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Tempo della coscienza e tempo dell’inconscio

Posted by Simona Maggiorelli su settembre 24, 2009

Intervista allo psichiatra Massimo Fagioli

di Simona Maggiorelli

massimo fagioli

massimo fagioli

Tempo di vita degli animali e degli esseri umani, una differenza profonda. Tra le due cesure forti della nascita e della morte c’è da notare la differenza fra il tempo misurabile della coscienza e il tempo dell’inconscio che fa la qualità della vita degli esseri umani. Ma occorre dare anche uno sguardo alla storia della cultura per rivedere criticamente l’idea di tempo che ha connotato il cristianesimo, la psicoanalisi, il marxismo e l’esistenzialismo. Sul tema del tempo- il primo della triade su cui si appunta la riflessione di questo numero speciale della rivista Il Grandevetro – abbiamo sentito lo psichiatra Massimo Fagioli, che con la scoperta della pulsione di annullamento e della fantasia di sparizione concettualizzata nel suo prio libro Istinto di morte e conoscenza (1971, Nuove edizioni romane, e ora edizioni l’Asino d’oro) e poi con i seminari di analisi collettiva ha rivoluzionato dal punto di vista della teoria e della prassi, il modo di pensare e di fare psichiatria, mettendo al centro della ricerca scientifica la ricerca sull’inconscio, il tema della cura e della possibilità di trasformazione psichica umana.

professor Fagioli che differenza c’è fra il tempo di vita degli esseri umani, degli animali e dei vegetali?

Se ci limitiamo a intendere la domanda in senso positivistico si può dire che dal punto di vista del tempo di vita vi sono variabili nel senso della misurazione mediante anni. Per cui un cane vive vent’anni, un elefante novanta, una tartaruga, credo, anche trecento. Alcune piante possono vivere anche mille anni prima di seccare. Il tempo di vita viene misurato con strumenti, con un sistema artificiale che noi facciamo regolandoci su quello che sono i cicli e quindi con il calendario più o meno cristiano di Gregorio Magno. Se questa domanda, invece, nasconde qualcosa qualcosa di non esplicito, come se ci fosse un tempo diverso fra vegetali, animali e uomo, allora non è questo di cui stiamo parlando, perché in questi casi che abbamo citato il tempo viene misurato sempre nella stessa maniera. Se ci sia una diffrenza fra animali e vegetali, questo esattamente non lo so, perché fra la cellula vegetale e quella animale mettersi a pensare quali possano essere le differenze è difficile, però possiamo fare un discorso sulla biologia umana e su quella animale. Se facciamo un discorso del genere dobbiamo in effetti scoprire un altro tempo, oltre ed al di là di quello razionale, matematico che calcola, misura secondo parametri per cui un anno è fatto di dodici mesi, seguendo certi criteri di misurazione di matematica razionale. Il termine comune per indicare questo altro tipo di tempo è tempo interno. E qui ci può essere utile un discorso: che l’uomo si distingue dagli animali perché sa di dover morire è la balla più grande che possa esistere. Come realtà di tempo interno non è vero affatto. La coscienza, la ragione non ha nessuna sensazione del tempo, deve misurarlo per capire se una cosa dura un’ora o dieci ore. Il tempo interno è direttamente legato all’immagine interna. Finché l’uomo non scopre l’immagine interiore non può pensare il tempo inetrno. Quindi, se l’uomo sa di dover morire, lo sa per questioni statistiche. Siccome vede che tutti , all’incirca, dopo novant’anni muoiono dice: allora morirò anch’io. Ma non perché abbia più o meno capito una cosa di questo genere.

E volendo andare più a fondo che differenza c’è fra tempo inconscio e tempo della coscienza?

Appunto, questo di cui abbiamo detto è tempo razionale nel senso che io lo calcolo con l’orologio: il tempo che mi ci vuole per scendere le scale, andare in strada, fare un chilometro, ritornare eccetera. Mentre quest’altro tipo di tempo che è inconscio- chiamiamolo tempo interno o tempo inconscio- non dà la sensazione perché si lega al discorso del movimento psichico. La ragione non ha movimento. La ragione sposta, registra con i sensi un oggetto che va da un punto all’altro ma è una registrazione, direi, quasi meccanica. più o meno fotografica. per realizzare il movimento bisogna realizzare l’immagine interna e non la figura esterna. Allora si legano movimento, tempo interno e immagine interiore. Ci vogliono tutte e tre queste cose per cui poi uscire da casa non è soltanto calcolare quanto tempo ci vuole per andare da qui a lì. E’ fare qualche cosa, è un movimento dell’organismo.

La sua teoria della nascita come supera il modo di pensare il tempo che hanno avuto alcuni filoni della cultura occidentale come la psicoanalisi, il marxismo el’esitenzialismo?

Direi che che li acchiappa tutti e tre, perché tutto sta nella grande sfida, nel grande coraggio direi, di concepire un inizio. il difetto di esistenzialismo, cristianesimo e anche del marxismo è di non concepire un inizio. Se lo si concepisce allora si trova anche la fine. Tra l’inizio e la fine c’è il discorso del tempo. Il tempo che è un movimento che non può essere sentito, realizzato e pensato finché non si ha il coraggio di realizzare un’immagine. Quindi la nascita è un inizio di realtà psichica. Sappiamo che la cultura, anche quella marxista, e in modo particolare il cristianesimo, esclude in maniera assoluta che ci sia un inizio. Tutto deve essere sempre, in eterno, sempre stato e sempre sarà. All’inizio appunto il cristianesimo concepisce uno spostamento, diciamo pure, dalle nuvolette all’organismo biologico ma non concepisce affatto una realtà psichica e quindi di immagine interiore. E quindi non concepisce un inizio del tempo.

La letteratura psicoanalitica e in particolare Freud ha parlato di una atemporalità dell’inconscio. In che modo deve essere rivista questa concezione?

Deve essere rivista in tutto.  Perché la banalità, la stupidità di Freud è totale. Nel senso che Freud dice che la realtà psichica comincia con il pensiero verbale e dire questo significa affermare che prima di un anno e mezzo due anni di vita non esista realtà psichica. Non esisterebbe mente, non esisterebbe pensiero. Significherebbe dire che il bambino per un anno e mezzo è peggiore di un animale. Non capisco.  Perché forse l’animale un abbozzo- non so se posso chiamarlo pensiero- ma di sensazione o di elaborazione delle percezioni ce l’ha. Freud dice che il bambino non ce l’ha, quindi è completamente fuori da ogni possibilità di discussione perché afferma delle cose che sono assurde anche a rapporto immediato, a buon senso comune.

Anche il marxismo in qualche modo ha parlato di una tensione verso qualcosa di nuovo, di futuro, ha parlato di trasformazione sociale ma ugualmente ha fallito il tema della trasformazione umana, perché?

Esatto. Della storia del fallimento di Marx ne parlo da trent’anni. Marx tentò in ambito filosofico di occuparsi di realtà umana. E dichiara chiaramente nella famosa lettera al padre del 10 novembre 1837 che ha fallito, che non ce l’ha fatta. Andava a finire nella logica hegeliana dello spirito assoluto e quindi abbandonò tutto per occuparsi di rapporti materiali e di realtà e comportamento materiale e con ciò si è fermato a un’idea di “male”. Ecco forse è riuscito- ma non so se realmente l’abbia fatto – a togliersi un po’ dal pensiero  religioso per cui il male è il sadismo e l’aggressivitò violenta di procurare sofferenza fisica agli altri. Non gli passa nemmeno per l’anticamera del cervello di pensare a un’altra violenza e aggressività che è la negazione e che non è mai stata pensata da Freud. Invece il problema era proprio quello che per occuparsi di realtà psichica bisogna scoprire una violenza, una distruzione che andava ben oltre il discorso del sadismo fisico, della distruzione delle cose materiali, occorreva un rapporto psichico di conoscenza e di sapere.

Dalla rivista Il Grandevetro agosto-settembre 1999

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Legge 40, finalmente incostituzionale?

Posted by Simona Maggiorelli su marzo 26, 2009

L'avvocato Filomena Gallo

L'avvocato Filomena Gallo

A cinque anni dalla sua promulgazione, dopo un tentativo referendario di abrogazione e decine di cause in tutta Italia promosse da altrettante donne in difesa del proprio diritto alla salute, senza contare la messa all’indice da parte dell’intera comunità medico-scientifica, la legge 40/2004 sulla procreazione medicalmente assistita arriva per la seconda volta sotto la lente della Corte costituzionale. Che ha fissato per il 31 marzo l’udienza per valutare i punti sollevati nel 2008 dalle ordinanze del Tar del Lazio e del tribunale di Firenze.

Sotto accusa gli articoli 6 e 13 che impongono il divieto di revoca del consenso informato, il limite di impianto di tre embrioni e il divieto di congelarli. «A partire dall’articolo 1, la legge 40 non rispetta l’articolo 32 della Costituzione, perché viola il diritto alla salute della donna, ci ricorda l’avvocato Filomena Gallo, presidente dell’associazione Amica cicogna e vice presidente dell’associazione Luca Coscioni. “Ci auguriamo – aggiunge – che la Consulta colga l’occasione per rimediare a questi effetti». L’articolo 13 è per la seconda volta al vaglio della Corte. Che già il 9 novembre del 2006 aveva dichiarato inammissibile una questione di legittimità costituzionale sollevata dal tribunale di Cagliari. Ma poi, a settembre 2007, lo stesso tribunale aveva dato ragione a una donna portatrice di una grave malattia genetica che chiedeva il riconoscimento del diritto alla diagnosi preimpianto negato dalla legge 40. Un divieto questo parzialmente corretto dalle linee guida promulgate nel gennaio 2008 dall’allora ministro Livia Turco. Certo, viviamo giorni in cui il varo della legge sul testamento biologico così come  è stato elucubrato dal centrodestra non incute ottimismo. Il ddl Calabrò è stato definito- e non a torto- «testamento ideologico» dalla senatrice radicale del Pd Donatella Poretti. Anche la vice presidente del Senato Emma Bonino non ha mancato in questi ultimi giorni di ricordare le inquietanti analogie di questa nuova norma con quella sulla Pma. Per il comune impianto antiscientista e illiberale di ispirazione cattolica che caratterizza entrambe. E il pensiero che  ci possa essere ancora un ripensamento sulla legge 40 alimenta in queste ore le associazioni di pazienti sterili e infertili e chi questa norma la combatte sin da quando è stata proposta. La Corte costituzionale potrebbe, d’un sol colpo, se guardasse al vero, dichiarare incostituzionali  due  o più articoli della legge 40.

Anche sulla base dall’ennesima bocciatura subita dalla legge 40 per mano di giudici ordinari nelle scorse settimane: il tribunale di Milano con due diverse ordinanze del 6 e del 10 marzo ha ampliato quanto affermato dal tribunale di Firenze e dal Tar del Lazio. I giudici milanesi si sono pronunciati sui ricorsi presentati da due coppie siciliane portatrici di beta-talassemia e drepanocitosi abbinata a Beta-talassemia, sostenuti dalle associazioni Hera di Catania, Sos Infertilità di Milano e Cittadinanza attiva. In questo caso è stato messo in rilievo che le pratiche di Pma risultano lesive della salute della donna e soprattutto non sono conformi al principio di non invasività stabilito dall’articolo 4 della legge 40.  E ancora , risultano  invasivi e lesivi della integrità della salute della donna l’obbligo di produrre solo tre embrioni e di trasferirli tutti insieme contemporaneamente, il divieto di crioconservazione degli embrioni, la costrizione imposta alle coppie affette o portatricidi di gravi malattie genetiche di rinunciare a una gravidanza oppure di ricorrere poi all’aborto. Secondo il tribunale si tratta di norme troppo rigide che non tengono conto delle singole situazioni. Come dire che è il carattere generale di una legge a renderla inapplicabile nelle situazioni di cura. Dal momento che queste devono essere valutate caso per caso dall’unica persona autorizzata a farlo (tra l’altro per legge). E cioè, il medico.

— di Federico Tulli da Left Avvenimenti del 27 marzo 2009


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Cogne, la follia della porta accanto

Posted by Simona Maggiorelli su marzo 20, 2002

L’opinione dello psichiatra Massimo Fagioli sul delitto di Cogne.

«Come per Erika, parliamo di menti che hanno un rapporto ordinato e lucido con la società. Ma alle quali manca totalmente il rapporto con l’umano. Per cui un bambino diventa un vestito usato del quale ci si sbarazza»

di Simona Maggiorelli

massimo ( gatta sullo sfondo)

Massimo Fagioli

Cogne, un’apparente normalità, una villetta in montagna, una famiglia tranquilla e poi, d’improvviso un omicidio così efferato come quello del piccolo Samuele. Un anno fa il caso di Erika di cui di recente si è tornati a discutere in tv e in un denso convegno organizzato dall’Università di Chieti a cui hanno preso parte psichiatri, criminologi, avvocati e seguito da migliaia di persone, fra pubblico e studenti. A parlare di psichiatria e diritto nella città abruzzese c’era anche lo psichiatra e docente universitario Massimo Fagioli, autore di libri fondamentali per la ricerca psichiatrica, fondatore della scuola romana di psichiatria e psicoterapia. A lui, dopo aver saputo che la madre di Samuele è stata incriminata, Avvenimenti ha chiesto lumi di approfondimento su sanità e malattia mentale, cosa potrebbe nascondere questa tranquillità borghese della famiglia Lorenzi.

Professor Fagioli che cosa emerge in termini psichiatrici da questo caso di Cogne, se le accuse alla madre di Samuele saranno provate?

«Viene fuori quello che abbiamo sostenuto tante altre volte. In particolare nel 1995 quando a Firenze una madre improvvisamente salì le scale e buttò il figlio dalla finestra. Anche lì si parlò di “raptus”. Nel settembre scorso, per citare un altro caso, c’è stato quello che d’improvviso ha sparato alla famiglia, ha ucciso la moglie. Anche lì si diceva una persona normale, forse un uomo un po’ chiuso, ma una bravissima persona.

E poi ancora c’è il caso di Erika e quello del ragazzo di Sesto San Giovanni che ha preso un coltellino e, d’improvviso, ha tagliato la gola alla ragazza. Allora evidentemente c’è qualcosa di grosso da indagare. Bisogna mettere in discussione questa normalità. Di questo ci siamo occupati in otto ore di convegno a Chieti, andando a ripescare anche storie più vecchie, facendo dei nessi con casi come quello di Pierre Riviére, un ragazzo che più di centocinquant’anni fa uccise il padre».

Tutti casi in cui gli assassini non avevano dato fin lì nessun segno di malattia a livello di comportamento…

«E’ questo il punto. Non si tratta di persone, che so, che hanno dato pubblicamente in escandescenza, per cui a un certo momento si chiama il 118 e si fa un trattamento sanitario obbligatorio, quello che oggi si chiama un SPDC. Bisogna cercare più a fondo. Qui si parla di persone che hanno un rapporto ordinato con l’organizzazione sociale e con le cose. Hanno un rapporto lucido, preciso con la realtà materiale, ma quello che manca totalmente è il rapporto con l’umano. Per cui al limite un bambino è come un vestito vecchio che mi ha stufato e di cui mi sbarazzo. Per questo arrivano a questi livelli di efferatezza. In questi casi parliamo di schizoidia, di persone fredde, lucide, razionali, che non percepiscono il significato emotivo di un gesto come uccidere un bambino».

Sono casi di schizofrenia in cui il malato è in grado di occultare il suo nucleo di grave malattia, al limite di essere anche camaleontico come, supponiamo solamente, potrebbe essere avvenuto per la madre di Cogne che nelle interviste, nelle dichiarazioni, sembra  ritagliarsi un ruolo di vittima.

«Su questo sono interessanti le dichiarazioni dei vicini: “Non è più lei”, “è alterata, non è più come prima”. E’ quello che si sente dire quando la malattia esplode, si manifesta in maniera conclamata».

Ma perché a Cogne, come a Novi Ligure, per lungo tempo il paese ha teso a negare. In entrambi i casi è come se un’intera comunità si fosse come accecata di fronte alla violenza a un caso di psicosi?

«E’ il discorso che facevamo prima, non riescono a accettare che dietro a una società ordinata e perfetta come può essere quella di Aosta, in cui tutto è a posto, l’autobus è puntuale, ci sia una tale sterilità, questa totale anaffettività nel rapporto interumano».

C’è un nesso fra questo tipo di patologia e un contesto religioso? Il nonno si Samuale dice che il bambino ucciso è diventato un angelo del cielo solo per fare un esempio.

«Nove volte su dieci in questi casi c’è dietro un delirio, per cui il bambino sarebbe il diavolo o cose del genere».

Mi ha colpito anche un’affermazione del suocero di Annamaria che dice: “Non è stata lei, qualcuno ha scritto che a Cogne è ricomparso il diavolo e credo che davvero ci sia accaduto qualcosa di sinistro”.

«Sono discorsi che fanno tornare al medioevo, di negazione della malattia mentale. La malattia mentale non esisterebbe e in questo modo neanche la cura e la possibilità di guarire».

Per ora nel caso della madre di Samuele si tratta solo di carcerazione preventiva. Ma lo abbiamo visto con chiarezza nel caso di Erika come giudice e psichiatra possano rischiare di confondere i propri ruoli. Come può uno psichiatra chiamato a fare una perizia non tramutarsi in giudice?

«In linea teorica potrebbe rifiutarsi, ma il punto è un altro. E’ che il compito di un giudice è quello di giudicare e punire, quello di uno psichiatra di fare una diagnosi e di curare. Non ci deve essere confusione fra queste due diverse e distinte identità».

Una formulazione come “capace d’intendere e di volere” usata per l’imputazione è valida in questi casi?

«E’ una formulazione che dice poco. Il volere, può essere un volere razionale di mangiare o di bere, ma ritorniamo qui. In casi come quello di Erika, per esempio, da un punto di vista psichiatrico non bisogna analizzare solo il comportamento, il pensiero razionale di rapporto con le cose. Quello funziona benissimo. Erika è stato detto è sempre stata una persona puntuale, con un rispetto formale assoluto delle regole sociali».

Se diceva di tornare alle 19,30 a quell’ora era puntualmente già in casa, ha raccontato il padre di Erika.

«Già, il rapporto con le cose funzionava perfettamente. La ricerca deve essere fatta a livello più profondo, è a livello inconscio di rapporto con l’umano che le cose non andavano».

Erika adesso è in carcere, e si dice che non abbia adeguate cure psichiatriche. E più in là, proprio al convegno di Chieti, il criminologo Francesco Bruno ha detto che nelle carceri italiane ci sono almeno 5 mila psicotici…

«Il confine fra delinquenza e malattia mentale spesso è una zona di transizione, non è sempre facile distinguere. Esistono omicidi di mafia, omicidi di guerra e questi sono una cosa, possono essere legati a specifici contesti. Altra cosa sono questi omicidi freddi, con livelli di efferatezza come questo di Cogne. Ma pur facendo tutti i dovuti distinguo, quando una persona arriva ad uccidere un altro essere umano, io penso, il cervello completamente a posto non ce l’ha».

Avvenimenti, 20 marzo 2002

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