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#Rodin, il marmo, la vita

Posted by Simona Maggiorelli su dicembre 12, 2013

Rodin, il bacio

Rodin, il bacio

Con un percorso che squaderna sessanta sculture, la mostra Rodin, il marmo, la vita in Palazzo Reale a Milano  si presenta come una delle retrospettive italiane più ampie  dedicate allo scultore francese che rinnovò radicalmente le arti plastiche tra Ottocento e Novecento, mandando definitivamente in soffitta la scultura accademica che, a confronto con le sue creazioni vibranti, dinamiche, cariche di tensione, appariva immediatamente rigida, inespressiva, pesante, letteralmente ingessata.

Ma come si può ben immaginare la rivoluzione dei canoni estetici imposta da August Rodin (1840-1917) con i suoi emozionanti bozzetti e le sue potenti statue sempre “in divenire”, non fu vista di buon occhio dall’establishment dell’epoca che se ne sentì scalzato. E tanti furono i rifiuti, i tentativi di emarginarlo, di impedire che ottenesse riconoscimenti. Con grande tenacia Rodin – per quanto non venisse dalla Parigi abbiente – seppe a poco a poco farsi strada trovando un proprio pubblico. Dapprima accettando anche di mettersi a servizio di altri artisti già affermati come Ernest Carriere Belleuse, che Rodin seguì fino in Belgio. Ben presto, però, i rapporti fra i due si deteriorarono e Rodin si ritrovò praticamente in mezzo a una strada. Finché la produzione di una serie di piccoli gruppi di terracotta finalmente trovò degli acquirenti.

Con i pochi soldi ricavati da quella vendita Rodin poté realizzare un sogno: fare un viaggio nella penisola per conoscere dal vivo le opere di Michelangelo e degli altri scultori e pittori che hanno fatto grande la storia dell’arte italiana. Quello compiuto nel 1876 fu un viaggio in totale anonimato, avendo solo pochi spiccioli per mangiare e dormire, un viaggio rapido e concitato, ma ugualmente strutturante per la messa a punto della poetica originalissima di Rodin che molto deve alla eroica monumentalità di Michelangelo e più ancora al “non finito” dei Prigioni che sembrano ingaggiare una lotta sovrumana per emergere dalla pietra. Un aspetto che la mostra milanese (aperta fino al 26 gennaio 2014, catalogo Electa) racconta in una sezione dedicata e intitolata “La poetica dell’incompiuto”: vi figurano bozzetti connotati da un forte pathos romantico ma anche sculture in cui la tecnica del non finito accentua il dinamismo e la “freschezza” del risultato finale.

È il fascino dell’imperfetto e di quel certo modo di fare arte che lascia trasparire la tensione creativa piuttosto che il dettaglio analitico e le rifiniture. Quasi che l’opera potesse restare aperta a ulteriori significati e assorbire col tempo nuove sfumature attraversando temperie culturali diverse. Una qualità del “non finito” del “durare” e “ricrearsi” nella storia che Rodin intuì giovanissimo.

Ma come ci raccontano opere celeberrime come Il bacio,  (presente a Milano) la sua speciale maestria si esprimeva anche in un modellato capace di catturare riflessi di luce e tratteggiare drammatici e intensi chiaro-scuri,lontani dalle levigatezze accademiche e dalla leziosità della scultura francese del Settecento. Dopo Milano la mostra realizzata in collaborazione con il Museo Rodin di Parigi sarà a Roma. (Simona Maggiorelli)

 Dal settimanale left-avvenimenti

RODIN NOSTRO CONTEMPORANEO, intervista al curatore Flavio Arensi

“Rodin è un grande innovatore come pochi altri chiude un’epoca e si apre a  quella successiva gettando dei semi ” dice a left  Flavio Arensi, curatore della mostra milanese Rodin, il marmo, la vita  insieme a Aline Magnien del Musée Rodin di Parigi. In Palazzo Reale  la retrospettiva   aperta fino al 26 gennaio 2014 presenta una sessantina di opere del maestro francese, raccontate anche attraverso un catalogo Electa.Quando dico che Rodin fu un grande innovatore non intendo solo artisticamente – approfondisce Arensi – .Perché, dopo Michelangelo, è lo scultore che più ha rinnovato l’arte plastica,  ma anche concettualmente. Rodin anticipa i grandi maestri della  contemporaneità, inizia una lunga riflessione sul materiale della scultura e  capisce che lì sta la chiave per rompere col passato, gestisce un atelier ampio  come farebbe oggi un artista londinese o newyorkese, sa fare relazioni  pubbliche, ma sopratutto intuisce che la scultura come si è concepita da  Michelangelo in poi è giunta a un capolinea e chiede di essere rifondata. Da  lui lavorano molti artisti che poi sarebbero diventati grandi autori, Brancusi,  Bourdelle, Pompon, non dimenticando Camille Claudel. Tutte le avanguardie guardano a  Rodin, alla sua scultura, al suo usare in maniera anticipatoria il ready-made, al suo cercare l’ombra come la luce.

Quale influenza ha avuto la scultura di Michelangelo e la sua “l’arte del  levare” nel percorso artistico di Rodin?
Possiamo dire che Rodin conosce Michelangelo fin da studente, ma comprende  Michelangelo solo quando affronta il primo viaggio in Italia nel 1875. In  questa occasione capisce e assimila la grande statuaria italiana e il portato  del genio fiorentino in particolare. Quando torna in Francia cambia il suo modo  di concepire la scultura, cambia concettualmente prima che tecnicamente. I  marmi riflettono più del bronzo la poetica del non finito, che non è  assolutamente fine a se stessa piuttosto segue un’intenzione estetica e teorica  precisa: serve a illuminare la scultura, a far germinare le forme. Lo spunto  michelangiolesco non è copiato ma sfruttato in chiave totalmente nuova, quasi  pittoricamente, e a questa ragione bisognerebbe rivedere i pochi quadri di sua  mano, quelli che per la prima volta abbiamo esposto nella mostra legnanese.
Quale è stato il percorso per realizzare  questa mostra?
Da oltre sei anni frequento il Musée Rodin e mi confronto con Aline Magnien,  capo conservatore delle collezioni, nonché anima di questa mostra. Nel 2010  abbiamo curato insieme un’esposizione di centoventi opere fra dipinti, disegni,  sculture dedicate agli inizi di Rodin fino alla Porta dell’Inferno, il suo  capolavoro, nel museo di Legnano che allora dirigevo. Quando il Musée  Rodin ha deciso di studiare i marmi del maestro è stato normale chiedere di  poter collaborare e portare la mostra in Italia, prediligendo le sedi di Milano  e Roma dove le collezioni d’arte ci offrono dei legami importanti fra l’opera  dell’artista francese e i suoi riferimenti culturali (la Pietà Rondanini e  l’epopea michelangiolesca romana). Credo che una collezione tanto ampia di  opere fuori dai confini francesi – o dello stesso Musée Rodin – sarà difficile  poterla vedere per lungo tempo. (Simona Maggiorelli)
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Una Risposta a “#Rodin, il marmo, la vita”

  1. ravecca massimo said

    Il “non finito” è la caratteristica del genio. Come il “non luogo”, il “non nome”, il “non tempo”, ecc… L’astuto Ulisse crea un “non nome”, Nessuno, per ingannare Polifemo, e un “non luogo”, il cavallo di legno, per ingannare i troiani. Queste entità frutto di processi ricorsivi, giochi di specchi, sono state usate, anche da Gesù e Leonardo da Vinci. Michelangelo nella scultura, la sua arte preferita è ancora insuperato. Michelangelo uso “giochi di specchi” anche negli affreschi della Cappella Sistina, e per rimandi tra Volta e Giudizio. Cfr. Ebook (amazon) di Ravecca Massimo: Tre uomini un volto: Gesù, Leonardo e Michelangelo. Grazie.

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