Nonostante il via libera dell’Aifa alla pillola Ru486, il governatore regionale, Renata Polverini, vara autonome linee guida per la sua somministrazione. Intanto con una proposta di legge regionale si vuole imporre per legge la difesa del diritto alla “vita” nei consultori
di Simona Maggiorelli
«Le donne hanno atteso a lungo un farmaco che le facesse abortire in modo insieme sicuro e privo di effetti collaterali, per fortuna è arrivato il mifepristone». Con queste parole lo studioso americano Adam Schaff ha siglato un’importante ricerca sul farmaco abortivo pubblicata sulla rivista scientifica Contraception. Lo ricorda il ginecologo Carlo Flamigni a incipit del suo Ru486, non tutte le streghe sono state bruciate (L’asino d’oro edizioni) scritto con Corrado Melega. Un libro di cui left si è già occupato e che qui non esitiamo a riproporre. Non solo per l’autorevolezza dei due autori ma anche per il suo significato politico e civile nel fare piazza pulita delle molte fandonie che si ascoltano nel nostro Paese su questo farmaco. Anche da componenti del governo Berlusconi. A cominciare dalla sottosegrataria alla Bioetica, Eugenia Roccella.
Ma proprio interventi ideologici come quelli di Roccella che non ha esitato a parlare di «kill pill» per indicare la Ru486 e a usare altre definizioni che poco si attagliano a una pillola validata dall’Oms e dalla comunità scientifica internazionale. Ma fare terrorismo e ostruzionismo per impedire che le donne possano abortire senza dolore e senza sentirsi dare delle assassine sembra la priorità di un centrodestra genuflesso ai diktat vaticani. Nonostante la legge 194. Trovando illegalmente i modi per disapplicarla. E in scia con tutto questo il governatore regionale Renata Polverini ha varato le linee guida della Regione Lazio per la somministrazione della Ru486 in regime ospedaliero. Chiedendo a ciascuna struttura di mettere a disposizione due posti letto per casi di aborto farmacologico.
Un provvedimento che la ginecologa Mirella Parachini dell’ospedale San Filippo Neri e dirigente dell’Associazione Luca Coscioni non esita a definire «schizofrenico», in un momento di tagli alla sanità come questo. «Tenere fermi dei letti per interventi che sarebbero da day hospital è un controsenso – spiega – specie quando non ce ne sono abbastanza per chi ha patologie ginecologiche da ricovero». Intanto nelle settimane scorse una signora che ha scelto la Ru486 per abortire, dopo essersi rivolta all’ospedale Grassi di Ostia, ha dovuto attendere i tempi che richiede l’acquisto ad personam del farmaco, secondo la procedura usata prima che l’Aifa desse il via libera alla commercializzazione. Le linee guida non erano ancora state varate e nessuno, di fatto, si è preso la responsabilità di somministrare la Ru486. «Come è possibile che la classe medica non possa usare farmaci registrati?» si domanda indignata la ginecologa Parachini.
E la marcia contro la 194, nel Lazio, avanza ancora. Anche con quattro firme del maggior partito di opposizione, il Pd. Figurano sulla proposta di legge regionale presentata da Olimpia Tarzia di Scienza e vita. Una norma che propone di ristrutturare i consultori, aprendo a quelli privati d’impostazione religiosa per difendere valori etici (quali?) e il diritto alla vita del figlio concepito, «già considerato membro della famiglia». Purtroppo l’equiparazione che la legge 40 stabilisce fra embrione e persona ha fatto scuola. Qui, in barba a ogni evidenza scientifica, l’embrione o feto che sia, viene detto «figlio» e «membro della famiglia». Il tentativo è di riportare il Paese nella condizione di arretratezza e di mancanza di diritti in cui si trovava prima di conquiste civili fondamentali come la legge 194 che liberò le donne dai ferri delle mammane.
da left-avvenimenti del 25 giugno 2010