Marcel Duchamp

Marcel Duchamp

Cent’anni fa Marcel Duchamp (1887-1968) lanciò la moda del packaging dell’arte, realizzando i primi ready made, in serie limitata e super griffati. Nell’epoca della fotografia e della riproducibilità tecnica dell’opera d’arte, Duchamp aveva capito che per avere successo bisognava farsi mercante di aura. Molto prima dell’avvento della società dei consumi che rendeva l’arte un fenomeno di massa, aveva “intuito” che poteva essere il contesto in cui un oggetto veniva inserito a conferirgli un significato diverso da quello legato alla sua funzionalità.

Così un orinatoio sottratto all’uso quotidiano ed esposto in un museo, dal suo punto di vista, diventava immediatamente scultura. Oppure era un violento corto circuito di senso, un accostamento straniante come un ombrello su un tavolo anatomico (per dirla con Lautréamont) a rendere una comunicazione ipnotica e spiazzante, mettendo in crisi ogni categoria consolidata. Questa vena dadaista e sottilmente iconoclasta di Duchamp torna a concretizzarsi ora in una giostra di fantasmagorie nelle sale della Gnam, la galleria  nazionale di arte moderna a Roma diretta dal 1942 al 1975 da Palma Bucarelli, che fu tra i primi storici dell’arte italiani a interessarsi a questo sfuggente artista francese che fu sodale di André Breton e di Man Ray nell’avventura surrealista.

Un elemento interessante che emerge con chiarezza da questa mostra romana intitolata Duchamp re-made in Italy (aperta fino al 9 febbraio, catalogo Electa) è che da noi la diffusione del “Duchamp-pensiero” incontrò molte resistenze. Tanto che il surrealista francese ebbe le sue prime mostre personali nella penisola solo negli anni Sessanta, per altro con tiepida o del tutto assente attenzione da parte dei giornali. La prima delle due esposizioni fu organizzata a Milano alla Galleria Schwarz nel 1964, la seconda a Roma nello Spazio del designer Gavina in via Condotti, un anno dopo. Con un elegante allestimento curato da Carlo Scarpa, di cui restano solo alcuni scatti fotografici e che ora è stato ricostruito filologicamente alla Gnam, dove il percorso espositivo si snoda dalle opere grafiche ai ready made, dai disegni preparatori del Grande vetro ai primi esperimenti cinematografici, fino a un’opera-giocattolo come la Boîte-en-valise numero 3: una valigia in pelle firmata Louis Vitton piena di quadri di Duchamp e di altri artisti in versione miniaturizzata. Merito dei curatori (Stefano Cecchetto, Giovanna Coltelli e Marcella Cossu) di questa mostra organizzata per i cent’anni del primo ready made duchampiano (la ruota di bicicletta del 1913) non è solo quello di aver riordinato e studiato approfonditamente la settantina di opere di Duchamp donate da Arturo Schwarz alla Gnam nel 1997, ma anche – come accennavamo – quello di aver documentato la tardiva diffusione della “poetica”surrealista in Italia.Poetica della bizzarria, dello spaesamento, di esaltazione del caos che fu riscoperta da intellettuali e artisti pre e post sessantottini. Come documenta una sezione di questa retrospettiva dedicata ad opere di Baruchello, Patella, Dangelo e Baj, che ripropongono le trovate di Duchamp in versione nostrana. (Simona Maggiorelli)

dal settimanale left-Avvenimenti