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Posts Tagged ‘Palaexpo Roma’

Nel segno di Caravaggio

Pubblicato da: Simona Maggiorelli su dicembre 29, 2008

Due mostre dedicate al genio del Seicento e la Biennale firmata da Birnbaum fra gli eventi più attesi del 2009 di Simona Maggiorelli

Se il 2009 sarà l’anno dell’attesa Biennale di Venezia firmata dallo svedese Birnbaum, quello alle porte, dal punto di vista dell’arte, tocca rassegnarsi, sarà anche l’anno del Futurismo e del suo inventore, quel Filippo Tommaso Marinetti che, annusato lo spirito dell’avanguardia parigina, ne fece una traduzione casereccia e fascistoide inneggiando alla nuova era «dell’uomo dalle parti intercambiabili» e al mito di una modernità fatta di sole macchine. Accanto alla ridda di mostre e pubblicazioni – perlopiù a uso romano e milanese e delle rispettive giunte – spiccano, però, oltre alla monografia edita da Skira, alcune iniziative come l’uscita del libro dello studioso di letteratura russa Guido Carpi, Futuriste. L’altra metà dell’avanguardia (Castelvecchi) e la mostra al Mart di Rovereto dedicata alle invenzioni creative del cubofuturismo russo, ben lontano dalla retorica retriva del futurismo nostrano. Ma intanto, in attesa dei cosiddetti grandi eventi, già da gennaio, fioriscono qua e là in Italia esposizioni, apparentemente “in minore” ma che hanno il pregio di invitare il pubblico a tornare a godersi grandi classici. A cominciare dalla mostra che Brera dedica dal 19 gennaio, nell’occasione del bicentenario della sua Pinacoteca, all’opera geniale di Caravaggio e incentrata su alcune opere come La cena di Emmaus del 1606, qui a confronto con un’altra edizione autografa dell’opera conservata alla National Gallery di Londra. Una mostra, quella di Brera che sarà accompagnata da catalogo Electa a cura dell’allieva di Longhi, Mina Gregori e che, idealmente, avrà un seguito a settembre, a Roma, con la rassegna Caravaggio e Bacon alla Galleria Borghese, incentrata su un confronto per molti versi ossimorico, fra il maestro del Seicento italiano e il pittore irlandese ora celebrato in una mostra alla Tate Gallery di Londra; un confronto fra antico e moderno pensato da Claudio Strinati e Michel Peppiatt, in accordo con quella ipervalutazione che le angosciate visioni di Bacon continuano ad avere da alcuni anni in Europa e negli Usa. Ancora fra i “grandi eventi” una proposta Electa nata in collaborazione con il Comune di Urbino, che in primavera ospiterà una mostra dedicata ai lavori giovanili di Raffaello raccogliendo in Palazzo Ducale una ventina di dipinti e altrettanti disegni del pittore urbinate. A Forlì invece, dal 25 gennaio, si ripercorre L’ideale classico tra scultura e pittura di Antonio Canova, con alcuni inediti confronti con opere di Raffaello e Tiziano. Dalla instancabile fucina di Linea d’ombra libri, coprotagonista di tutte le mostre di Marco Goldin, poi, una doppia proposta per la friulana Villa Manin: una mostra dal 26 settembre dedicata all’età di Corot e Monet e, quasi in contemporanea, una rassegna dedicata al simbolismo e alla secessione viennese, raccontata attraverso le opere di Boecklin, Klimt e Schiele. E poi, per approdare al Novecento, al Palaexpo di Roma (ora sotto la guida di Ida Gianelli) una mostra dedicata ad Alexander Calder, e alle sue architetture aeree in lamine colorate che cambiano forma a ogni soffio d’aria e, sempre a Roma, alla Gnam, dal 4 marzo, una retrospettiva dedicata a uno degli artisti americani contemporanei più noti: Cy Twombly. Infine, da non perdere di vista, la grande retrospettiva che la Galleria nazionale dell’Umbria dedica dal 4 aprile ad Alberto Burri, la più importante nella sua terra natale, dopo la grande mostra che gli ha appena dedicato la Triennale di Milano.

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Quadriennale déjà vu

Pubblicato da: Simona Maggiorelli su agosto 1, 2008

Prometteva un mosaico vivo e vitale delle ultime generazioni di artisti, ma la kermesse romana si arena fra stanchi calchi dei maestri del Novecento
di Simona Maggiorelli

Dopo edizioni non proprio esaltanti, la Quadriennale d’arte di Roma (al Palaexpo fino al 15 settembre) quest’anno prometteva di essere «un’occasione importante per riflettere sulle diverse personalità che formano il mosaico articolato dell’arte delle ultime generazioni in Italia». Un mosaico dalla «vitalità forte e diffusa» e «ingiustamente ignorato dalle grandi manifestazioni internazionali». Così nelle parole di Lorenzo Canova, uno dei cinque curatori di questa Quadriennale 2008, insieme a direttori di museo di lunga esperienza come Bruno Corà e Claudio Spadoni e alle più giovani curatrici Chiara Bertola e Daniela Lancioni. A far da bussola nella scelta dei nomi, la ricerca di linguaggi non omologati nell’orizzonte di una serrata globalizzazione. Ma anche il tentativo di raccogliere in una partitura strutturata le opere selezionate, analizzandone le ascendenze e le eventuali assonanze. Propositi più che meritori ricordando il guazzabuglio degli anni passati. Ma proprio il fatto di averli messi nero su bianco nel catalogo (Marsilio) e nei vari annunci crea una precisa aspettativa, rendendo ancora più deludente la visita alla mostra. Quella che si para davanti agli occhi dello spettatore, di fatto, è una lunga teoria di opere “in minore” di nomi affermati – da Beecroft a Pivi, da Arienti a Toderi – insieme a pitture, sculture e installazioni di artisti meno noti ma che , purtroppo, raramente brillano per originalità e inventiva. A dominare insomma è un triste effetto déjà vu. Con stanche riproposizioni dei modi dell’Arte povera nelle installazioni al neon di Liliana Moro e nella composizione di materassi e reti di Simona Frillici. Rielabora figure di modelle prese dalle riviste di moda Adriano Nardi e ripropone un cliché di arido minimalismo Giovanni Termini con sculture di tubi innocenti. E se Sopracase si richiama in maniera creativa alla scuola di New York, Debora Hirsh ricalca l’effetto dripping di Pollock, mentre Di Marco e Bazan si attardano addirittura sull’iperealismo alla Hopper. Così, solo dopo aver attraversato lo la sala del calligrafismo astratto ed esornativo di Di Silvestre e di Di Fabio (nonché delle saponette incise con trame ossessive della Di Maggio) che si riesce a trovare un respiro, se non altro, di passione civile, nell’opera di videoarte di Adrian Paci dedicata alle speranze deluse dei migranti e negli asciutti ritratti di Gea Casolaro: uomini fotografati di spalle, sulla loro schiena i nomi di lavoratori morti nei cantieri.
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