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L’Iran svelato. Dalle artiste

Pubblicato da: Simona Maggiorelli su aprile 11, 2010

Non rifiutano l’Islam ma il fondamentalismo. Scelgono l’esilio ma non tagliano le radici. Indossano il velo ma rappresentano  una nuova immagine di donna. Il vero volto  del Paese raccontato dalla creatività femminile

di Simona Maggiorelli

Mandana Moghaddam

Il  coraggio della rivolta, di dire no a un potere teocratico e oppressivo erede del regime di Khomeini. L’onda verde, irresistibile, di ragazzi e ragazzi che sono scesi in piazza per protestare contro i brogli elettorali praticati dal governo di Amadinejad. Nelle strade di Teheran, rossetti rossi e ciocche di cappelli che sfuggono ribelli al velo; la sfida delle giovani donne iraniane a una società ancora patriarcale e segregante passa anche attraverso la bellezza e la femminilità. E passa soprattutto attraverso l’arte, la letteratura e la poesia come raccontano ancora oggi, con voce toccante, i versi di Forough Farrokhzad (1935 -1967), «che audacemente decise di abbattere le barriere sociali per non rinunciare alla propria identità femminile», annota Silvia Cirelli nel catalogo della Biennale Donna di Ferrara 2010. A lei è idealmente dedicata questa XIV edizione della rassegna emiliana dedicata all’arte contemporanea iraniana attraverso i lavori di sei artiste appartenenti a generazioni differenti e dai percorsi fra loro diversissimi. Ma che in comune con Farrokhzad hanno la capacità di cogliere e rappresentare le tensioni che attraversano la cultura iraniana divisa tra tradizionalismo ed esigenze di modernizzazione.

Una battaglia politica e ideologica che, troppo spesso, usa il “corpo” delle donne come territorio di guerra. Prova ne è il numero altissimo di donne iraniane, rimaste vedove o senza famiglia, che si vedono ricacciate ai margini della società e costrette alla prostituzione. Prova ne sono le barbariche leggi della sharia che vorrebbero cancellare le donne dalla sfera pubblica e costringerle a una vita domestica di mogli e madri, nonostante le università di Teheran registrino numeri altissimi di studentesse.

Shadi Ghadirian

«Quella che l’Iran sta vivendo è una vera e propria schizofrenia culturale» precisa Silvia Cirelli, ideatrice della Biennale in programma dal 18 aprile al 13 giugno nel Padiglione di arte contemporanea di Ferrara. «La schizofrenia culturale di cui parlo – spiega a left la curatrice della rassegna – ha radici nella quotidianità che molte iraniane sono costrette a vivere, perennemente sospese tra l’obbligo di rispettare le leggi islamiche e il fatto di poter essere se stesse solo nel privato. Le donne iraniane, di fatto, vivono una doppia vita, quella richiesta dall’islam e quella invece scelta da loro. è inevitabile – sostiene Cirelli – che questo continuo “sdoppiamento” a lungo andare provochi degli scompensi esistenziali che portano a fare esperienza diretta dei contrasti dell’Iran odierno. Queste contraddizioni sociali e culturali attuali si leggono molto spesso nell’arte contemporanea iraniana: si critica il proprio Paese ma allo stesso tempo non si rinnega mai la propria appartenenza culturale, si parla di religione, di islam ma allo stesso tempo si evidenziano i limiti che a volte questa religione può avere se viene mal interpretata. Gli artisti sono quindi portavoce della sofisticata realtà iraniana, amata ma allo stesso tempo criticata per le arretratezze sociali». A colpire uno sguardo esterno è anche il complesso e vischioso rapporto che un’ampia fascia di artiste e intellettuali iraniane ha stabilito con la religione. In una vasta gamma di posizioni che trovano espressione nelle opere ma anche nelle scelte e negli stili di vita. Così, per esempio, accanto a donne come l’avvocato e scrittrice Shirin Ebadi che significativamente non indossa il velo, c’è chi al contrario accetta l’hijab perché in Iran come in molti altri Paesi della galassia islamica «il velo non nasconde le donne, ma anzi le rende visibili nella sfera pubblica» come scrive Renata Pepicelli in Femminismo islamico (Carocci). Un libro che racconta un vasto panorama di studi islamisti condotti da studiose con lo scopo di dimostrare che molti precetti misogeni imposti dalla shiarja non trovano fondamento storico nel Corano. «Quasi tutte le artiste di questa Biennale – approfondisce Cirelli – sono credenti e vivono la religione come una parte importante della loro vita. Ciò non toglie che tutte sottolineino che ci si debba allontanare dagli integralismi per abbracciare il vero islam e non quello seguito da fanatici religiosi. Il problema, insomma, sarebbero le tante interpretazioni sbagliate che sono state date dell’islam e che erroneamente considerano la donna inferiore all’uomo». Intanto però il controllo sulla donna e sul modo in cui viene rappresentata l’immagine femminile nella sfera pubblica negli ultimi trent’anni è stato opprimente. «A partire dalla rivoluzione islamica del 1979 c’è stato un controllo rigido sul mantenimento delle leggi islamiche, la salvaguardia della religione è diventata un’ossessione che è penetrata di forza nella quotidianità degli iraniani e soprattutto delle donne. Anche se – racconta Cirelli- non ci sono leggi che vietano la riproduzione del corpo femminile, un organismo di di governo come il Controllo della moralità nei luoghi pubblici sta ostacolando ormai da anni quelle rappresentazioni femminili che a loro avviso offendono l’islam».

Shadi Ghadirian

Un esempio concreto di questa forte censura lo si può vedere nel video documentario che Firouzeh Khosrovani presenta a Ferrara: mostra come i manichini “formosi” siano stati banditi dalle vetrine di Teheran. Le arti visive così come il cinema in Iran, invece, da molti anni si interessano all’identità della donna. E la rappresentano poeticamente. «Ma – ricorda la studiosa -il recente arresto del regista Jafar Panahi, Leone d’oro a Venezia con Il cerchio, dimostra come i vertici del governo stiano continuando a ostacolare la libera espressione cercando di nascondere le facce sconvenienti dell’Iran. Non è un caso che molte opere o mostre di artisti contemporanei iraniani siano censurate perché considerate contro lo Stato…». Per continuare una propria ricerca, senza dover rischiare la libertà e la vita, di fatto molte artiste iraniane hanno scelto la via dell’esilio. «Mandana Moghaddam, Parastou Forouhar e Ghazel vivono ormai da anni all’estero. Ma – sottolinea Cirelli – tutte hanno conservato un fortissimo legame con la propria cultura. L’identità iraniana non viene mai dimenticata o abbandonata. Al contrario viene evocata in gran parte dei loro percorsi artistici».

Ma non solo. Vivissima, dai loro lavori, appare la partecipazione emotiva a ciò che sta succedendo in Iran. «Tutte le artiste della mostra sono estremamente sensibili a quello che sta succedendo in quest’ultimo anno nel loro Paese di origine. Le elezioni e i brogli che si sono riscontrati in seguito sono stati un campanello d’allarme che ha risvegliato chi è da anni stanco della rigida politica del governo. Il movimento che ancora popola le strade di Teheran è partito dai giovani ma si è esteso a più fasce della popolazione, a dimostrazione di come in Iran ci sia ormai un malcontento molto radicato».

da left-avvenimenti del 9 aprile 2010

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La doppia rivolta dell’Iran

Pubblicato da: Simona Maggiorelli su marzo 2, 2009

kader abdolah e sua figli bahar

kader abdolah e sua figli bahar

Dopo aver partecipato alla rivoluzione contro lo scià, Kader Abdolah ha combattuto la teocrazia degli ayatollah. Da esule è diventato una delle più importanti voci della letteratura neederlandese. Dopo il romanzo La casa della Moschea lo scrittore iraniano ha tradotto Il Corano presentandolo come “un libro di alta poesia, scritto da un uomo del suo tempo”

di Simona Maggiorelli

Non è stato un caso, è stata la vita. Se un giorno sono caduto improvvisamente dalle alte montagne della Persia sulla fredda, umida terra d’Olanda, a imparare una lingua fredda e umida”. Una lingua, scrive l’iraniano Kader Abdolah “che alle mie orecchie non aveva ritmo, non aveva musica: una lingua piatta come il Paese in cui ero approdato. Ma sapevo che quella lingua dovevo farla mia, altrimenti non sarei sopravvissuto. E allora divenne bella, divenne la mia casa. Ora vivo in questa lingua». E proprio in questa lingua reinventata, da esule, Kader Abdolah ha scritto i suoi libri più intensi: da La scrittura cuneiforme (Iperborea,2003) fino al più recente La casa della moschea (Iperborea, 2008). E oltre. Con una traduzione del Corano in olandese e una biografia romanzata della vita di Maometto. Libri che hanno fatto discutere anche la tollerante Olanda, dacché Kader Abdolah ha presentato il testo sacro dell’Islam come “un libro altamente poetico, scritto da un uomo del suo tempo”.

«Una volta pensavo che fosse possibile fare tutto, decidere tutto, ma poi ho capito che a volte sono gli altri a decidere per te”, racconta lo scrittore che abbiamo raggiunto telefonicamente a Delft, la città dove ora vive. “Detto altrimenti: non avevo alcuna intenzione di studiare il nederlandese – ammette- ma all’improvviso ho dovuto farlo, altrimenti sarei morto dentro”.

Fresco laureato in fisica all’università di Teheran, Kader Abdolah, il cui vero nome è Hossein Sadjadi Ghaemmaghami Farahani. nel 1979 aveva preso parte alla rivolta studentesca contro lo scià. Scampato alla morte durante la rivoluzione e poi ancora miracolosamente durante la lotta giovanile contro Khomeini e il suo Stato teocratico, ora che poteva dirsi salvo in Olanda, Abdolah scopriva che aveva ancora paura di morire, ma questa volta non sul piano fisico.“Nella nostra idea di rivolta, in Iran da ragazzi,non eravamo propriamente comunisti. Se avevamo un mito era quello romantico di Che Guevara” ricorda oggi Kader Adolah. Dopo aver visto morire il fratello più giovane e compagne e compagni sotto entrambi i regimi, lo scrittore decise di fuggire dal suo Paese. Orgoglioso di uno pseudonimo derivato dalla combinazione del nome di amici torturati e portando con sé tanti messaggi nella bottiglia: quel pieno di immagini e di miti che avevano colorato la sua schiva infanzia in Iran.

la-scrittura1Un’infanzia solitaria trascorsa in quella Casa della moschea da cui prende il titolo il suo ultimo romanzo tradotto in italiano. Un romanzo duro, di forte denuncia della violenza del regime degli ayatollah, ma insieme poetico, scolpito in poche scarne parole che lasciano filtrare immagini di una antica tradizione poetica persiana. “Quando arrivai in Olanda, pensando che fosse l’America – ci racconta Kader Abdolah – disponevo non più di un centinaio di parole, giusto quelle che avevo imparato per riuscire a parlare con una donna che avevo incontrato”. Parole essenziali, scavate nella vita. Parole semplici, dal suono pieno. Con quei pochi segni icastici ( forse chissà una ricreazione del linguaggio gestuale inventato da bambino per parlare con il padre sordomuto) Kader Abdolah scrisse il suo primo piccolo grande libro, Il Viaggio delle bottiglie vuote; poi sarebbero sgorgati molti altri capolavori. Sotto una potente cifra poetica, romanzi percorsi da un medesimo tarlo: cercare di scoprire le radice della violenza religiosa .” Se noi leggiamo la storia dell’Iran negli ultimi cinquecento anni- chiosa Kader Abdolah- capiamo meglio come sia stata possibile l’ascesa al potere degli ayatollah. Noi eravamo giovani e da studenti non avevamo tempo per approfondire la ricerca. Ma oggi rileggendo quella lunga storia è facile vedere che gli ayatollah non stavano aspettando altro che il momento giusto per prendere il potere. La loro cultura, se così si può chiamare, è intrisa di pensiero religioso, annulla tutto ciò che accade nella modernità. Proprio per questo dispongono della violenza come unico elemento per “governare” il Paese”.

lacasa-nella-moscheaE Kader Abdolah aggiunge: “Non parlo solo di violenza fisica. Il regime degli ayatollah usa la violenza psichica come arma micidiale; in modo violento cercano di cambiare il tuo modo di pensare. Usano una terribile violenza silenziosa per alterare la mente dei nostri bambini. Obbligandoli a leggere e a imparare a memoria solo il Corano e i dogmi religiosi. Da trent’anni a questa parte i giovani iraniani sono costretti a leggere per due o tre ore al giorno le scritture sacre a scuola. Ecco come mantengono il potere”. Un regime teocratico che in primis tradì la giusta ribellione delle tantissime giovani donne che coraggiosamente erano scese in piazza contro lo scià. “Anche in quegli anni -spiega Kader Abdolah eravamo sotto regime: allora di marca americana. L’America è un paese bello per certi versi. Ma ha avuto anche volti terribili. Noi giovani eravamo antiamericani, così come eravamo contro lo Scià, il quale non era altro che una marionetta degli Stati Uniti. Noi sapevamo bene cosa era giusto rifiutare, ma non avevamo un’immagine chiara, costruttiva, di ciò che il Paese avrebbe potuto diventare. Nel frattempo si erano fatti avanti gli ayatollah con i loro libri sacri”. Sperando in un riscatto del Paese, anche per mano di 50 milioni di iraniani che oggi hanno meno di 35 anni, è possibile pensare che una donna come il premio Nobel Shirin Ebadi , prima o poi, possa diventare Premier? “E’ una speranza grandissima- risponde Kader Abdolah- ma temo ci vorranno almeno duecento anni prima che in Iran diventi realtà. Non riusciremo a disarcionare gli ayatollah prima di un centinaio di anni, esercitano un potere religioso assoluto nei villaggi: approfittandosi dell’ignoranza strumentalizzano migliaia e migliaia di persone nelle regioni più povere del Paese. Veramente – sottolinea Kader Abdolah – penso non riusciremo a liberarcene in breve tempo. Fino ad allora, temo, non ci sia nessuna speranza che una donna possa diventare capo del governo In Iran. Anche se ne nostri cuori è il sogno più bello”.

Del resto – conclude Kader Adolah con un caldo sorriso-, credo che voi italiani sappiate bene di quale violenza religiosa contro le donne sto parlando”.

da Left del 13 marzo 2009

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