Che fine ha fatto la body art
Posted by Simona Maggiorelli su marzo 21, 2011
di Simona Maggiorelli
Corpo come pennello da intingere nel colore come faceva Ives Klein per le sue enigmatiche ed evocative Antropometrie fatte di ombre, tracce, forme appena accennate. Corpo tecnologico e cyborg come nelle sculture viventi di Stelarc. Corpo ridotto ironicamente a feticcio nei tableaux vivants di Luigi Ontani. O addirittura corpo da segnare e ferire (Gina Pane e Marina Abramovic) o da manipolare e cambiare con ossessione chirurgica nelle performances ad alto tasso di masochismo a cui si sottoponeva Orlan.
La body art, specie in questa sua ultima feroce declinazione, ha conosciuto il suo momento di auge dopo il ‘68 e nei primi anni ‘80 quando fra le cosiddette avanguardie furoreggiavano pensiero debole e violente filosofie transgender, che pretendevano di rottamare l’identità sessuale ( in quanto «ostacolo alla liberazione dal capitale e dall’ideologia»). A ripercorrere oggi reperti video e scatti fotografici che documentano quelle pratiche si ha la sensazione di trovarsi davanti a un cumulo di macerie. Traumatofilia, volontà di scioccare lo spettatore , esibizionismo. E’ ciò che oggi appare più evidente in quelle esperienze. Poco o nulla vi si trova che possa dirsi arte, creazione di immagini nuove, universali. Di più. A rileggere la storia della body art – come invitano a fare in modi diversi Per-corsi di arte contemporanea (Skira) di Francesca Alfano Miglietti e Il corpo nell’arte contemporanea (Einaudi) di Sally O’Reilly – appare evidente che anche l’impatto iconoclasta, di rottura, che avevano allora certe sperimentazioni sia svanito, senza lasciare traccia. O quasi. Così dopo gli happening selvaggi, dopo il caos e l’autodistruzione, il corpo torna protagonista dell’arte contemporanea come presenza statuaria, svuotata ed estetizzante. L’allure patinata delle riviste di moda dilaga nelle rappresentazioni anni ‘90 di corpi atletici e quasi plastificati alla Mapplethorpe. Così come nelle visioni silenziose, nei ritratti di dee haute couture realizzati da un autore raffinato come Franco Fontana. Proprio una serie di nudi firmati Fontana sono messi a confronto con ritratti anni ‘70 di Arno Rafel Minkkinen, dal 18 marzo, nelle sale della Fondazione Bottari Lattes di Monforte d’Alba in una mostra che lascia intendere quale sia stato il passaggio culturale che si è compiuto negli ultimi quarant’anni. E lo si può leggere ancor più chiaramente nella collettiva Community al Marca di Catanzaro ( fino al 27 marzo catalogo Electa). In un percorso che dalle feste dei figli dei fiori fotografate da Gabriele Basilico arriva fino alle anestetizzate modelle di Vanessa Beecroft
da left-avvenimenti
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