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Cattelan non ha inventato nulla

Posted by Simona Maggiorelli su agosto 12, 2011

di Simona Maggiorelli

Gino de Dominicis teschio

Imprendibile Gino De Dominicis, personaggio enigmatico e irriverente che ha attraversato come una meteora l’arte italina del secondo Novecento. Precorrendo molte trovate di artisti di oggi. Dopo la retrospettiva al MAXXI curata da Achille Bonito Oliva, ora Skira pubblica il primo catalogo ragionato della sua opera. Imprescindibile eppure paradossale ricordando che De Dominicis non aveva mai voluto cataloghi che documentassero le sue mostre.

Molto prima dei teschi tempestati di diamanti che hanno reso famoso (e ricco) Damien Hirst. Molto prima di installazioni provocatorie come i bambini fantoccio impiccati in piazza a Milano con cui Maurizio Cattelan ha fatto scandalo, c’era un artista saltimbanco, enigmatico e imprendibile, come Gino de Dominicis (1947-1998) che – con scheletri sui pattini, teschi dal naso di Pinocchio e opere invisibili – aveva fatto dello spiazzamento dello spettatore (obbligandolo a pensare in proprio) la cifra della propria poetica.

Convinto che «in principio era l’immagine» e non il verbo, Gino de Dominicis rifuggiva le astratte pontificazioni teoriche, si esprimeva per aforismi poetici e non voleva cataloghi per documentare le sue mostre, lasciando che fossero solo le proprie opere – sculture, disegni, installazioni- a parlare, nel rapporto diretto con il pubblico.

catalogo De Domincis

Frugando in libri e cataloghi che poi, malgré lui, sono stati pubblicati nel corso dei suoi trent’anni di carriera, si possono incontrare solo sue rarissime interviste. Fra cui una davvero singolare in cui Achille Bonito Oliva formulava domande molto articolate e De Dominicis rispondeva solo con un sì o con un no.

Così come deprecava la descrizione delle sue opere, De Dominicis non amava che fossero fotografate. «La fotografia non crea riproduce o interpreta l’esistente» diceva. E poi aggiungeva: «Erroneamente ritenute documentative le fotografie non hanno alcuna relazione con le mie opere».

Chissà – viene da chiedersi- come avrebbe accolto ora la notizia della pubblicazione del catalogo ragionato della sua opera in un monumentale volume edito da Skira: curato da Italo Tomassoni, attraverso 632 opere schedate, la monografia fotografa passo dopo passo ogni sua realizzazione. Di fatto per gli storici dell’arte (e non solo) questa è una pubblicazione importantissima, imprescindibile per tutti i futuri studi su De Dominicis. Senza per questo voler svelarne il “mistero”, né imbrigliare in categorie il lavoro di quest’artista marchigiano che volle sempre rimanere distante dalle mode e dai movimenti consolidati, compresa l’Arte povera.

Come e più di Cattelan, di fatto, De Dominicis da artista rifletteva criticamente su tabù sociali, sull’evoluzione della scienza, sulla cultura dominante. E come ci ricorda la mostra che Vittorio Sgarbi ha curato alla Galleria Giorgio Franchetti di Venezia (fino al 30 settembre, catalogo Silvana editoriale) De Dominicis, soprattutto, s’impegnò per contrastare l’omologazione che già dopo le avanguardie storiche intossicava il mondo dell’arte. Basta pensare alla sua famosa mozzarella in carrozza con cui, sbeffeggiando Duchamp faceva vedere che una mozzarella resterà sempre tale, anche se messa in una preziosa teca di museo.

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