La nuova letteratura viene dall’Africa. E ha voce di donna
Posted by Simona Maggiorelli su giugno 3, 2010
Al suo esordio nella narrativa l’etiope Maaza Mengiste si segnala come uno dei talenti emergenti della scena newyorkese. In Europa, invece, la somala Nadifa Mohamed compone il nuovo epos dei migranti
di Simona Maggiorelli
Lo sguardo del leone è quello di chi, pur barcollando, si rialza con fierezza dopo aver subito un attacco micidiale. Per questo, a mo’ di metafora di un intero Paese, la scrittrice etiope Maaza Mengiste l’ha scelto come titolo per il suo romanzo d’esordio, appena pubblicato in Italia da Neri Pozza.
Con una lingua tersa, incisiva, senza ombre di retorica,in questo libro la giovane scrittrice (che oggi vive e insegna a New York) racconta di un’Etiopia che, dopo essersi liberata dalla violenta occupazione italiana vede le speranze della Resistenza tradite da militari etiopi che torturano, sfregiano, uccidono. Un golpe militare che il protagonista della narrazione, l’anziano medico Hailu, un giorno del 1974 vede annunciato da una pioggia di volantini. Dicono che l’imperatore Hailè Selassiè è stato arrestato e che il suo governo è stato destituito. Fra il 26 e il 27 agosto del 1975, il re, “il leone di Giuda” che aveva combattuto Mussolini venne soffocato e sepolto sotto le assi di una latrina, davanti all’ufficio del nuovo dittatore Menghistu. Intanto, per le strade di Addis Abeba, scorreva a fiumi l’entusiasmo di operai e povera gente che sognava una rivoluzione socialista. L”illusione durò poco. Al medico che ha aveva lavorato trent’anni all’ospedale Prince Mekonnen Hospital, ribattezzato Black lion Hospital dal nuovo regime, basterà che qualcuno bussi alla sua porta per lasciargli un sacco di plastica in cui è avvolta una ragazza in fin di vita, stuprata e torturata, per capire quanto violenta sia la mano del regime militare. Lui, “il medico che fa rivivere i morti”, si sente per la prima volta infinitamente stanco e impotente.
E’ così che, con lo sguardo del maturo medico e seguendo le vicende della sua famiglia, Mengiste tratteggia un appassionato affresco di storia dell’Etiopia del Novecento, “rievocando- annota lei stessa- l’essenza di quegli anni tumultuosi attraverso l’immaginazione”. Senza lasciare mai che la cronaca dei fatti, aridamente, prenda il sopravvento.
E una scrittura assolata, ricca di immagini e di echi di favole e miti della tradizione africana è quella che sceglie un’altra giovane scrittrice, la somala Nadifa Mohamed per mettersi sulle orme di un ragazzo che dalle terre occupate dai Ferengi (così venivano chiamati in Somalia i cattolici occupanti fin fai tempi delle crociate), dal golfo yemenita di Aden negli anni ’30 intraprese un disperato viaggio che lo poterà ad attraversare le vie desertiche degli attuali Libia e Israele fino a raggiungere poi, rocambolescamente, le coste dell’Inghilterra.
In Mamba boy (Neri Pozza) Nadifa racconta, in filigrana, la storia vera di suo nonno e di suo padre. “Volevo percorre a ritroso il loro viaggio – racconta a Terra la scrittrice che vive da molti anni in Gran Bretagna-. Anche perché lungo quella stessa rotta oggi si muove un’inarrestabile onda di persone. Non si tratta più di pochi intrepidi come nel secolo scorso, ma i pericoli che devono affrontare per sfuggire alla miseria e potersi costruire un futuro migliore, non sono affatto minori. Vanno avvertiti di questo,ma fermare questo flusso è impossibile e – aggiunge Nadifa- sarebbe un vero delitto. Senza contare che l”immigrazione arricchisce chi parte ma anche chi ospita, nel dialogo, anche se non sempre facile, con nuove culture”.
Ed è un canto d’amore per tutti i migranti quello che Nadifa ha composto in questo libro, scritto in un raffinato inglese ( “la lingua in cui sogno”, dice). Un romanzo che potentemente prende avvio con l’immagine di una donna incinta che nella Savana si assopisce sotto un’antica acacia. Un enorme serpente nero, un Mamba, le sale sulla pancia, ma al suo risveglio l’animale è già sparito nella sabbia. Da questo episodio, o forse sogno, della nonna di Nadifa si dipana la storia di questo coraggioso Mamba boy fra due continenti. E anche questo libro, intrecciando verità e invenzione, si legge come vivido spaccato di storia africana del Novecento. Di una Somalia che è stata violentata dalla colonizzazione e che, ci ricorda Nadifa porta ancora i segni delle ferite lasciate da italiani brava gente . “La cultura italiana da noi si è imposta con maggior violenza di quella inglese che ha avuto più tempo per una lenta penetrazione. E ancora oggi, nonostante la globalizzazione abbia internazionalizzato le rotte e accorciato sensibilmente le distanze, il rapporto fra Africa e Occidente non è cambiato. E’ sempre di sfruttamento. Oggi là uoi lavorare in un’industria americana, inglese o italiana, ma come si evince dalla storia degli anni 80 e 90, la mano d’opera africana, di fatto, è ancora schiavizzata.
dal quotidiano Terra 3 giugno 2010
Rispondi