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Ignazio Marino: lenti nuove per la sinistra

Pubblicato da: Simona Maggiorelli su settembre 1, 2010

Il senatore del Pd e chirur racconta al settimanale Left-avvenimenti le priorità della politica in Italia, in un impietoso confronto con l’America di Obama: la svolta Usa sulle staminali. E le ricadute sociali della ricerca. Di fronte al progresso della scienza la politica non può chiudere gli occhi. E anche nel Pd serve una svolta

di Simona Maggiorelli

Ignazio Marino

Sembrava fatta. Barack Obama pareva riuscito a far digerire a cristiani e conservatori quella che il senatore Pd Ignazio Marino definisce «una svolta epocale». Ovvero un forte investimento pubblico su un promettente settore scientifico come la ricerca sulle cellule staminali embrionali. Ma per tentare di fermare i test clinici appena avviati con l’ok della Food and drug administration, le lobbies religiose Usa si sono rivolte ai tribunali. E con una sentenza di 15 pagine un giudice distrettuale, pochi giorni fa, ha disposto il blocco dei finanziamenti federali alla ricerca con embrionali, perché in contrasto con una legge del 1996 contro «la distruzione di embrioni umani».

Una sentenza che, secondo Irving Weissman, direttore dello Stanford institute for stem cell biology and rigenerative medicine, intervistato dal Los Angeles Times rischia di imporre un nuovo, duro, stop alla ricerca Usa. Di fatto il presidente Obama, che dopo la sentenza ha ribadito di non voler abbandonare questo ambito di ricerca al privato, ora ha di fronte due strade: o ricorrere in appello o rivedere le linee guida.

Convinto sostenitore di Obama, ilsenatore Marino che da chirurgo ha lavorato a lungo negli Usa, commenta: «C’era da aspettarsi una reazione negativa della parte più conservatrice del Paese. E l’eco che sta avendo sui giornali oltreoceano prova quanto là le questioni di scienza tocchino la società e facciano discutere pubblicamente». Dunque non teme una retromarcia? «Non ho elementi per dirlo, ed è tutto da valutare quanto questa sentenza di tribunale possa incidere davvero. Ma soprattutto – sottolinea Marino – c’è ancora molto da riflettere sulla straordinaria svolta avviata il 9 marzo 2009 dalla decisione di Obama di eliminare le restrizioni sulla ricerca sulle staminali embrionali, fin lì esclusa dai finanziamenti pubblici. Una decisione presa in forte discontinuità con Bush, e nata anche per non far perdere agli Usa il ruolo di leader nella ricerca »
Intanto Berlusconi millantava: batteremo il cancro!
Lo ha scritto addirittura nel suo programma di governo. Obama firmando l’atto esecutivo pronunciò ben altre parole: «Non possiamo assicurare con certezza che troveremo le cure che cerchiamo». Nessuna promessa fallace, pur avendo la consapevolezza che bisogna cercare nuove cure con urgenza per quei malati che non hanno speranza. Con decisione e senso di responsabilità dobbiamo percorrere le acque “senza mappa” della ricerca.
La ricerca con embrionali a che punto è negli Stati Uniti?
In California la Geron corporation ha fatto molti test su roditori. Ma perlopiù avevano dato risultati negativi: si erano formate come delle cisti nei punti in cui erano state iniettate staminali embrionali. Poi questa complicanza è stata superata. Da ambienti scientifici americani so che queste cellule sembrerebbero trasformarsi in cellule di supporto neurale, ovvero cellule che servono per la continuità del nostro sistema nervoso. Iniettate in giovani pazienti costretti su sedie a rotelle da un trauma alla spina dorsale dovrebbero riuscire a ripristinare la comunicazione tra i nervi. Dovrebbero permettere, cioè, il percorso del segnale nervoso attraverso il midollo spinale e dunque portare al miglioramento quando non proprio alla guarigione.
Queste ricerche hanno ricadute sociali che la politica non può eludere?
All’assemblea nazionale del Pd il 21 maggio scorso ho cercato di dirlo: un partito moderno, come forza intellettuale e di pensiero, dovrebbe avere un’attenzione specifica ai drivers del futuro, scientifici e tecnologici. Scoperte o percorsi scientifici come questo di cui stiamo parlando devono interrogarci. Così come ci devono stimolare domande e progetti come la cellula artificiale di Craig Venter. L’ho incontrato di recente, sta lavorando con l’obiettivo ambiziosissimo di costruire nuove forme di vita biologica, in particolare microrganismi capaci di metabolizzare sostanze tossiche come quelle diffuse, per esempio, da una dispersione di petrolio. E ancora: come politici in Italia dovremmo domandarci quale è la decisione giusta da prendere sulle migliaia di embrioni congelati che si trovano nelle cliniche d’infertilità e che non verranno mai utilizzati per far nascere bambini.
Che fine ha fatto la costosa biobanca per embrioni congelati dell’ex ministro della Salute, Sirchia?
Quella biobanca ebbe un finanziamento importante e doveva raccogliere a mo’ di anagrafe tutti gli embrioni congelati sparsi nelle varie cliniche. Il finanziamento  fu varato ma il progetto è rimasto sulla carta. C’è da chiedersi: è più logico, intelligente o morale lasciarli così a perdere ogni vitalità o prelevarne cellule che potrebbero, forse, permettere a pazienti oggi immobilizzati di alzarsi? è sciocco far finta che tutto questo non esista. O pensare che si tratti di un dibattito fra Washinghton e Manhattan. Sono  temi di un dibattito con caratteristiche globali, epocale. Non si potrà impedire che migliaia di malati riprendano a sperare in una cura. E sarà difficile biasimare chi vorrà continuare a lottare contro la sua malattia cercando scientificamente una terapia.
In Italia non c’è una legge che proibisca la ricerca con embrionali ma i finanziamenti pubblici vanno solo a progetti con  staminali adulte...
è una situazione  paradossale: la legge 40 impedisce agli scienziati che si occupano di embrionali di prelevarle da embrioni. Ma non gli impedisce di importarne dall’estero. è incredibile l’ipocrisia di chi ha voluto la legge 40. E lascia sbigottiti il modo di procedere del governo Berlusconi. Perché un atto o è immorale e allora non si può chiedere a un altro di compierlo per te, oppure è un atto lecito e allora deve essere consentito. Io ho cercato di dare un contributo. Ma in questa estate di occhi puntati sulle liti interne al Pdl, è passato sotto traccia. Nella legge Gelmini siamo riusciti a inserire un articolo a mia firma che permetterà di assegnare fondi pubblici alla ricerca non più su base discrezionale ma con il meccanismo internazionale della peer review. Significa che non saranno più ministri o altri a distribuire a piacimento i soldi. Le ricerche saranno valutate in base a un giudizio “fra pari”. Le commissioni giudicheranno anonimamente i progetti. Inoltre il 30 per cento dei “giudici” saranno scienziati stranieri. Insomma, la peer review porta un criterio di trasparenza che impedirà che si verifichino situazioni in cui, su base personale o ideologica, un governo o un ministero decide a chi dare o non dare i finanziamenti.
Come è accaduto in Italia.
Il Comitato nazionale di bioetica (Cnb) raccomanda di inserire la bioetica nelle scuole superiori. Ma che tipo di
insegnamento passerebbe?

Sono sbigottito di questa proposta. Il Cnb è un organismo di nomina politica, designato dal governo in carica. La laicità contenuta nella nostra Costituzione  dovrebbe essere la nostra stella polare… non vorrei che nelle scuole, viste le politiche di questo governo, si spacciassero per nozioni scientifiche giudizi di natura etica. Sarebbe sbagliato, in ogni caso, indipendentemente da chi è al governo. Al contrario è fondamentale che siano finanziati programmi che diano agli studenti la possibilità di conoscere le scoperte scientifiche, come funzionano i laboratori di ricerca e i centri avanzati che esistono in Italia nonostante i feroci tagli ai finanziamenti.  E invece ecco cosa vorrebbe finanziare il governo di centrodestra, con una legge a primo firmatario La Russa, con Meloni e Tremonti: hanno chiesto fondi per 20 milioni di euro per aumentare il contatto dei nostri giovani con le caserme, perché vi trascorrano una settimana per imparare a sparare con la pistola.
E l’opposizione?
Ecco, noi di sinistra dovremmo dire che tipo di visione immaginiamo. Io immagino un tipo di società che usi la scienza per aiutare le persone che soffrono per malattia, per rispondere a chi si trova in difficoltà sociale, per offrire energia pulita…
Insomma, a sinistra serve una decisa svolta culturale?
Una sinistra che lavora e legge il nostro pianeta con le lenti e il dizionario del secolo passato è una cultura destinata a fallire. Abbiamo bisogno di lenti nuove e forse anche di dirigenti nuovi.

da left- avvenimenti del 27 agost0 2010

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Dalla Pantera alla svolta dell’Onda

Pubblicato da: Simona Maggiorelli su aprile 10, 2010

Un libro di Albanese ricostruisce la protesta studentesca del 1990. Mentre un saggio
di Raparelli invita a un confronto con le più mature istanze avanzate dagli studenti oggi

di Simona Maggiorelli

Pantera, movimenro studentesco, 1990

Nella facoltà di Lettere a Pisa, durante l’assemblea che discuteva l’occupazione, si levò una voce: «Presentiamo una mozione». A parlare era uno studente “fuori corso” con un passato in Democrazia proletaria. Nell’aula, sguardi sbigottiti. Qualcuno, più sincero, azzardò: «Cos’è una mozione?». Era il 1990, un anno dopo la caduta del muro di Berlino e nell’ultimo decennio si era consumata una cesura fortissima fra generazioni. D’un tratto tutto era cambiato, perfino la musica, la moda, le subculture. Per non parlare del rapporto dei giovani con la politica. Così se i loro fratelli maggiori ascoltavano i Beatles o Neil Young, gli studenti della Pantera erano cresciuti con i Duran Duran o, nella migliore delle ipotesi, con la new wave. Ma con i pantaloni a zampa di elefante e i maglioni fatti a mano erano stati rottamati anche l’interesse per la politica e la partecipazione. Ed ecco gli sguardi sbigottiti della generazione “paninara” di fronte a quella parolina “magica”: «Mozione». Lo studente “anziano” quella volta lasciò l’assemblea pisana sbottando: «Per il futuro del proletariato sarà meglio che vada a studiare…». Poi però, come ricorda Carmelo Albanese nel suo C’era un’onda chiamata pantera (Manifestolibri), la parte più “sveglia” del movimento aiutò a crescere quella che si era trastullata con Nove settimane e mezzo e gli Spandau. E la Pantera, in un tam tam di occupazioni che percorse tutto lo Stivale, trovò il coraggio e gli strumenti politici per declinare i propri no alla controriforma Ruberti dell’università. Ovvero la riforma del 1990 che oggi rischierebbe di apparire democratica se letta in controluce con quella dei ministri berlusconiani Moratti e Gelmini. Con studenti e famiglie costrette oggi a sborsare cifre da capogiro per accedere a un diritto fondamentale come quello allo studio, in una sistema universitario sempre più privatizzato e scadente nell’offerta culturale, sempre più baronale, che blocca la ricerca e il ricambio generazionale nell’insegnamento.

Stimolati dal libro di Albanese, va riconosciuto forse che la Pantera nel ’90 ebbe il merito di annusare i rischi di quella prima deregulation liberista aprendo la politica di sinistra ai movimenti no global (sulla cui scia, nel 1991, nacque Rifondazione comunista). Ma questo certo non bastò ad arrestare l’involuzione culturale che avanzava anche grazie a ministri come Luigi Berlinguer. Nel ’99 portava la sua firma il decreto che cambiava i percorsi universitari introducendone due distinti e spianando la strada al famigerato due più tre. Nel 2004 poi la Moratti avrebbe istituito la soglia dei crediti formativi e l’autonomia dei singoli atenei. E via di questo passo fino alla pesante dequalificazione che di recente ha sollevato la protesta dell’Onda. Un movimento, rispetto alla Pantera, meno disposto a lanciarsi in battaglie politiche di principio ma che – come racconta ora uno dei suoi leader, Francesco Raparelli ne La lunghezza dell’Onda (Ponte alle Grazie) – ha saputo tenere la barra ben dritta sulla propria identità studentesca, rivendicando il diritto a una formazione di qualità e di respiro internazionale.

da left-avvenimenti del 9 aprile 2010

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