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Viaggio in Iran.Fuori dal pregiudizio

Pubblicato da: Simona Maggiorelli su settembre 30, 2009

Simona Maggiorelli
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INCONTRI. Lo scrittore Jason Elliot a Roma racconta il suo lungo lavoro di ricerca sulla tradizione culturale dell’antica Persia. Ritrovandone le tracce nascoste in un Paese oppresso da molti anni di regime teocratico.

di Simona Maggiorelli

Un semplice dettaglio come il nome di una strada. E la curiosità di vedere quante volte, negli anni quella targa è stata cambiata. Per damnatio memoriae nelle tante guerre che punteggiano la storia di quella che un tempo fu la Persia. Per servilismo dello Scià verso gli Stati Uniti. Per impeto rivoluzionario e poi per violenta restaurazione teocratica  degli ayatollah. Da un particolare di toponomastica ricostruire un intero mosaico di storia. Rintracciandone i segni nel presente. È il talento originale dell’inglese Jason Elliot: scrittore, studioso di storia, viaggiatore, giornalista culturale e molto altro ancora. Quasi una eclettica figura di letterato ottocentesco a dispetto dei sui quarantaquattro anni ben portati.

E così, come un inattuale flâneur, lasciandosi prendere da ciò che gli viene incontro per le strade e poi prendendosi tutto il tempo per studiare Elliot, per esempio, è riuscito a ricostruire in Specchi dell’invisibile, viaggio in Iran (Neri Pozza) la storia stratificata e complessa della censura iscritta nella mappa di Teheran. Rintracciando anche la sotterranea e sorprendente vitalità di tradizioni eterodosse. Tanto eversive come poteva essere quella dell’antica poesia persiana  per Khomeini e oggi per Ahmadinejad.

Così mentre il grande Ciro, fondatore del primo impero persiano (che venticinque secoli fa conquistò Babilonia, Assiria, Macedonia e Cina orientale), finì sotto la scure degli ayatollah che gli preferirono un oscuro personaggio sulla targa di un’importante strada della capitale, quello stesso regime teocratico non cancellò affatto la memoria degli antichi poeti persiani anche se avevano sempre avuto un rapporto assai conflittuale con l’ortodossia religiosa.

«Le immagini sensuali della loro poesia – nota Elliot – hanno sempre attirato gli strali dei bigotti e le dottrine mistiche esposte velatamente nei loro poemi causarono l’ostilità dei teologi tradizionalisti». Quasi tutti i grandi lirici persiani erano seguaci della mistica sufi che celebrava il rapporto fra uomo e donna e sbeffeggiava il clero, in nome di una relazione diretta con il divino. Ma non solo. «Passi di Khayyam parlavano di vino e di incontri e libagioni. Mentre il poeta Firdausi celebrava la gloria degli antichi re persiani preislamici. Nonostante il biasimo del regime il suo nome non è mai stato cancellato dalla toponomastica né la sua opera è mai stata ufficialmente messa al bando. Un dettaglio da cui si può dedurre – conclude Elliot – l’enorme rispetto che ancora oggi quella tradizione letteraria riscuote anche dalla parte più intollerante del Paese». Un fatto che può apparire paradossale.

Ma non a chi conosca la complessità iraniana dall’interno. Al Festival della letteratura di viaggio a Roma Elliot, presentando Specchi dell’invisibile insieme al precedente libro sull’Afghanistan, Una luce inattesa (Neri Pozza), è tornato a rovesciare il cannocchiale occidentale mettendo a fuoco quei pregiudizi che distorcono la nostra lettura dell’Iran. «L’ostacolo maggiore alla comprensione sottolinea con passione – è quel nostro giudicare nascosto e preventivo che si frappone fra noi e la realtà. Una sorta di schermo invisibile che ci impedisce di vedere il mondo come è realmente. Personalmente- ammette Elliot – ho cominciato a scrivere proprio per cercare di bucare quello schermo. Un sano scettismo anche rispetto a ciò che raccontano i media occidentali oggi mi pare indispensabile».

dal qotidiano terra 29 settembre 2009

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La Persia ritrovata in un volto di donna

Pubblicato da: Simona Maggiorelli su marzo 2, 2009

Lo scrittore iraniano Abdolah parla del suo ultimo romanzo ambientato in Sudafrica

ritratti-e-un-vecchio“ Quando nel 1988 sono arrivato in Olanda come rifugiato politico ho voluto scrivere nella lingua del Paese doveva avevo scelto di vivere. E’ stata dura, all’inizio. Lavoravo come fossi un gioielliere, sceglievo le parole ad una ad una. La osservavo, la annusavo e solo allora scrivevo. Era un lavoro di artigianato che mi richiedeva un’enorme energia”, racconta lo scrittore iraniano Kader Abdolah, in tour in Italia per presentare il suo nuovo romanzo Ritratti e un vecchio sogno pubblicato dalla casa editrice Iperborea. Oggi quasi si stenta a credergli conoscendo la lingua dei suoi romanzi poetica, essenziale, eppure icastica, quasi carnale. Con questa lingua si è costruito una nuova casa in Occidente, senza mai tradire i propri ideali e il ricordo dei compagni morti nelle prigioni dello scià e poi di Khomeini.

ap-abdolah2 Facendosi cantastorie e divulgatore della cultura della Persia antica e al tempo stesso testimone della violenza della repressione fondamentalista. Non a caso Kader Abdolah fa dire al protagonista La scrittura cuneiforme (Iperborea):”avevo paura, non che mi uccidessero, ma che mi distruggessero. Costringendomi a mettermi in ginocchio”. Ora, passati molti anni, lo scrittore iraniano sembra aver sentito l’esigenza di compiere un viaggio a ritroso. Ma non tornando esattamente sui suoi passi, ma scegliendo di fare rotta verso Sud, verso “la bruna terra africana”, sotto il cielo azzurro e bruciante del Sudafrica. Un Paese che gli evoca l’immagine della propria terra. Un’immagine che ritorna nei suoi pensieri notturni. In sogno tornano Attar, Soraya, Runi e gli altri compagni giustiziati dal regime. Ma questo viaggio con la bruna terra africana sarà per lui anche la strada per l’incontro con una donna e la storia, non solo quella personale, forse, potrà ripartire.

Da Avvenimenti de 30 aprile 2007

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