Mona Hatoum, e quei virus nasconti di violenza
Posted by Simona Maggiorelli su giugno 2, 2009

Mona Hatoum
Sedie intessute da tele di ragno. E casette da incubo. Se la “normalità” è abitata dalla pazzia
di Simona Maggiorelli
Sono oggetti magici, domestici e insieme unheimlich, sottilmente inquietanti, le opere con cui Mona Hatoum da trent’anni va costruendo il suo universo d’arte. Sedie di ferro battuto intessute di rosse tele di ragno, gioielli di vetro che, visti da vicino, rivelano di essere delle bombe a mano. E ancora, grandi mappe del mondo, bianche, di latte, che mostrano la ferita di confini geografici incisi con il sangue, ma anche mappe del suo Paese d’origine, la Palestina, ricamate sopra cuscini da notte e di sogno, aprendo il cuore a una speranza di pace tessuta con filoforte. Ma torna in mente anche quella che è diventata un po’ l’immagine simbolo della poetica di Hatoum: un’ammaliante stanza nella penombra illuminata da un caleidoscopio di luci. Sulle pareti, una parata di stelle lucenti, ma fra di esse, a ben guardare, si scorgono le sagome di militari armati.
Tutta l’opera di Mona Hatoum – fatta di installazioni, sculture, opere di videoarte – può essere letta come un’accorata riflessione sulla guerra, sulla violenza dello sradicamento, sul dolore per la cancellazione di diritti umani fondamentali. Temi su cui Hatoum lavora fin da quando, giovanissima, dovette fuggire dalla città in cui viveva: una Beirut della metà degli anni Settanta devastata dalle bombe e lacerata da conflitti interni. Ma anche a Londra e poi a Berlino, dove ora spesso l’artista preferisce stare, la sua ricerca, non ha perso profondità e mordente. Anzi. Come racconta la retrospettiva Interior landscape (paesaggi interiori) che, dal 4 giugno al 20 settembre ( catalogo Charta), le dedica la Fondazione Querini Stampalia di Venezia, Mona Hatoum è passata dall’indagare la guerra e la devastazione fisica a esplorare qualcosa di più difficile da evidenziare e denunciare: quella violenza invisibile, e non meno distruttiva, che contrassegna rapporti umani malati. Anche in ambienti familiari, dove apparentemente non scorre sangue.
da Terra del 2 giugno, 2009
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