Tutti i colori del nero
Posted by Simona Maggiorelli su luglio 15, 2010
Né neri né monocromi come appaiono a prima vista. Venturi rilegge la storia dei Black paintings
di Simona Maggiorelli

Ad Reinhardt
Grandi maestri del passato come Antonello da Messina, Leonardo, e più ancora Caravaggio, ci hanno insegnato che l’ombra, il buio, ma anche il nero più pesto, in pittura possono offrire sfumature infinite, cariche di senso e di espressione. Che il nero non sia affatto “un non colore” lo ha dimostrato anche un geniale sperimentatore come Van Gogh, che negli ultimi anni, in pennellate sempre più dense e materiche, usò il nero per marcare drammaticamente una visione che si faceva via via più vertiginosa e instabile, precipitando verso la crisi più grave che l’avrebbe portato al suicidio. Ma anche Matisse, con tutt’altro registro e fine, mise in primo piano il nero dipingendo una finestra aperta sul buio più scuro in un’opera singolare come Portafinestra Collioure (1914) ora conservata al Centre Pompidou. Un quadro che rimase curiosamente inedito fin dopo la morte del pittore. E che mostra sapientemente quanto il nero possa essere vivo, animato di morbidi riflessi, accendendo così l’attenzione dello spettatore verso ciò che è latente, apparentemente invisibile. E l’excursus sui molti e più creativi usi del nero in arte potrebbe continuare ancora a lungo, toccando la vitalità e la potenza del nero picassiano oppure, al contrario, l’uso sfumato e tormentato che ne fece Rothko in Nero su marrone, l’opera in più pannelli oggi alla Tate Galery di Londra. Ma un critico come Riccardo Venturi con il suo nuovo libro intitolato Black paintings eclissi del modernismo (Electa) oggi ci invita a uscire dalle piste più battute per andare a scovare barlumi di ricerca e un uso originale del nero, là dove non ci aspetteremmo, ovvero nell’arte americana degli anni Sessanta e Settanta. E in particolare nelle “pitture nere “ che realizzarono Frank Stella e Ad Reinhardt «In realtà i black paintings di Reinhardt – nota Venturi – non sono né neri né monocromi. Osservandoli qualche minuto ci si accorge che il suo nero è colorato come un’ombra impressionista». Un effetto di profondità che Reinhardt riuscì a realizzare attraverso la sovrapposizione di numerosi strati di colore: dal blu al rosso al verde, al marrone, all’ocra, al porpora.
Contrariamente alla lunga tradizione ottocentesca, da Goya a Redon, che aveva usato il nero per trasmettere un senso tenebroso di distruzione e di violenza, anche psicologica, secondo Venturi la ricerca di Reinhardt e Stella «rigetta ogni facile lettura simbolica» cercando nel nero un movimento, e strade nuove per dare fiato a «un’arte vivente che non finiva di venire al mondo». Ipotesi suggestiva, ma se vogliamo regalare qualcosa a Reinhardt, bisogna allora anche dire che il suo fu l’ultimo tentativo di ricerca. Ben presto la minimal art e l’arte concettuale, a partire dal nero oggettivante di Forma zero di Malevich, avrebbero calato una calotta nera, funerea e opprimente su tutta l’arte americana
da left-avvenimenti 8 maggio 2009
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