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Lo sguardo liberato

Posted by Simona Maggiorelli su settembre 8, 2013

Tintoretto, Venere e Marte sorpresi da Vulcano

Tintoretto, Venere e Marte sorpresi da Vulcano

Raramente capita di leggere pagine di critica che abbiano la “leggerezza” e la capacità di “far vedere” che caratterizza quelle di Danie Arasse (1944 – 2003), fine conoscitore d’arte e studioso eclettico che, per quanto facesse parte dell’establishment intellettuale francese ai più alti livelli (avendo diretto l’École des hautes études en sciences sociales di Parigi e l’Istituto francese di Firenze) aveva saputo mantenere la curiosità, l’immediatezza e la passione contagiosa di un giovane ricercatore.

Memorabili le sue conferenze, vivaci, imprevedibili, mai paludate. Ma anche certi suoi saggi scritti in forma dialogica e talora proprio come lettera indirizzata ad amici oppure a colleghi con i quali amava polemizzare con piglio giocoso ma senza rinunciare ad argomentazioni serrate. Alcuni di questi scritti sono ora raccolti nel volume Non si vede niente pubblicato da Einaudi. Un libro sorprendente per come Arasse riesce, con freschezza, a mettere in crisi e addirittura a ribaltare interpretazioni sedimentate, date ormai per scontate.

È questo il caso di un’insolita opera di tema mitologico come Marte e Venere sorpresi da Vulcano che Tintoretto dipinse nel 1550 e che è sempre stata letta come una condanna dell’adulterio. Attraverso una ficcante indagine indiziaria sui dettagli (alla Giovanni Morelli), senza lasciarsi irretire dai fiumi di inchiostro che sono stati spesi su questo quadro, Arasse ce ne offre una lettura inedita, mettendone in luce la vena ironica e corrosiva che avrebbe come bersaglio proprio il matrimonio: tomba dell’eros secondo Tintoretto che qui ci mostra un Eros dalle frecce spuntate che addirittura dorme alla grossa. Un particolare su cui nessuno prima aveva posto l’accento.

Daniel Arasse

Daniel Arasse

Così come era fin qui sfuggito ai più il dettaglio del cane che ringhiando verso il malcapitato Marte ne svela il maldestro tentativo di nascondersi sotto una panca (per quanto sia un dio e indossi elmo e armatura!). Una scena da vaudeville, insomma. Tanto più che Vulcano, il marito tradito, neanche se ne accorge mentre si getta su Venere con la brama di un vecchio e ridicolo fauno. L’acutezza e l’intelligenza dello sguardo di Arasse qui sopravanza d’un balzo il polveroso apparato di citazioni squadernato dalla critica accademica. Una messe di testi e riferimenti esterni al quadro che, nota Arasse, «diventa una sorta di filtro solare per proteggersi dal bagliore dell’opera e preservare le abitudini acquisite». Segnalando come a volte la tradizione critica rischi così di diventare schermo protettivo che raffredda il rapporto emotivo e diretto con l’opera. Diventando un paravento dietro cui nascondersi. Come quei giudizi moralistici di Mark Twain che hanno a lungo impedito di cogliere il gesto esplicito della Venere di Urbino che, nel quadro di Tiziano destinato alla camera privata di Guidobaldo della Rovere, allunga la mano verso il proprio sesso. Senza questo precedente non si capirebbe la scandalosa Olympia di Manet sottolinea Aresse. Come si è potuto constatare anche dal vivo in Palazzo Ducale a Venezia dove la bella retrospettiva dedicata al pittore francese e appena conclusa ha permesso di confrontare i due capolavori. (Simona Maggiorelli)

dal settimanale left-avvenimenti

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