"La città degli Uffizi"
Posted by Simona Maggiorelli su luglio 8, 2006
Fine studioso di Leonardo e di Andrea Del Sarto, Pontormo e Rosso, a cui una decina di anni fa dedicò un’affascinante mostra: L’officina della maniera. Ma anche direttore di oltre trecento restauri di dipinti e paziente riordinatore delle sale degli Uffizi culminata di recente nel recupero della sala della Niobe. Da venticinque anni Antonio Natali lavora agli Uffizi, ma mai come in questi giorni si è visto sulle cronache dei giornali. Per esserne diventato, con un passaggio del tutto naturale, il nuovo direttore. Ma anche per un fatto più spiccio, quei 1600 euro di busta paga da direttore degli Uffizi che sono finiti in prima pagina del Domenicale del Sole 24 Ore. «Lo stipendio più chiacchierato d’Italia», scherza il professore, con vena un po’ bianciardiana, da maremmano doc. «L’intento dell’articolo era lodevole, andava oltre me, per denunciare una situazione generale, molto dura; per chi lavora nei musei e nelle soprintendenze italiane — commenta Natali — ma non capisco perché essere pagato come un semplice insegnante dovrebbe essere offensivo, come qualcuno ha scritto. Mia moglie, che insegna a scuola, si è arrabbiata moltissimo».
Negli ultimi anni, però direttore, la situazione è peggiorata. Assunzioni bloccate per i giovani e un rapido allentamento di dirigenti di vaglia, alla soglia della pensione. Come, per parlare degli Uffizi, è toccato un paio di anni fa a Anna Maria Petrioli Tofani. Un ministero un po’ ingrato verso chi ha dedicato una vita al patrimonio artistico? Anna Maria è stata un’ottima direttrice, se ne è andata per raggiunti limiti d’età. Ma è vero che sono tempi questi in cui, per ragioni finanziarie, non viene concessa proroga, a nessuno. Parlando degli Uffizi, poi, penso anche che non si debba puntare sulla cronaca ma sulla storia. Perché questo è un edificio che non si misura né con i mesi né con gli anni, ma con l’eterno. Sarà la storia a giudicare quello che ognuno di noi ha fatto o avrebbe potuto fare e non ha fatto. Ma è anche vero che è difficile lavorare bene solo se le strutture mancano o se chi va in pensione non viene sostituito, come spesso capita. Nel nostro ministero, in questo senso, c’è stato un gioco al ribasso, che ha riguardato tutti i livelli e gradi della professione. Il risultato pratico è che i custodi sono sempre di meno, le segreterie sempre più sguarnite e mandare avanti un’istituzione come questa, che pesa come un carro armato e ha il motore di una Vespa cinquanta, è difficile.
Lei conosce a fondo gli Uffizi. Ci lavora dall’81. Tutti s’immaginano che sappia già dove mettere le mani, nel suo nuovo ruolo di direttore…
Dove mettere le mani? Per ora, fra i capelli. Se fossi stato chiamato a dirigere un museo, da straniero, probabilmente avrei avuto quei 4 o 5 giorni di felicità e di gratificazione. Poi magari, una volta sul posto, mi sarebbe venuto qualche pensiero. Qui sapevo già cosa mi aspettava, non ho dovuto scoprire niente. So bene che in tempi brevi bisognerà procedere al riordino della galleria. Cpn una nuova distribuzione delle opere, la ricostruzione di una trama espositiva che renda il più possibile educativa, lieve, il meno possibile impacciata una visita agli Uffizi.
Periodicamente, con la mostra “I mai visti” negli anni passati ha fatto riemergere molte opere dai depositi degli Uffizi, si parla di tanti capolavori accatastati. Cosa contengono veramente?
Come dicevo dinanzi, l’idea è quella di pensare a una diversa distribuzione dei quadri della galleria, a maggiori intervalli fra opera e opera. Un progetto in linea con le direzioni che mi hanno preceduto. Gli Uffizi fra qualche tempo godranno di spazi raddoppiati, e finalmente potranno dare la possibilità di una lettura delle opere che abbia tempi diversi. Oggi ci sono sale in cui capolavori indiscussi sono sistemati a una ventina di centimetri l’uno dall’altro. Dal momento che sono testi poetici, e non feticci turistici, come visitatore devo poter avere agio di vedere il quadro, di poterne per le mie capacità percepire la poesia interna, senza che il mio sguardo sia frastornato, come accade, dal quadro accanto di un altro artista o dello stesso artista ma di un altro periodo. Leggere insieme Foscolo e Leopardi affasteliandone le letture non è utile. In futuro i dipinti che ora si trovano all’ultimo piano passeranno al piano sottostante e recupereremo opere anche dai depositi. Ce ne sono tantissime ma non tutte sono compatibili con il tenore delle sale nobili. I depositi sono dei serbatoi del gusto: quello che oggi si considera importante magari domani non lo sarà più. Nel tempo muta il gusto e servono differenti regie. Nei depositi degli Uffizi ci sono opere che oggi la critica non ha sufficientemente rivalutato, ma non bisogna pensarli come luoghi di poca cura. Sono spazi ben ordinati, dove le opere non hanno tutti i traumi di quelle esposte. Non c’è il via vai dei turisti, c’è un’oscurità costante, non ci sono sbalzi di temperatura. Le opere più importanti, comunque, entreranno in galleria. In parte anche quelle, soprattutto del seicento e del settecento, conservate ora nel corridoio vasariano.
Un’altra ala importante degli Uffizi, che conduce fino a Palazzo Pitti. Che futuro avranno le opere che ora sono lì esposte?
Fatta la premessa che in Italia, diversamente che in Francia o altrove, il direttore di museo ha solo una certa autonomia, esprime dei pareti etici e ideologici che poi devono essere sottoposti al soprintendente con una precisa gerarchia, posso dire che la mia idea sarebbe che il corridoio vasariano fosse un piano nobile in cui non ci sia soltanto un transito aereo attraverso la città per arrivare a Boboli con mura nude o quasi spoglie. Le collezioni degli Uffizi sono talmente vaste che rinunciare al corridoio vasariano significherebbe rinunciare a un luogo dove ci sono circa settecento opere. E che non possono essere sistemate in luoghi d’avventura. Una soluzione potrebbe essere portare una parte di queste opere in galleria e, per quanto riguarda i ritratti, che sono una parte consistente, sul modello della National Gallery di Londra, far nascere qualcosa di simile all’adiacente National portrait gallery, con una ricca sezione iconografi ca di disegni e ritratti di condottieri, di principi di duchi, di scienziati, che qualche volta portano firme importanti. Potrebbero essere un archivio poetico di memorie, fatto non solo di carte fredde.
Dove potrebbe nascere questo ideale musei dei ritratti?
Dietro agli Uffizi si sta per liberare il Palazzo di Giustizia, elegante, austero, mi sono chiesto se una parte non potrebbe essere dedicata a queste collezioni che altrirnenii rischiano di restare poco viste. Oltretutto si tratta di un edificio fra il Bargello e gli Uffizi, in una sorta di strettoia, magari potrebbe essere raggiungibile passando dal sottosuolo. Io penso che il futuro dei musei nelle città di oggi sia molto nei sotterranei, come accade al Louvre. Sarebbe un polmone importante anche per il Bargello, un museo di una bellezza fuori dell’ordinario, ma costipato, che non può accogliere più nemmeno uno spillo.
Uno scenario affascinante ma rischia di scontrarsi poi con gli inceppi della burocrazia. È già successo con la Loggia progettata da Isozaki. Cosa ne pensa? Penso che vada fatta. Per ora il retro degli Uffizi è equiparabile al retro di un cinema di seconda categoria, davanti bellissimo dietro molto meno, anche maleodorante. Sarebbe nobilitato da una grande loggia. E poi se si fa un concorso a cui partecipano i più importanti organi dello Stato poi non si può dire abbiamo scherzato.
A Firenze è molto forte la tradizione del Rinascimento, ma certe opere, per i turisti, rischiano di diventare feticci?
Lo sono già per quei turisti che non si fermano nemmeno a dare uno sguardo alle altre opere che ci sono nella sala per vedere la Venere di Botticelli.
Occorrerebbe allargare lo sguardo?
Il bene con gli Uffizi coincide con il bene di Firenze. Se gli Uffizi sono ingolfati occorre che la città tutta, in ogni suo angolo diventi un polo di attrazione culturale. E può farlo. Quando ero un giovane collaboratore di Luciano Berti, una figura per me fondamentale dal punto di vista morale, di studio e di trasporto per questa città, pensai a un titolo agostiniano per una mostra “La città degli Uffizi”. Non a caso. C’è un rapporto davvero osmotico con la città. Non si tratta di un museo in una piana americana riempito con opere del Trecento e Quattrocento che arrivano da molto lontano. Le opere degli Uffizi vengono da palazzi e chiese della città. Basta dire che seguendo la linea dell’Arno, dalle finestre della galleria si intravede il complesso conventuale di San Bartolomeo da cui proviene l’Annunciazione di Leonardo. È lì accanto mentre noi guardiamo l’opera. Bisogna mantenere vivo questo rapporto. Chi fa la fila per vedere il David all’Accademia va informato che a pochi passi c’è il chiostrino dei voti dell’Annunziata dove ci sono le origini della Maniera moderna: il giovane Andrea del Sarto, l’ancor più giovane Rosso Fiorentino e il parimenti giovane Pontormo, uno snodo culturale fondamentale non solo per l’arte italiana.
Un rapporto più stretto fra patrimonio e territorio. Fa venire in mente la casa natale di Pontormo, a Empoli che lei ha appena inaugurato.
Un luogo straordinario della memoria di uno dei massimi artefici della pittura del Cinquecento. È un esempio concreto di recupero che dimostra come l’arricchimento culturale di quello che c’è intorno non sia un impoverimento di quello che c’è qui agli Uffizi e che comunque ci sarà sempre.
Simona Maggiorelli – Europa
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