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Le voci di piazza Tahrir oggi

Pubblicato da: Simona Maggiorelli su marzo 17, 2013

Le voci di piazza Tahrir

Le voci di piazza Tahrir

C’è una frase del giornalista e scrittore Vincenzo Mattei che mi ha colpita molto quando, durante una presentazione del suo libro alla Fiera del libro, ha detto che la rivoluzione di piazza Tahrir è stata soprattutto una rivoluzione di pensiero, che ha segnato un cambiamento nella testa delle persone, dei giovani soprattutto che ora non sono più disposti a sopportare un regime, come hanno dovuto fare i loro padri e i loro nonni per lunghissimi anni.

Comunque vada questa rivoluzione, gli egiziani hanno alzato la testa e non torneranno ad abbassarla. La cosa decisiva è che gli egiziani hanno acquisito una consapevolezza di sé e una fiducia nella propria possibilità di incidere nella realtà e poter cambiare le cose. E questa consapevolezza è l’arma che gli egiziani hanno per difendersi ora dai tentativi di controrivoluzione e di criminalizzazione del movimento che nel gennaio 2011 fu spontaneo, di massa, non violento.

Ecco è questo sguardo profondo, non solo rivolto ai fatti e a ciò che c’è dietro, ma soprattutto al vissuto delle persone in carne ed ossa, che rende particolarmente affascinante la lettura de Le voci di piazza Tahrir, il libro edito da Poiesis che, insieme all’autore, presentiamo questa sera al Centro culturale egiziano, a Roma.

Vincenzo Mattei non ha scritto solo un bel reportage, ma da scrittore sa restituirci i pensieri, gli umori, le speranze della gente comune che è stata protagonista di questa straordinaria epopea egiziana contro l’oppressione del regime di Mubarak e la sua corte di oligarchi corrotti. Il 25 gennaio del 2011 è stata rotta l’invisibile cappa di acciaio che ha tenuto un intero popolo, per decenni, in balia di un potere assoluto, affaristico e militare. Vincenzo ci fa capire che quel 25 gennaio, quando piazza Tahrir a Il Cairo diventò l’epicentro della rivolta, rappresenta una vera cesura nella storia egiziana. E ci fa vedere come quel terremoto partisse da lontano, quantomeno dal 6 gennaio 2010 quando un ragazzo di 28 anni, Khaled Said, fu ucciso ad Alessandria di Egitto: ad ammazzarlo di botte furono due poliziotti che cominciarono a pestarlo in un Internet Caffè, senza che lui avesse fatto niente. Quel giovane è diventato in tutto il mondo il simbolo di una violenza di regime, senza senso, che compie azioni criminali impunemente. La misura era colma.

Piazza Tahrir

Piazza Tahrir

La violenza non era più accettabile per i cittadini egiziani che – racconta Mattei nel libro – indipendentemente dal sesso, dalla religione, dalla estrazione sociale e culturale sono scesi in piazza per protestare pacificamente. Un fiume di gente che si mosso sfuggendo ad ogni controllo.“Un milione in piazza è solo un numero che può essere disperso e annullato con con qualche kalashnikov”, annota Vincenzo. Che ci fa ben capire che non erano un milione di eroi, di pazzi, votati al sacrificio. Erano studenti, padri di famiglia, impiegati, disoccupati, gente che viveva una vita normale. Fra loro anche tante, tantissime donne che nei diciotto giorni della rivoluzione hanno dormito all’agghiaccio senza che niente di brutto accadesse loro. Quando stupri e violenze, invece, erano stati usati come strumento politico dal regime di Mubarak.

In piazza anche molti scrittori, artisti, cineasti, intellettuali che, come si evince da questo libro, da tempo lavoravano più o meno inconsciamente sui temi messi all’ordine del giorno della rivoluzione: la lotta alla violenza sulle donne, libertà e giustizia sociale…

Alla maniera di un grande reporter come Kapuscinski, ha vissuto insieme a loro, come uno di loro, quasi scomparendo, mimetizzandosi fra i ragazzi di piazza Tahrir, Leggendo si sente che conosce profondamente e dall’interno la realtà che racconta quasi cinematograficamente, attimo dopo attimo. Vincenzo Mattei racconta con passione, in modo partecipe, ma senza tacere nulla.

Compresa la paranoia di essere osservati, spiati. E la paura umanissima di poter essere da un minuto all’altro atterrato da un proiettile, la tentazione di fuggire all’estero, la necessità di restare, di lottare .La tensione civile e la febbrile, contagiosa, atmosfera della rivoluzione che alla fine arriva a farti dimenticare il rischio che corri singolarmente, per condividere qualcosa di più grande, rendono roventi le pagine di questo libro. In cui si succedono volti, incontri, storie di persone diversissime che si intrecciano e si incontrano nella consapevolezza di non poter più abbassare la testa.

Vincenzo Mattei

Vincenzo Mattei

“La passione non confonde la mente, ma anzi accende lo sguardo e rende intelligenti”. Dunque grazie a Vincenzo Mattei di aver trasmesso a noi che non eravamo in quella piazza questo straordinario affresco di coraggio collettivo; un coraggio che è capacità di reagire all’oppressione, saper reagire in modo costruttivo. Come scrive Vincenzo Mattei ne Le voci di piazza Tahrir: “E’ lì negli interstizi fra il fegato e i polmoni che vive una rivoluzione, tra una corsa, un grido, uno sparo, una massa, una fuga e una nuova riunione. E’ lì nelle strade affollate di gente persa, che segue una strada, un istinto di giustizia una volontà che la propria voce per un secondo, conti, nell’indifferenza di chissà quanti anni di oppressione, di sfruttamento, di silenzio sofferto, di voci soffocate, che inizia la marcia per un coraggio collettivo che annulli l’incapacità e l’impotenza del singolo”. (Simona Maggiorelli)

 Testo della presentazione del libro Le voci di piazza Tahrir di Vincenzo Mattei ( edito da Poiesis, prefazione di Marc Innaro), il 14 marzo, al Centro culturale eiziano

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Ala al Aswani: La rivoluzione? E’ solo umana

Pubblicato da: Simona Maggiorelli su settembre 28, 2011

Durante l’occupazione di piazza Tahrir al Cairo faceva ogni notte un comizio dialogando con la gente, ragionando sulle prospettive della rivoluzione e provando a fare i conti con la paura dei cecchini. Medico e scrittore, ‘Ala al Aswani è l’autore di capolavori come Palazzo Yacobian. Dopo l’appuntamento a Mantovaletteratura è in tour in Italia per presentare il suonuovo libro: La rivoluzione egiziana , da poco uscito per Feltrinelli.

Simona Maggiorelli

Ala Al Aswani

Da sempre critico verso il regime di Mubarak e suo strenuo oppositore, lo scrittore e medico egiziano ‘Ala al-Aswani (autore di potenti affreschi della società egiziana come Palazzo Yacoubian) durante la rivoluzione del Cairo ha trascorso quasi tutte le sue notti in piazza Tahrir, facendo comizi e cercando di «dare una mano a chi dal basso organizzava la protesta. Il mio compito – racconta a left lo scrittore – era quello di sviluppare la discussione su questioni di giustizia sociale e  diritti, ma anche di raccogliere le preoccupazioni e le paure della piazza». Paure che si sono fatte rischio concreto di vita quando i cecchini di Mubarak hanno cominciato a sparare con armi ad alta precisione. «Ogni volta che vedevi il laser fermarsi su un punto della piazza sapevi che una vita umana era stata stroncata con un colpo alla testa – dice Al Aswani-.  Ma quel 28 gennaio, quando hanno cominciato a sparare sulla folla, abbiamo avuto anche la certezza che da quel momento il regime era finito», chiosa lo scrittore in tour in Italia per presentare il suo “diario” da piazza Tahrir, una raccolta di articoli apparsi sulla stampa indipendente e ora pubblicati da Feltrinelli con il titolo La rivoluzione egiziana.
«Io non penso di essere una persona particolare, né tanto meno uno sprezzante del rischio. Ma in quella piazza ho sperimentato uno strano fenomeno che alcuni studi – ho letto poi- descrivono come tipico delle rivoluzioni: quando ti trovi in mezzo a eventi storici di questa portata non ragioni più in termini di pericolo individuale, ma valuti le cose nella prospettiva del “noi”».

piazza Tahrir

Ripensando oggi a quelle settimane, dopo che Mubarak è stato deposto ed è finito in tribunale, «la rivoluzione- dice al-Aswani – mi pare ancor più un sogno ad occhi aperti. Vedere gli egiziani ribellarsi alle umiliazioni inflitte dalla dittatura, alzare la testa e lottare con grande dignità è stata una delle cose più belle per me». Nel frattempo ’Ala al-Aswani al Cairo continua a scrivere articoli e a tenere aperto il suo studio di medico e di dentista, da alcuni anni diventato anche luogo di incontro fra intellettuali dissidenti. Mentre l’eccezionalità della congiuntura ha fatto momentaneamente scivolare in secondo piano la sua attività di romanziere, dagli anni Novanta noto in tutto il mondo per la sua capacità di dare voce a una società egiziana negli ultimi anni diventata sempre più povera e oppressa, senza prospettiva.

«Gli egiziani non sono diversi da altri popoli che abbiano subito una dittatura – spiega al-Aswani-, non sono differenti dagli spagnoli sotto Franco o dai sovietici sotto Stalin. Un dittatore non ha mai doti, gli basta uccidere e torturare. Magari vestendo la maschera di padre della patria. E il risultato è che la gente precipita in uno stato di minorità, è prostrata, fiaccata nell’iniziativa. Ma c’è un momento in cui la frustrazione arriva al top e bastano poche scintille perché scoppi la rivolta. Così – aggiunge Al Aswani  sorridendo – da un giorno all’altro ho visto tutti i miei personaggi di Palazzo Yacoubian scrollarsi da dosso l’inerzia e scendere in strada per protestare».
Per piazza Tahrir quale è stata la scintilla decisiva? «Tre sono stati i momenti salienti: il primo risale al 2008, al grande sciopero organizzato da una rete di attiviste che toccò molto l’opinione pubblica. Nel 2010 poi c’è stato il barbaro omicidio di Khaled Said, un ragazzo di 28 anni, ucciso dalle forze dell’ordine, senza un movente, senza che lui avesse mai aderito a gruppi di protesta né fatto attività politica. Quel crimine – spiega al-Aswani – ha fatto capire a molti egiziani che, anche abbassando la testa, standosene ai margini, non si era più al sicuro dalla violenza del regime. Poi ci sono stati i brogli delle elezioni di novembre che, ancora una volta, hanno dato la maggioranza assoluta del Parlamento a Mubarak: la goccia che ha fatto traboccare il vaso». Adesso cosa ci si aspetta? C’è il rischio che elementi religiosi o di controrivoluzione prendano il sopravvento? «Io non credo, perché la società egiziana ha un fondo laico. Ma è anche vero che, nonostante la piazza si sia costituita come Parlamento alternativo, non ne abbiamo ancora uno eletto». E l’esercito che ruolo sta giocando? «La polizia in Egitto non si è comportata come in Libia – ricorda al-Alswani- ma non ha nemmeno preso posizioni chiare per il cambiamento; del resto molti elementi collusi con il vecchio regime allignano nei suoi ranghi. E tanto più nel ministero di Giustizia che è controllato dal Governo. Ma sono certo che la volontà popolare eserciterà una pressione perché non ci siano imbrogli nel processo a Mubarak».  Quanto alla risposta dei governi occidentali, come è stata vista da piazza Tahrir? «Che Guevara diceva che l’onore è dire ciò che si pensa e fare ciò che si pensa. Ecco, speriamo che i governi occidentali si facciano onore, smettendo le doppiezze. Comunque sia – prosegue al-Aswani- se Governi come quello italiano hanno sostenuto il regime di Mubarak rafforzandolo come oppressore della nostra gente, sappiamo che il popolo italiano non la pensa allo stesso modo.  Se si guarda alla risposta della gente, la rivolta di piazza Tahrir è stata sostenuta da ogni parte del mondo, perché – approfondisce lo scrittore – la rivoluzione è una cosa molto umana: è un movimento che nasce per avere rispetto, libertà, democrazia, dignità. Cose che ogni essere umano capisce al volo. Ora è tempo che anche i Governi si alzino in piedi per la difesa dei diritti umani». Poi rivolgendo un pensiero alla questione israelo-palestinese che questa settimana conoscerà un momento importante all’Onu aggiunge: «Se affrontassimo la questione pensando che siamo tutti esseri umani, si troverebbe una soluzione. Anni fa – ricorda al-Aswani – ho scritto un racconto immaginando un pilota israeliano affettuoso a casa e poi freddissimo quando spara sui bambini palestinesi, visti come nemici in erba. I problemi nascono quando tu consideri l’altro come nemico, come arabo, come musulmano, come cristiano. E non come essere umano. La violenza comincia quando neghi l’umanità dell’altro. Se lo guardi negli occhi, trovi l’umanità che ci accomuna e allora non puoi uccidere. I soldati Usa in Vietnam, non a caso, venivano addestrati a non guardare mai il nemico negli occhi.

IL LIBRO

l libro
Una primavera inaspettata
«Perché gli egiziani non si ribellano? Questa era la domanda che veniva posta ripetutamente in Egitto e all’estero». Così esordisce lo scrittore ‘Ala al-Aswani ad incipit del suo nuovo libro, La rivoluzione egiziana (Feltrinelli): Già, perché le condizioni c’erano proprio tutte: la metà della popolazione egiziana viveva da tempo sotto la soglia di povertà, con meno di 2 dollari al giorno, mentre  Hosni Mubarak monopolizzava il potere da trent’anni, con elezioni truccate. Senza contare che ogni giorno gli egiziani subivano torture e violenze sessuali nelle centrali di polizia per estorcere loro confessioni di reati che non avevano commesso. In questo libro in cui l’autore di Palazzo Yacubian e di Chicago raccoglie articoli scritti per giornali indipendenti, emerge il quadro delle complesse ragioni che impedivano quel colpo di reni che, inaspettato ai più, sarebbe arrivato in quella che è stata giustamente chiamata la primavera araba. Una stagione di grandi promesse di libertà e democrazia. Ma in questo libro che fa comprendere più a fondo i molti volti della rivoluzione egiziana, troviamo anche pagine pungenti in cui lo scrittore e medico al-Aswani non solo denuncia la corruzione e gli abusi del regime  ma invita gli egiziani a riflettere sulle violente imposizioni della religione ( «Il niqab impedisce alle donne di vivere come esseri umani»). Una religione che fa ammalare dice coraggiosamente al-Aswani citando ricerche mediche che raccontano l’alta incidenza di problemi e di malattie mentali in un’Arabia Saudita che, in nome di Allah, si pretende virtuosa e invece è solo altamente repressiva.

Da left-avvenimenti

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