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Serve vera prevenzione

Pubblicato da: Simona Maggiorelli su luglio 8, 2010

Depressione post partum. Occorre più informazione. E possibilità di colloqui con terapeuti in strutture non ideologizzate. Il parere della  psichiatra Annelore Homberg

Dopo recenti fatti di cronaca, il presidente della Sigo Giorgio Vittori propone, con lo psichiatra cattolico Antonio Picano, un Tso per le donne a rischio di depressione post partum. Dott.sa Homberg, da psichiatra, cosa ne pensa?
In psichiatria non esiste un Tso perché la persona “potrebbe” ammalarsi. Si può essere ricoverati contro la propria volontà solo quando si sta già molto male. Lo psichiatra deve valutare la situazione psichica e se è compromessa, allora, secondo i termini di legge, può e deve proporre il Tso. Poi la persona dev’essere ricoverata in un Spdc. Non vedo la necessità di un’altra forma di Tso; certo, vedo la necessità che le strutture per il Tso siano civilissime e che garantiscano l’assenza di stress ambientale per la donna incinta. Il problema da affrontare è poi il post ricovero: che la donna venga seguita bene, ma questo non c’entra  col Tso extraospedaliero.
E il Tso dopo il parto?
Se una donna è depressa-suicida o se delira floridamente mi sembra più intelligente allontanarla da casa e dal bambino (aiutando i familiari a occuparsene) finché non sta meglio. Un bebé con una madre fuori di sé non si diverte certo e anche la madre si riempie di sensi di colpa. Più in generale, su questo progetto mi sorgono alcune domande. Se si vuole raggiungere il numero più alto di donne incinte, non sarebbe più sensato rivolgersi in primis ai ginecologi e ai consultori, e fare finalmente una corretta informazione in tv? Questo rivolgersi alle «donne in gravidanza ricoverate» siamo certi che poi non vada a ricadere sulle donne che chiedono di abortire, affliggendole con diagnosi di depressione e magari anche di altro? Sarò diffidente ma non riesco proprio a fidarmi di nulla che abbia l’appoggio del sottosegretario alla Salute Eugenia Roccella.
La donna di Passo Corese  che ha gettato la figlia dalla finestra era in terapia farmacologica. Quel giorno avrebbe dovuto recarsi a un controllo. Si è parlato di depressione. C’era di più?
Non conosco direttamente la signora ma le modalità – uccisione del bambino in modo cosiddetto incongruo e il fatto che la donna, se ho ben capito, dopo non ha tentato di togliersi la vita – in effetti fanno pensare ad altre diagnosi, di tipo delirante o prettamente schizofrenico.
Imporre test alle donne in gravidanza serve? In termini scientifici e di rapporto con le potenziali pazienti non è quanto meno improduttivo?
Non può e non deve esserci mai un obbligo a fare dei test, anche se larvato. Non esiste che un medico rincorra i pazienti perché non hanno compilato i test! Diventa un controllo assurdo. Se si vuol fare prevenzione – sempre sperando che il questionario sia valido e non una trappola – non sarebbe più pulito dare alle donne e ai familiari il questionario e i mezzi per valutare le risposte in luoghi appropriati? Poi potranno decidere se contattare chi può dar loro una mano, ovvero una struttura pubblica o comunque non ideologizzata. A parte il fatto che i questionari non contengono nulla che non potrebbe venire fuori da un colloquio (anche se ammetto che per la ricerca sono utili), vorrei ricordare che un questionario in gravidanza è una cosa e la reazione della donna e del padre quando nasce un bambino è un’altra. Tutto questo parlare di campanelli d’allarme ed elementi prognostici già durante la gravidanza ha i suoi motivi ma non deve distogliere l’attenzione dal fatto che a provocare le eventuali reazioni psichiche non è la gravidanza quanto la nascita di un nuovo essere umano. Con la situazione nuova e complessa che i neogenitori si trovano ad affrontare. A quel momento deve andare tutta la nostra attenzione. E se un intervento psichiatrico viene richiesto o è necessario, non sono certo i farmaci a risolvere ma la capacità dei terapeuti di comprendere e curare nel rapporto. Infine, una cosa banale ma importante. Se si vuole fare una prevenzione seria, non dimentichiamo il presupposto di tutto: una corretta e ampia informazione sugli anticoncezionali e la difesa della legge 194. Non si può cercare di imporre gravidanze non volute e, insieme, spacciarsi per amici che lottano contro la depressione delle donne.

da left-Avvenimenti, 9 luglio 2010

DOCUMENTI

ROMA, 20 gen 2006 – Uno scambio di battute dai toni particolarmente accesi ha animato oggi la conferenza stampa del Comitato Nazionale di Bioetica (CNB). Nodo del confronto-scontro che ha visto protagonisti il presidente del CNB, Francesco D’Agostino, e il ginecologo bolognese Carlo Flamigni, il documento, diffuso nei giorni scorsi dal CNB dal titolo ‘Aiuto alle donne in gravidanza e depressione post-partum’. Flamigni lamenta la decisione di trattare nel documento non solo la depressione post-partum ma anche la questione relativa ai consultori, una scelta di cui, precisa, ”non sono stato mai informato prima dell’inizio delle riunioni plenarie”.”Molta gente mi vorrebbe bruciare vivo – ha detto Flamigni, che denuncia una scarsissima considerazione delle opinioni della minoranza da parte del CNB, relegate a postille nei documenti approvati. ”Non scrivero’ piu’ postille – ha aggiunto Flamigni – perche’ sono solo un modo per cancellare le posizioni di minoranza”. D’Agostino ribatte: ”la discussione su questo tema va avanti dal 2002, ci sono state 15 sedute di gruppo a partire da quella data, Flamigni e’ sempre stato tenuto aggiornato sull’ordine del giorno. Trovo che un’ora e mezza di discussione,oggi, su questo problema sia veramente esagerata. Cosa dovremo fare in alternativa alle postille? Forse registrare solo i voti contrari?”. Non si fa attendere la replica di Flamigni: ”c’e’ una scelta peggiore – sbotta – quella del rogo per le minoranze”. ”Nessuno ha ipotizzato il rogo”, risponde D’Agostino. ”Non ad alta voce”, ribatte Flamigni. Non e’ la prima volta che le spaccature nel CNB vedono protagonisti i due membri, ma questa volta la polemica acquista toni piu’ accesi del solito, non a caso attorno al tema della 194. ”Non voglio arrivare a dire che la depressione post-partum sia diventato un pretesto per esprimersi sui consultori, gettando ombre sulla classe medica – dice Flamigni – ma di fatto e’ diventato un documento di critica da cui emerge anche una considerazione del mondo femminile come superficiale, disattento, amorale, che ha bisogno di essere preso per mano, portato a salvamento: un atteggiamento paternalistico, ma anche un ‘revival’ di antichi contrasti tra abortisti e ‘nascisti’. Ma i risultati parlano chiaro: gli aborti con la 194 sono diminuiti”. Inaccettabile, per Flamigni, ”che la prevenzione diventi un modo per fare avere bambini alle donne gravide che possono essere convinte a non abortire”, conclude il ginecologo che sottolinea infine come ”proprio questo tipo di intervento puo’ essere una grande origine di depressione post-partum”.

(ANSA).

20-GEN-06 17:42

ABORTO: SCONTRO FLAMIGNI-D’AGOSTINO (CNB) SU DOCUMENTO

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Riaprono le stanze di Tobino a Maggiano

Pubblicato da: Simona Maggiorelli su Maggio 10, 2010

Mario Monicelli e Silvia  Ballestra inaugurano l’ex manicomio restaurato. E nel centenario dello scrittore escono inediti e studi
di Simona Maggiorelli

Mario Tobino

«La mia vita è qui, nel manicomio di Lucca. Qui si snodano i miei sentimenti. Qui sincero mi manifesto. Qui vedo albe, tramonti e il tempo scorre nella mia attenzione. Dentro una stanza del manicomio studio gli uomini e li amo… Qui, fino a questo momento sono ritornato…», annotava Mario Tobino ne Le libere donne di Magliano (Vallecchi, 1953). Venerdì 11 giugno, in una giornata di studi a Maggiano, a cui partecipano il regista Mario Monicelli e gli scrittori Ballestra e Maggiani, riapriranno proprio quelle “sue stanze” nell’ex manicomio dove visse per quarant’ anni.

Ma in questo 2010 in cui si festeggia il centenario della sua nascita si segnalano anche iniziative editoriali che aiutano a rileggere nella giusta luce il suo lavoro di medico e di letterato. A cominciare dalla presentazione, il 10 giugno al Vieusseux di Firenze, del volume Mario Tobino bibliografia testuale e critica (1910-1991) che raccoglie tutti i suoi scritti giornalistici per arrivare poi al recupero dei diari e alla pubblicazione di alcuni inediti in un’edizione allargata del Meridiano Mondadori. Ma presto lavoreranno a pieno ritmo anche il museo e il centro studi tobiniani.

«Un ampio progetto, insomma, per riportare l’attenzione su un autore che sfugge alle classificazioni, alle scuole e che, per esempio, con Il clandestino ci ha dato uno dei libri più intensi sulla Resistenza» dice Andrea Tagliasacchi della Fondazione Tobino. Ma sarà interessante anche ripercorrere il suo ruolo di testimone attento e critico di ciò che accadeva nei manicomi in Italia. «Sul piano scientifico, va detto, il suo contributo come psichiatra è stato praticamente nullo» avverte lo psichiatra e psicoterapeuta Andrea Piazzi, che con altri colleghi sta lavorando a una nuova storia della psichiatria, di cui alcuni contenuti sono già stati pubblicati sulla rivista scientifica Il sogno della farfalla. «Ma – aggiunge – Tobino è stato il rappresentante di una psichiatria ospedaliera che cercava di umanizzare il manicomio, senza cadere nei “sociologismi dei basagliani”, come li chiamava lui, e anti istituzionali. E ne ha pagato duramente le conseguenze: lo hanno attaccato in modo scandaloso».

Tobino criticò la cosiddetta legge Basaglia? «L’accusava di aver provocato dimissioni indiscriminate causando circa duemila morti fra i pazienti che erano stati fatti uscire senza le dovute attenzioni – ricostruisce Piazzi -. Il suo ruolo di scrittore fu importante nel testimoniare cosa accadde dopo il varo della 180. Ma già negli anni Cinquanta e Sessanta – aggiunge lo psichiatra – erano stati i suoi libri a denunciare ciò che succedeva negli ospedali psichiatrici. Tobino era fra quelli che volevano un cambiamento ma non una chiusura degli ospedali, perché tanti pazienti non avrebbero potuto avere una vita normale». Così come era contrario a una somministrazione di psicofarmaci in assenza di una “psicoterapia”. «Scrisse che la novità degli psicofarmaci non aveva portato i risultati sperati ma – ribadisce Piazzi – sul piano strettamente scientifico non apportò contributi significativi, limitandosi a gestire l’esistente. Certo, Tobino era stato partigiano, era un libertario, non aveva un atteggiamento sadico verso i pazienti, da “custodialista” e basta. Aveva interesse per loro. I reparti allora non erano però organizzati in base a diagnosi mediche ma sul comportamento dei pazienti (agitati, più calmi ecc). Da questo punto di vista, Tobino non cambiò niente. Anche perché lui preferiva leggere Dante…». Resta che, a differenza di Basaglia, non arrivò a dire che la malattia mentale non esiste. Anzi – conclude Piazzi – criticò aspramente il movimento antistituzionale che credeva che al malato bastasse uscire dal manicomio per tornare sano. In conclusione, credo che oggi sarebbe utile una lettura di Tobino libera da quell’acredine che i basagliani gli rivolsero contro. Per averne una visione più vera. Un pensiero stupido, comune, di esaltazione acritica di Basaglia, di fatto, ha oscurato il personaggio Tobino».

da left-avvenimenti del 4 giugno 2010

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