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Posts Tagged ‘Quadriennale di Roma’

Un artista sulle rotte dei migranti

Posted by Simona Maggiorelli su novembre 28, 2008

Con mezzi multimediali l’albanese Adrian Paci racconta l’odissea di chi è costretto a emigrare: un epos per immagini. Ad alto tasso di poesia di Simona Maggiorelli

La luce è quella accecante del deserto. Una fila di persone scruta l’orizzonte con speranza. Ma l’atmosfera è immobile. Nessun aereo solca quel tratto di cielo che le separa dal miraggio dell’Occidente. Cambio di scena. Un’imprecisata pista da atterraggio. Come se noi stessi fossimo dentro quel bramato aereo. Attraverso l’obiettivo della macchina da presa vediamo ragazzi, uomini e donne dalla pelle scura che aspettano di salire. Cogliamo ogni piccolo movimento, ogni espressione che si disegna sul loro volto. La fila lentamente avanza. Poi, d’un tratto, tutto si blocca. Il campo si allarga. Al centro della scena, un carrello aereo carico di gente. Ma il velivolo non c’è. Forse non c’è mai stato. Con questo video Centro di permanenza temporanea Adrian Paci ha vinto l’edizione 2008 della Quadriennale di Roma. Un premio che va ad aggiungersi a una lunga serie di riconoscimenti, da quando, appena trentenne, Paci debuttò sulla scena internazionale esponendo nel padiglione Albania della Biennale di Venezia del ’99. Poi sarebbero venute le altre mostre in Italia (vedi la bella monografia Adrian Paci edita da Charta), al MoMa e in giro per il mondo. L’ultima si è aperta il 25 novembre scorso a Tel Aviv. Mentre le sue foto che si fanno pitture e disegno, le sue sculture “viventi” e le sue struggenti opere di videoarte sono sempre più contese dalle gallerie. Dalla sua Adrian Paci ha una pluralità di linguaggi artistici che ha imparato a padroneggiare con destrezza già quando studiava in accademia in Albania. E una tessitura di immagini ricca di riferimenti colti alla storia dell’arte, non solo d’Occidente. Ma l’effetto finale è, spesso, di somma sprezzatura. Semplicità folgorante e una straordinaria intensità poetica sono le cifre del suo epos per immagini che ha per protagonisti i migranti di oggi.

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Quadriennale déjà vu

Posted by Simona Maggiorelli su agosto 1, 2008

Prometteva un mosaico vivo e vitale delle ultime generazioni di artisti, ma la kermesse romana si arena fra stanchi calchi dei maestri del Novecento
di Simona Maggiorelli

Dopo edizioni non proprio esaltanti, la Quadriennale d’arte di Roma (al Palaexpo fino al 15 settembre) quest’anno prometteva di essere «un’occasione importante per riflettere sulle diverse personalità che formano il mosaico articolato dell’arte delle ultime generazioni in Italia». Un mosaico dalla «vitalità forte e diffusa» e «ingiustamente ignorato dalle grandi manifestazioni internazionali». Così nelle parole di Lorenzo Canova, uno dei cinque curatori di questa Quadriennale 2008, insieme a direttori di museo di lunga esperienza come Bruno Corà e Claudio Spadoni e alle più giovani curatrici Chiara Bertola e Daniela Lancioni. A far da bussola nella scelta dei nomi, la ricerca di linguaggi non omologati nell’orizzonte di una serrata globalizzazione. Ma anche il tentativo di raccogliere in una partitura strutturata le opere selezionate, analizzandone le ascendenze e le eventuali assonanze. Propositi più che meritori ricordando il guazzabuglio degli anni passati. Ma proprio il fatto di averli messi nero su bianco nel catalogo (Marsilio) e nei vari annunci crea una precisa aspettativa, rendendo ancora più deludente la visita alla mostra. Quella che si para davanti agli occhi dello spettatore, di fatto, è una lunga teoria di opere “in minore” di nomi affermati – da Beecroft a Pivi, da Arienti a Toderi – insieme a pitture, sculture e installazioni di artisti meno noti ma che , purtroppo, raramente brillano per originalità e inventiva. A dominare insomma è un triste effetto déjà vu. Con stanche riproposizioni dei modi dell’Arte povera nelle installazioni al neon di Liliana Moro e nella composizione di materassi e reti di Simona Frillici. Rielabora figure di modelle prese dalle riviste di moda Adriano Nardi e ripropone un cliché di arido minimalismo Giovanni Termini con sculture di tubi innocenti. E se Sopracase si richiama in maniera creativa alla scuola di New York, Debora Hirsh ricalca l’effetto dripping di Pollock, mentre Di Marco e Bazan si attardano addirittura sull’iperealismo alla Hopper. Così, solo dopo aver attraversato lo la sala del calligrafismo astratto ed esornativo di Di Silvestre e di Di Fabio (nonché delle saponette incise con trame ossessive della Di Maggio) che si riesce a trovare un respiro, se non altro, di passione civile, nell’opera di videoarte di Adrian Paci dedicata alle speranze deluse dei migranti e negli asciutti ritratti di Gea Casolaro: uomini fotografati di spalle, sulla loro schiena i nomi di lavoratori morti nei cantieri.
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