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Un popolo di bambini

Posted by Simona Maggiorelli su marzo 20, 2011

Pietro Marcenaro

Il senatore del Pd Pietro Marcenaro ha guidato la prima inchiesta parlamentare sulla condizione di Rom , Sinti e Camminanti in Italia. Lo abbiamo incontrato per saperne di più

di Simona Maggiorelli

«La scelta di conoscere è una decisione di per sé politica perché interrompe la spirale pregiudizio-ignoranza. E il fatto che si tratti di un’inchiesta parlamentare (di un’indagine che per la prima volta viene fatta su Rom e Sinti nel Parlamento italiano) gli conferisce un particolare valore». Così il senatore del Pd Pietro Marcenaro presenta il lavoro d’indagine durato oltre un anno della Commissione straordinaria dei diritti umani da lui presieduta. «E mi pare anche da sottolineare che questo nostro rapporto è stato approvato da tutti i gruppi parlamentari. Se è vero che c’è una destra in Italia che ha particolarmente giocato la carta della xenofobia e del razzismo – sottolinea Marcenaro – sbaglieremmo se pensassimo che sia un problema solo della destra. L’ignoranza verso i Rom e Sinti è un problema che ci riguarda tutti».
Tanto che la violenza delle leggende metropolitane sui Rom, in Italia, trova sponda anche sui media e nelle aule di tribunale.
«Su questo – prosegue Marcenaro – posso raccontare anche un’esperienza personale. A dicembre sono andato a trovare in carcere Maria, una ragazza che è stata condannata in seguito all’accusa di aver tentato di rapire un bimbo. In questo carcere minorile di Nisida vicino a Napoli la sezione maschile è piena di giovani “militanti” nelle famiglie camorristiche e con reati di sangue. La parte femminile di quel carcere, invece, è composta solo ed esclusivamente da ragazze rom. La stessa cosa l’ho verificata a Torino. Nel libro di Luca Cefisi Bambini ladri (Newton Compton) si ricostruisce il fatto che dal 1945 a oggi fra le tante le denunce che ci sono state di Rom che avrebbero rapito dei bambini solo in quattro casi sono stati avviati dei giudizi per tentato rapimento. Quello di Maria è l’unico caso di condanna in 60 anni. Ed è stata emessa da parte di un tribunale che anche successivamente ha confermato un forte orientamento razzista. C’è un documento, che ora dovrebbe essere al vaglio del Consiglio superiore della magistratura, nel quale viene respinta una domanda di assegnazione a pene non detentive perché si tratta di un Rom. L’appartenenza alla comunità rom, per quel tribunale, implica che una persona non possa scontare la pena in altro modo…
Dall’ inchiesta parlamentare che immagine emerge dei Rom e Sinti che vivono in Italia?.
In primis emerge che si tratta di un popolo di bambini. Su 5mila persone che vivono nei campi di Roma, per esempio, i bambini con meno di 14 anni sono il 67 % e le persone con più di 60 anni sono circa il 2,9 % (contro il 25 % della media italiana). Che queste persone vivano molto meno del resto degli italiani è un sospetto ben concreto.
Nel giugno scorso fra le  92 raccomandazioni che il Consiglio dei diritti umani dell’Onu ha fatto all’Italia, ben 10 riguardano la condizione di Rom e Sinti.
La loro condizione è difficile in tutta Europa, tanto che è considerata uno degli standard per una politica dei diritti umani e di lotta contro le discriminazioni. Ma in Italia c’è un fenomeno che gli altri Paesi non hanno: “la campizzazione” dei Rom e Sinti. Ovvero, la vita in discarica, perché tali sono la maggior parte dei campi. Di solito noi non li guardiamo. E anche chi li guarda, vede i campi come in una fotografia, un’istantanea. E poi passa oltre. Invece provi a immaginare di trovarsi davanti a un lungo film. Ci sono tre generazioni di Rom e Sinti che hanno conosciuto solo la discarica per vivere. Qui sono nati e cresciuti dalla metà degli anni Sessanta. Oltre il 60% delle persone che abitano in questi campi-discarica hanno una cittadinanza di paesi della ex Jugoslavia, il 20 % circa sono Romeni arrivati più di recente. Ma se invece della cittadinanza lei va a vedere dove sono nati, scopre che più del 50 % sono nati in Italia. Accanto a loro ci sono persone che non sono nemmeno apolidi perché sono prive di qualsiasi elemento di identità ufficiale. Ma i loro figli e nipoti sono nati qui. Sono una parte di quei minori nati in Italia, figli di immigrati e a cui non vien riconosciuta la cittadinanza italiana. E in questo caso la situazione è ancora più dolorosa perché è passato molto tempo. E’ mezzo secolo che esiste questa realtà dei campi rom e, ripeto, c’è solo in Italia in questa forma e con queste caratteristiche.
Così come solo in Italia si continua a parlare di nomadi?
C’è ancora questo equivoco enorme. Quando i nomadi sono solo il 2 o il 3 % al massimo. Anche i Rom e Sinti venuti dall’Est non lo erano già più. Oltrecortina dove nessuno si poteva muovere pensiamo forse che li lasciassero essere nomadi? Erano già stati tutti “sedentarizzati” da tempo, poi vennero obbligati nuovamente a “ziganizzarsi”.
Quali soluzioni immagina per il problema campi?
Semplicemente bisogna cominciare a smantellarli, iniziando dai più degradati. Al contempo, come ha detto il presidente dell Repubblica Giorgio Napolitano quando è andato a far visita alla famiglia dei quattro bimbi morti nel rogo, «bisogna trovare delle soluzioni stabili ed accettabili». E vanno trovate confrontandosi con le persone. Ci sono già esempi positivi in questo senso, c’è tanta gente che lavora, che si impegna e che potrebbe costituire la base di una politica nuova.
Per quanto riguarda la scolarizzazione?
Anche per quanto riguarda le scuole dobbiamo intervenire. Proprio perché parliamo di un popolo di bambini. Ma non si può pensare che la faccenda della scuola sia disgiunta da come si abita, dal fatto se ci sono luce e acqua o meno. Occorre anche concorrere a creare un clima diverso fra i banchi. Chi di noi manderebbe suo figlio in una scuola dove, appena entrati, si sente scattare un giudizio, uno stigma? Importantissimo poi, specie in situazioni di forte deprivazione, anticipare i momenti di socializzazione, costruire asili e scuole materne che coinvolgano le madri. Come è fondamentale che crescano mediatori culturali fra gli stessi Rom e Sinti. Dobbiamo investire su questo consentendo loro di poter lavorare ed essere retribuiti, non limitandoci solo a dare loro accesso a una formazione.

Quanto a quello a cui accennavamo all’inizio riguardo ai pregiudizi che circolano anche in certe aule di tribunale?
Ci sono delle leggi e dei principi che vanno rispettati. Questo riguarda tutti. Ma non si può passare dal punire chi ha compiuto dei reati a colpevolizzare un’intera comunità. Se uno compie un reato la comunità ha il diritto di non essere trattata come colpevole.
Le nostre leggi però non sempre sono eque con i Rom e Sinti. Cosa pensa della legge 482 del’99 che non li riconosce fra le minoranze linguistiche?
Proprio l’altro giorno, con la firma di tutti i gruppi, abbiamo presentato due proposte di legge: una di “riparazione”, per includere il genocidio dei rom nella nostra Giornata della memoria, un genocidio che sciaguratamente è stato  cancellato dalla memoria collettiva. La seconda riguarda appunto il riconoscimento della lingua Rom e Sinti fra le minoranze linguistiche da tutelare. Norme, è vero, che toccano fatti simbolici, ma anche i simboli contano. Sono aspetti della nostra cultura che dovranno cambiare ma, ahimé, nella società non cambiano automaticamente con i tempi della politica.

da left-avvenimenti

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