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Ignazio Marino: Le persone vogliono una legge sul testamento biologico

Pubblicato da: Simona Maggiorelli su febbraio 20, 2009

Un sondaggio Eurispes rivela che l’ottanta per cento degli italiani è a favore del testamento biologico. Ma i parlamentari sembrano un gruppo di sordi, che se ne stanno chiusi nel Palazzo di Simona Maggiorelli

Nella scorsa legislatura, come presidente della commissione Sanità del Senato, si è battuto con tutte le forze perché anche in Italia, come negli altri Paesi, ci fosse una legge sul testamento biologico. La triste sorpresa è stato vedere che la proposta di ampia mediazione del senatore e chirurgo diessino è stata “boiccottata”, non solo da esponenti del centrodestra, ma anche da parlamentari di area Partito democratico. Ma il professore non si è arreso e dai banchi dell’opposizione rilancia un disegno di legge che sussume le precedenti proposte. Lo abbiamo incontrato per capire meglio di che si tratta.
Il caso Englaro rende ancora più chiaro quanto sia necessaria una legge?
È importante riconoscere l’esistenza di situazioni personali come quella di Eluana, ma il mio obiettivo come medico e legislatore è cercare di arrivare a una legge che rappresenti la sensibilità dei cittadini, al di là delle singole situazioni drammatiche.
Da medico come descrive la situazione di Eluana?
È la condizione di una persona che dopo un grave incidente d’auto si trova in stato vegetativo permanente. Ha avuto un periodo di coma di alcuni mesi, il che già significa che le possibilità concrete di recupero dell’integrità intellettiva sono praticamente inesistenti. Inoltre sono già 16 anni che è in stato vegetativo permanente. Non esiste nella letteratura scientifica internazionale nessuna persona che abbia recuperato l’integrità intellettiva dopo così tanto tempo. Sul piano della legge e della bioetica, in questi giorni è stato detto molto per disorientare il cittadino: la vera centralità della questione non è “staccare o meno la spina”. Il punto è: come esseri umani abbiano il diritto, rispetto alle tecnologie esistenti, di indicare le terapie a cui vogliamo sottoporci e quelle che rifiutiamo? C’è un diritto riconosciuto in tutti i Paesi: io posso dire no a un trapianto di cuore. Posso dire preferisco avviarmi al percorso che mi porterà alla morte. Quello non è suicidio, non è eutanasia, è un percorso naturale. Allora se io quel percorso lo posso accettare oggi che sono in grado di ragionare e comunicare, perché non posso lasciare delle indicazioni per quando, supponiamo, non fossi più cosciente? Personalmente se mi trovassi in certe condizioni non vorrei che le terapie fossero proseguite. L’ho scritto nel testamento biologico che ho fatto negli Usa dove ho vissuto per 18 anni. Serve una legge per dare indicazioni sulle terapie che voglio e non voglio ricevere, in positivo e in negativo.
Per questo c’è l’articolo 32 della Costituzione.
Ecco, questa legge sul testamento biologico dovrebbe servire a estendere al momento in cui non mi potrò esprimere i diritti garantiti dall’articolo 32. È davvero molto semplice. Quando negli anni Quaranta i padri costituenti lo hanno stilato non potevano neanche immaginare che un giorno ci sarebbero state tecniche in grado di mantenere in vita persone in gravi condizioni, anche per anni. All’epoca erano appena arrivati gli antibiotici, come si poteva immaginare una cosa simile quando si moriva di polmonite? Oggi dobbiamo decidere se la tecnologia è un obbligo. Chi lo deve stabilire? Lo Stato, la religione, la cultura, il Parlamento, un medico, o il cittadino? Io credo quest’ultimo.
C’è stata una particolare violenza sul pensiero di Eluana, un accanimento contro ciò che diceva quando stava bene.
Ho incontrato il padre, Beppino, sono andato in ospedale, è evidente che ci sia bisogno di una legge. La situazione di Eluana è stata molto difficile. Se ci fosse stata una legge avrebbe potuto scrivere le sue scelte. In una situazione di vuoto legislativo, invece, i tribunali hanno agito seguendo le norme esistenti, secondo l’indirizzo che sembrava più logico ai magistrati. Penso che tutta questa fase debba essere superata con una legge. Del resto, già il presidente della Consulta, diversi magistrati, molti medici e gli stessi cittadini si sono espressi in questo senso. Un sondaggio Eurispes rivela che oltre l’ottanta per cento degli italiani è favorevole a una legge. Sembra quasi di vedere parlamentari sordi, chiusi nel Palazzo.
In questa legislatura sarà discussa la sua proposta?
Il mio disegno di legge ha già la firma di molte decine di senatrici e senatori del Pd. È il frutto di riflessioni sul disegno di legge che avevo presentato la scorsa legislatura e che ho ampliato ascoltando tutti, anche coloro che mi segnalavano l’importanza di riflettere sulla malattia nel suo insieme, non solo pensando agli aspetti formali della fine della vita. Così mi sono occupato di malattia terminale, di cure palliative, della necessità di distribuire meglio gli hospice sul territorio. Adesso ne abbiamo circa 103 al Nord su un totale di 130. Solo 17 sono nel Sud. Ma il Nord ha una popolazione di 25 milioni di abitanti e il Sud di 22 milioni. Infine c’è un capitolo dedicato alle terapie per il dolore. Nel nostro Paese c’è una grande difficoltà nel somministrare i farmaci anti dolore: 5 milioni di italiani soffrono di dolore cronico. La loro qualità di vita è molto ridotta a causa di cure inadeguate.
Più di cento medici hanno scritto al ministro Maurizio Sacconi perché si torni a discutere di terapie intensive e accanimento terapeutico sui prematuri, che ne pensa?
Credo che ci sia un confine molto sottile tra l’assistenza e l’interruzione delle terapie. Lo dico da medico che ha avuto a che fare con molti casi di trapianto d’organo. Penso che all’inizio della vita non si possa decidere per regolamenti. Si deve risolvere questo problema del confine sottilissimo: se il neonato non ha molte possibilità, c’è accanimento. Ci sono casi molto rari di sopravvivenza dei cosiddetti grandi prematuri. Ma quelle situazioni vanno approfondite tra famiglia e specialisti in grado di dare delle indicazioni prognostiche ai genitori. Non compete solo al rianimatore o al neonatologo, ma anche al genetista, al pediatra, al neurologo. Ci vuole un approccio collegiale che porti a definire se in quella circostanza sia il caso di proseguire le cure oppure se ci sia solo accanimento sul prematuro. Bisogna cercare di migliorare il suo stato.
Parlare di questioni eticamente sensibili invece che di diritti può essere un controsenso con temi simili?
Credo che sia sbagliato parlare di temi eticamente sensibili in questi casi. Per me legiferare sulle armi, la guerra, ma anche il fumo potrebbero essere temi eticamente sensibili. Invece le decisioni sulla nostra vita sono diritti civili. Dopo la rivoluzione francese in molti li chiamano così.
Una Ue dei diritti civili, non solo delle merci?
È auspicabile ma molto improbabile, ci sono Paesi come l’Inghilterra che, per cultura, vogliono essere liberi di seguire un proprio percorso. Negli ultimi anni hanno fondato degli organismi che stabiliscono le linee della ricerca da portare avanti, peraltro molto democratici perché prevedono la consultazione popolare, che permettere di procedere in una direzione piuttosto che in un’altra. Ma non mi sembra che gli inglesi stiano dimostrando interesse a un percorso condiviso con il resto dell’Ue.
In Italia non c’è più un ministero della Salute, ma ci sono due sottosegretari preposti a due leggi, la 40 e la 194.
Al Consiglio dei ministri, luogo supremo dove riportare gli interessi dei cittadini, partecipano soltanto i ministri, i sottosegretari non entrano e non votano. Questo significa che il premier Berlusconi sceglie le aree strategiche. In tutto 12, tra queste può metterci le riforme, la semplificazione, le pari opportunità, oppure la sanità. È evidente che si ha la percezione che ministeri come quello della Semplificazione o, mettiamo, dei Rapporti con il Parlamento siano più importanti delle divisioni dove si curano i tumori.
Left 29 del 18 luglio 2008

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Mi manda il Vaticano

Pubblicato da: Simona Maggiorelli su gennaio 1, 2006

Avvenimenti, 10.01.06

Francesco Rutelli, l’antizapatero: una proposta di legge perché l’Italia, unica in Europa, investa solo sulle cellule staminali adulte

di Simona Maggiorelli

Non promette molto di buono la fusione di Ds e Margherita in partito unico. Di certo, non sul fronte della libertà di ricerca e dei diritti delle donne. Il primo parto del nuovo organismo politico a due teste c’è già: è la proposta di legge per il finanziamento della ricerca sulle cellule staminali adulte presentata da Francesco Rutelli e firmata da esponenti di primo piano della Margherita, (da Castagnetti a Fioroni, a Bianchi) e dei Ds, con l’aggiunta dell’Udeur. E con la benedizione del ministro Buttiglione. Che ha commentato: «Mi auguro che la proposta di Rutelli significhi anche un impegno, suo e della Margherita, a sostegno della posizione del governo Berlusconi che al Parlamento europeo si batte perché la ricerca sulle staminali embrionali non venga sostenuta». Una solitaria battaglia in cui l’Italia si è già guadagnata una non molto onorevole medaglia, quando il viceministro per la ricerca, Guido Possa, unico fra sedici colleghi europei, votò per bloccare i finanziamenti alla ricerca. Ora, Rutelli, non solo si pone in questa scia, con una proposta di legge che mette al bando la ricerca sulle embrionali (più rigidamente di quanto già fa la legge 40), ma come presidente di Dl dà mandato a una commissione di bioetica guidata dal cattolico Adriano Ossicini per futuri interventi su genoma, consenso informato e trapianti da animali. «Abbiamo chiesto alla commissione – ha detto Rutelli – che ci aiuti a preparare il terreno perché le grandi sfide della scienza del XXI secolo vengano governate in anticipo dalla politica»; specificando anche che si trattava di «onorare un impegno preso ai tempi del referendum sulla fecondazione».

Così, facendo spallucce ai pareri della comunità scientifica internazionale e infischiandosene di aver imboccato la strada politicamente opposta a quella dei governi Blair e Zapatero, Francesco Rutelli propone per la prossima legislatura una norma che mette al bando anche la ricerca sulle linee staminali embrionali importate dall’estero (cosa che la legge 40 non fa), stanziando un unico blocco di 16 milioni di euro per la ricerca sulle staminali adulte e per un’informazione ai cittadini che riguardi esclusivamente questo settore.

Nel frattempo, invece, in Inghilterra, in Belgio e in altri paesi all’avanguardia nella ricerca s’investe sempre più in ricerca sulle staminali embrionali e si apre sempre di più il campo della clonazione terapeutica. La regione autonoma dell’Andalusia si è aggiunta a questo gruppo la settimana scorsa, anticipando la discussione del governo spagnolo in programma a febbraio. È stata la stessa ministra della Sanità andalusa, Maria Jesus Montero, che Avvenimenti aveva incontrato a Bruxelles, ad annunciare lo stanziamento di fondi per la clonazione terapeutica: tecnica di trasferimento nucleare che permette di costruire in laboratorio tessuti geneticamente compatibili a quelli del malato, evitando i rischi di rigetto legati ai trapianti. E mentre il deputato diellino e i suoi alleati di centrosinistra sembrano voler fare a gara con il governo Berlusconi nel tradurre in legge i precetti della Chiesa, il primo ministro spagnolo José Luis Rodríguez Zapatero si sta ponendo il problema opposto, ovvero come rendere i risultati della scienza più accessibili ai cittadini e, in particolare, alle donne. È notizia di poco prima di Natale la riforma della legge sulla procreazione assistita attuata dal suo governo. La norma promulgata già con molto anticipo nel 1988 e rivista nel 2003, era – a dire il vero – già buona, aperta, liberale. Specie se confrontata con il nodo di assurdi divieti e contraddizioni che fanno la nostra legge 40. Ma il governo Zapatero ha voluto allargare ancor più l’area dei diritti: ora in Spagna tutte le maggiorenni, a prescindere dal loro stato civile, potranno accedere a queste tecniche, se lo vorranno. Ma c’è di più. Sul modello di quanto già accade in Inghilterra, la nuova legge spagnola autorizza la diagnosi preimpianto per selezionare embrioni sani e geneticamente compatibili con eventuali fratellini o sorelline malate. Un passo importante nella lotta contro malattie genetiche ancora incurabili. E nulla a che vedere, del resto, con la clonazione riproduttiva che in Spagna, come nel resto dell’Unione europea, è proibita. La stampa cattolica impropriamente ha parlato di “bambini farmaco”, alimentando paure e, insieme – fatto che ci sembra particolarmente grave – attaccando la nascita e l’identità di questi neonati uguali a tutti gli altri, benché nati in provetta.

In Spagna come in Italia, insomma, l’attacco della conferenza episcopale è stato molto violento. Ma, diversamente che nel nostro paese, integralmente laica è stata la risposta del governo Zapatero, che preoccupandosi più della salute dei cittadini che della salvaguardia di precetti religiosi, ha già messo in conto la possibilità di aggiornare ulteriormente la legge, procedendo di pari passo con i progressi della ricerca. «In un Stato come il nostro, non ancora laico, perché concordatario – commenta il docente di Bioetica Demetrio Neri -, purtroppo, siamo ancora molto lontani da tutto questo». Docente all’Università di Messina e, spesso, voce critica all’interno del Comitato nazionale di bioetica diretto da Francesco D’Agostino, Neri è stato la settimana scorsa uno degli animatori della tavola rotonda sulla proposta di legge Rutelli organizzata via audio- video dall’associazione Luca Coscioni e dalla Rosa nel Pugno. Un’assemblea telematica di scienziati, politici, giornalisti, che è stata il primo segno pubblico forte di protesta riguardo a quelli che potrebbero diventare contenuti del programma del futuro partito democratico, in materia di ricerca. «Inutile», «antiscientifica», «strumentale», «pericolosa», sono gli aggettivi più ricorrenti durante la discussione sui punti caldi del progetto Rutelli, che puntando tutto sulle staminali adulte, propone la creazione di tre nuovi centri nazionali per la raccolta e il trattamento dei materiali biologici. «Non considerando – dice Elena Cattaneo, ordinario di farmacologia all’Università di Milano e una delle massime esperte italiane di cellule staminali – che di strutture simili in Italia ne esistono già e non c’è nessun bisogno di affrettarsi a creare ennesime banche di staminali adulte, quando questa non sembra essere la strada di ricerca più feconda di risultati». Doppioni, fondi per la creazione di inutili centri e istituzioni che fanno il vantaggio solo di chi le governa. Il pensiero corre alla cosiddetta “casa del ghiaccio”, inaugurata il 16 dicembre, dall’ex ministro della Salute, Girolamo Sirchia a Milano: una struttura dove, per un suo vecchio decreto ministeriale, i vari centri di fecondazione sparsi in Italia dovranno inviare i 400 embrioni soprannumerari congelati prima della legge 40. Spese di trasporto, stoccaggio nel nuovo centro milanese, con 25 addetti, e 38 congelatori ad azoto liquido, in un’ala dell’ospedale Maggiore di Milano. E a quale scopo dal momento che la ricerca sugli embrioni è proibita in Italia e che questi embrioni, non più richiesti, non potranno essere impiantati? «Qui non si tratta banalmente di tifare per le staminali embrionali o adulte, per Roma o Lazio, Bartali o Coppi – chiosa stizzito Giulio Cossu, direttore dell’istituto cellule staminali del San Raffaele di Milano -. Come scienziati dobbiamo poter sperimentare. La ricerca procede per gradi, per errori, non c’è altro modo di conoscere la realtà che facendo ricerca. Se un lavoro come quello del sudcoreano Hwang Woo Suk viene in parte ritrattato, questo non deve essere strumentalmente usato per chiudere un canale di ricerca». «Della proposta Rutelli – spiega Cattaneo – colpisce l’ignoranza. Il sapere scientifico è unico, le scoperte, se valide, sono universali. Non funziona per compartimenti stagni. Se in Italia escludiamo, in modo così assolutistico, come pretende Rutelli, la ricerca sulle staminali embrionali, anche quella sulle adulte ne soffrirà lo scotto. E viceversa. Le staminali embrionali totipotenti – prosegue la ricercatrice – proprio per la loro plasticità sono le più promettenti, ma non si può, come vorrebbe certa politica, scegliere un campo in maniera aprioristica e sulla base di discorsi strumentali come quello che Rutelli mette a incipit della sua proposta, parlando di cura del diabete fatta da una equipe di scienziati a Miami, utilizzando staminali adulte, quando si è trattato di un più ordinario trapianto di isole di pancreas. Il sospetto, allora, è che si voglia fare della propaganda per motivazioni etico-religiose». Difficile non pensare alle parole del Papa che nell’omelia del 28 dicembre parlava di agglomerati di poche cellule nell’utero materno come esseri che «contribuiscono, pur collocati in posto meno importante, all’edificazione della Chiesa. Poiché, sebbene inferiori per dottrina, profezia, grazia dei miracoli e completo disprezzo del mondo – dice Benedetto XVI – tuttavia poggiano sul fondamento del timore e dell’amore di Dio».

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