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Riscoprire Tancredi

Posted by Simona Maggiorelli su Maggio 14, 2011

Una parabola artistica breve e quanto mai intensa. Prima di quel salto dal parapetto, a soli 37 anni. Nella sua città natale, Feltre, una mostra invita a studiare l’opera di Tancredi. A cominciare dalla sua opera grafica a cui lui dava grande importanza come mezzo per arrivare a rappresentare la profondità dell’essere umano.

di Simona Maggiorelli

un'opera di Tancredi esposta a Feltre

Corpose pennellate dai forti contrasti cromatici, con un effetto quasi da action painting. Ma il drammatico uso dei neri di Trancredi tradisce ben altra fonte, e più impegnata, di quella dell’americano Jackson Pollock (che il pittore veneto conobbe alla Biennale di Venezia del 1948).

Il suo vero maestro di pittura astratta fu piuttosto Emilio Vedova, incontrato da giovanissimo, dopo l’esperienza partigiana. Anche da questa amicizia nacque l’adesione di Tancredi al Fronte nuovo delle arti che a Venezia si batteva contro l’opprimente autarchia della cultura fascista.

Ma poco più che adolescente il pittore di Feltre era anche andato alla scuola di nudo di un altro maestro dell’arte italiana che aveva intensamente preso parte alla Resistenza: Armando Pizzinato. Con lui Tancredi condivideva l’amore per le esplosioni pittoriche di Tiziano e per le deflagrazioni di luce di Tintoretto. Ma non la scelta figurativa che portò Pizzinato a restare vicino alle forme del realismo socialista. Inquieto, informato su tutte le novità di rango internazionale, a cominciare dal cubismo, nella sua breve vita e nei dieci, folgoranti, anni di carriera come pittore, non smise mai di sperimentare. Dai primi autoritratti tormentati, di profondo scavo psicologico e realizzati con pennellate materiche alla Van Gogh, fino agli ultimi essenziali disegni, in cui si può leggere in filigrana i segni di quella corrosiva  malattia  interiore che lo portò, a 37 anni, a gettarsi nel Tevere.

Lo racconta la bella mostra che la Galleria d’arte moderna di Feltre gli dedica fino al 28 agosto e affidata alla cura di Luca Massimo Barbero. Una retrospettiva che raccoglie un centinaio di opere fra dipinti e disegni  accompagnata da un catalogo Silvana editoriale, denso di contributi critici significativi, a cominciare da quelli firmati dallo stesso Barbero, da Fabrizio D’Amico e da Francesca Pola. Ed proprio la studiosa a riportare in primo piano un aspetto della produzione di Tancredi spesso rimasto in ombra: la sua ricca produzione grafica. Tancredi disegnava ovunque. Sulla carta da pacchi (merce rara in tempo di guerra), sul retro di fatture e perfino su tovaglioli. Regalando poi lo schizzo a chi gli stava seduto accanto a tavola. Lo strumento grafico era quello che sentiva più efficace nell’arrivare a una forma sintetica. Perlopiù si trattava di ritratti dalle figure deformate,  plastiche, ma senza ombreggiature. Realizzati con una linea continua, che non conosce soluzioni di continuità. «Era profondamente convinto – scrive Pola – che questo fosse il modo per esprimere il contenuto umano più profondo».

da left-avvenimenti

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Fuori dall’euforia della pop art

Posted by Simona Maggiorelli su aprile 10, 2009

A tre anni dalla sua scomparsa una monografia curata da Fabrizio D’Amico invita a rileggere l’opera di Mimmo Rotella

di Simona Maggiorelli

mimmoLa reazione all’informale alla sua furia iconoclasta e nihilista, sfociata nel “suicidio” di artisti come Pollock, negli anni Sessanta fu fortissima.Ma se l’arte povera cercò una via di uscita da quel caos attraverso un nuovo e più intimo rapporto con la realtà, la pop art annullò ogni tormento con l’euforia di immagini cartellonistiche e piatte. Sulla lacerazione non sanata e non ricomposta di Rothko, di Stella e degli artisti che animarono la cosiddetta scuola di New York, Warhol e compagni stesero una mano di sgargiante vernice: Marylin in serigrafia accanto a una gigantografia di una lattina di zuppa; frammenti di realtà quotidiana riprodotti in una cartellonistica seriale. Con la pop art l’immagine si fa piatta e indifferente. Ma se la Biennale di Venezia  del 1964 segnò anche in Europa l’affermazione del pensiero unico di Warhol, con una profusione di opere che isolano oggetti e merci per farne dei feticci, delle icone, dei totem, il filone italiano che ne fu più influenzato non può essere ascritto tout court a quella tendenza di riduzione al grado zero della creatività.

Pensiamo, in questo caso, all’opera di un artista come Mimmo Rotella che – a tre anni dalla sua scomparsa- una monografia curata da Fabrizio D’Amico (Rotella, disegni, Umberto Allemandi editore) invita a rileggere, prestando particolare attenzione alla sua ricca attività di disegnatore.

Accanto all’immagine più nota dell’artista romano, fantasioso compositore di quadri con la tecnica del décollage, emerge così anche un suo tratto più intimo che si esprime in tavole colorate di vaga ispirazione picassiana e in disegni e bozzetti: nel corso del tempo, via via sempre più stilizzati, specie quando si tratta di ritratti di persone e nudi di donna. Con tutta evidenza, già negli anni Settanta, Rotella era del tutto fuori dalla celebrazione del trionfo della merce tipica di Lichtenstein, Johns, Dine, per quanto ironica fosse verso i meccanismi del consumismo e della società di massa.

Dopo l’informale e l’insana vertigine di una perdita totale del rapporto con la realtà, la strada scelta da Rotella non sarà quella di riprodurla anche se in termini polemici e corrosivi. Se qualcosa mutua dall’arte americana è piuttosto lo stile combinatorio del new dada alla Rauschenberg. Ma anche in questo caso il suo riuso di lacerti di realtà, cartelloni strappati e locandine del cinema, non mira banalmente allo scenografico. Quelle immagini rovinate e strappate diventano per Rotella il vocabolario con cui creare un sua visione del mondo. «Per strada mi colpirono alcuni muri tappezzati di affissi lacerati- raccontava lui stesso-. Mi affascinavano letteralmente, anche perché pensavo allora che la pittura era finita e che bisognava scoprire qualcosa di nuovo, di vivo e di attuale. Sicché la sera cominciavo a lacerare questi manifesti, a strapparli dai muri e li portavo a studio… componendoli in immagini nuove».

da left Avvenimenti 24 aprile 2009

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