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La bellezza incarnata

Posted by Simona Maggiorelli su aprile 5, 2011

A Forlì una mostra invita a riscoprire Melozzo e i suoi «trovatori del cielo». Studiò a fondo la pittura di Piero della Francesca, umanizzandola

di Simona Maggiorelli

Melozzo da Forlì frammento di affresco

Un incontro di liuti, tamburi, mandolini. Un concerto di armonia di forme e di colori. Che suggerisce allo spettatore un’immagine idealizzata di vita a corte, fra poesia e musica. Non certo un orizzonte sacro e dottrinale che sa di morte.

Tanto che nella sua storia dell’arte italiana del 1913 Adolfo Venturi aveva definito gli angeli di Melozzo da Forlì «trovatori del cielo». Così, con tocco immediato e fresco, evitando l’ombra claustrale ed infida, l’architetto e pittore Melozzo di Giuliano degli Ambrosi (1438- 1494) fa vivere queste sue creature celesti in piena luce, lasciando che un sole radiante riscaldi i suoi quadri.

In pieno Quattrocento, in un’area romagnola ancora artisticamente attardata rispetto a quanto stava accadendo per esempio in Toscana, Melozzo riuscì a voltare i diktat della committenza ecclesiastica a favore di una limpida poetica inneggiante alla vita e all’arte. Distillando un proprio stile originale a partire dallo studio della pittura di Piero della Francesca. Leggendo in profondità l’arte del pittore aretino e umanizzandola. Facendo della bellezza enigmatica e mistica delle Madonne di Piero una bellezza incarnata e presente.

Pier della Francesca madonna Senigallia

Una preziosa summa della pittura di Melozzo è offerta fino al 12 giugno dalla mostra Melozzo da Forlì. L’umana bellezza tra Piero della Francesca e Raffaello (catalogo Silvana editoriale). Una monografica di grande valore scientifico anche perché il direttore dei musei Vaticani Antonio Paolucci, con i curatori Mauro Natale e Davide Benati, è riuscito a ricostruire nei Musei di San Domenico a Forlì una buona parte del complesso programma di pitture che Melozzo realizzò nel 1480 nell’abside della chiesa dei Santi Apostoli: un grande affresco dedicato all’Ascensione di Cristo e tradotto visivamente dal maestro forlivese in una dinamica sequenza di scorci, di punti di vista, di salti, tanto da far sembrare l’insieme una danza. Il colpo d’occhio finale, per quanto frammentario (l’affresco fu ridotto in 14 frammenti nel 1711) lascia l’impressione di una affascinante macchina teatrale, precorritrice delle invenzioni visive di Correggio e di Veronese. Ma l’aver radunato a Forlì una dozzina di dipinti di Melozzo non è l’unico merito di questa mostra che squaderna una sessantina di opere di altri artisti di area romagnola, ricostruendo così quella temperie culturale in cui poi si sarebbe formato Raffaello. Ma non solo. In mostra a Forlì s’incontra anche un capolavoro da poco restaurato come la Madonna Senigallia di Piero della Francesca (che Melozzo aveva conosciuto tra il 1465 e il 1475 a Urbino). Proprio nella colta corte urbinate, come ci ricordano i curatori, l’artista conobbe anche la pittura di fiamminghi e spagnoli come Giusto de Gand e Pedro Berruguete e approfondì quegli studi sulla prospettiva che, tra il 1475 il 1484, gli avrebbero permesso di conquistare la fiducia papale.

da left-avvenimenti 2011

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