduzioni da parte della bella regina. Ma, diversamente da quanto racconta la Bibbia, per la tradizione araba, quello fra Bilqis e Salomone sarebbe stato un confronto alto fra due diverse identità e due diverse culture e sapienze. “Bilquis – racconta il nostro Omar sulla scorta di Ta’labi – sfidò la sapienza leggendaria di Salomone, il re di Gerusalemme,mettendosi in viaggio verso la sua reggia con una carovana di cammelli che portavano oro, pietre preziose e gioielli poi donati al re da ragazzi vestiti come fanciulle e viceversa. Ma – avverte Omar – c’era un enigma che, agli occhi di Bilqis, Salomone doveva sapere sciogliere: per raggiungere il suo cuore doveva distinguere le ancelle femmine dai maschi, forare una splendida perla e infilare un fio d’oro nella conchiglia». Una storia che avrebbe affascinato nei secoli poeti e artisti, non solo nei Paesi arabi. Anche in Occidente. Basta pensare ai ritratti della regina di Saba che ci hanno lasciato pittori come Piero della Francesca, Tintoretto e Moreau (nella foto in basso) . «Una vicenda affascinante- conclude de Maigret – anche se sul piano della storia quell’incontro probabilmente non avvenne mai dal momento che il regno del re di Gerusalemme fu tra 961 e il 922 a.C ,mentre quello della regina di Saba fu assai più antico».

da left-Avvenimenti del 3 aprile 2009

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