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Dalla Pantera alla svolta dell’Onda

Posted by Simona Maggiorelli su aprile 10, 2010

Un libro di Albanese ricostruisce la protesta studentesca del 1990. Mentre un saggio
di Raparelli invita a un confronto con le più mature istanze avanzate dagli studenti oggi

di Simona Maggiorelli

Pantera, movimenro studentesco, 1990

Nella facoltà di Lettere a Pisa, durante l’assemblea che discuteva l’occupazione, si levò una voce: «Presentiamo una mozione». A parlare era uno studente “fuori corso” con un passato in Democrazia proletaria. Nell’aula, sguardi sbigottiti. Qualcuno, più sincero, azzardò: «Cos’è una mozione?». Era il 1990, un anno dopo la caduta del muro di Berlino e nell’ultimo decennio si era consumata una cesura fortissima fra generazioni. D’un tratto tutto era cambiato, perfino la musica, la moda, le subculture. Per non parlare del rapporto dei giovani con la politica. Così se i loro fratelli maggiori ascoltavano i Beatles o Neil Young, gli studenti della Pantera erano cresciuti con i Duran Duran o, nella migliore delle ipotesi, con la new wave. Ma con i pantaloni a zampa di elefante e i maglioni fatti a mano erano stati rottamati anche l’interesse per la politica e la partecipazione. Ed ecco gli sguardi sbigottiti della generazione “paninara” di fronte a quella parolina “magica”: «Mozione». Lo studente “anziano” quella volta lasciò l’assemblea pisana sbottando: «Per il futuro del proletariato sarà meglio che vada a studiare…». Poi però, come ricorda Carmelo Albanese nel suo C’era un’onda chiamata pantera (Manifestolibri), la parte più “sveglia” del movimento aiutò a crescere quella che si era trastullata con Nove settimane e mezzo e gli Spandau. E la Pantera, in un tam tam di occupazioni che percorse tutto lo Stivale, trovò il coraggio e gli strumenti politici per declinare i propri no alla controriforma Ruberti dell’università. Ovvero la riforma del 1990 che oggi rischierebbe di apparire democratica se letta in controluce con quella dei ministri berlusconiani Moratti e Gelmini. Con studenti e famiglie costrette oggi a sborsare cifre da capogiro per accedere a un diritto fondamentale come quello allo studio, in una sistema universitario sempre più privatizzato e scadente nell’offerta culturale, sempre più baronale, che blocca la ricerca e il ricambio generazionale nell’insegnamento.

Stimolati dal libro di Albanese, va riconosciuto forse che la Pantera nel ’90 ebbe il merito di annusare i rischi di quella prima deregulation liberista aprendo la politica di sinistra ai movimenti no global (sulla cui scia, nel 1991, nacque Rifondazione comunista). Ma questo certo non bastò ad arrestare l’involuzione culturale che avanzava anche grazie a ministri come Luigi Berlinguer. Nel ’99 portava la sua firma il decreto che cambiava i percorsi universitari introducendone due distinti e spianando la strada al famigerato due più tre. Nel 2004 poi la Moratti avrebbe istituito la soglia dei crediti formativi e l’autonomia dei singoli atenei. E via di questo passo fino alla pesante dequalificazione che di recente ha sollevato la protesta dell’Onda. Un movimento, rispetto alla Pantera, meno disposto a lanciarsi in battaglie politiche di principio ma che – come racconta ora uno dei suoi leader, Francesco Raparelli ne La lunghezza dell’Onda (Ponte alle Grazie) – ha saputo tenere la barra ben dritta sulla propria identità studentesca, rivendicando il diritto a una formazione di qualità e di respiro internazionale.

da left-avvenimenti del 9 aprile 2010

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