Il Siglo de Oro al Prado e a Ferrara
Posted by Simona Maggiorelli su ottobre 3, 2013
Il Siglo de oro della pittura spagnola torna al centro dell’attenzione con l’abbagliante mostra che Ferrara Arte dedica a un maestro delle nature nature morte e della pittura sacra come Zurbaran (1598-1664).
Nelle nobili sale di Palazzo dei Diamanti (che con questa mostra vara una nuova stagione espositiva dopo lo stop dovuto ai danni del terremoto) si susseguono scene di vita quotidiana, dalla evidenza quasi iperrealistica, primi piani di ciottoli da cucina e agnelli inondati da una luce “divina” e poi estasi e visioni di santi, scanditi da un ritmo drammatico di chiaro e scuro, come voleva la tradizione seicentesca della religiosissima Spagna.
Proprio in quella koinè artistica improntata a un canone sacro assai rigido emerse una personalità libera e decisamente in controtendenza come Diego Velázquez (1559-1960).
Che pur essendosi formato con un pittore classico come Pacheco, seppe emanciparsi dalla lezione del maestro e suocero per sviluppare una propria personalissima poetica laicamente incentrata sull’umano e in modo particolare sull’immagine femminile.
Basta pensare alla sua Venere allo specchio (1560) che, nuda, si staglia sul rosso fuoco del panneggio. La morbida posa delle gambe, la curva dei fianchi, il tono radioso della pelle, insieme al volto sfumato, quasi solo accennato nel riflesso dello specchio, ci regalano un’immagine femminile assolutamente originale all’interno di una tradizione seicentesca pesantemente segnata dalla dottrina e dalla committenza ecclesiastica ed imperiale.
E proprio ai rapporti fra Velàzquez e il casato reale è dedicata l’esposizione che al Museo del Prado si apre il prossimo 8 ottobre.
Con il titolo Velàzquez e la famiglia di Filippo IV, la rassegna propone un percorso all’interno della ritrattistica di Valàzquez dal secondo viaggio a Roma del pittore nel 1649 fino alla sua morte a Madrid nel 1660.
Perno della mostra che raccoglie una trentina di opere di questo straordinario artista di origini andaluse è ovviamente la sala XII del Prado dove è conservato un capolavoro raffinato e in certo modo enigmatico come Las Meninas (1656).
In cui Velàquez, attraverso un labirintico gioco di specchi e di rimandi, tratteggia la trama del potere ma anche dei rapporti affettivi e privati nella famiglia reale. Consegnandoci così un quadro apparentemente celebrativo del potere, ma che al tempo stesso lo mette a nudo, mostrandone aspetti intimi e segrete fragilità. E mentre si avvicina l’inaugurazione della mostra madrilena ecco che torna ad accendersi la polemica intorno ad una versione di Las Meninas appartenente alla collezione di Kingston Lacy e fin qui considerata una copia di mano di Juan Bautista Martinez del Mazo (1611-1667), discepolo di Velàzquez. Il 2 ottobre in Spagna è stato pubblicato il risultato della lunga indagine firmata dallo studioso Matias Diaz Padron,componente del Consiglio nazionale delle ricerche, che mette radicalmente in discussione questa attribuzione, sostenendo che (per quanto appaia come un’opera più grossolanamente abbozzata) si tratti di un’opera autografa, tanto quanto Las Meminas che il pubblico da sempre può ammirare al Prado. (Simona Maggiorelli)
dal settimanale left-avvenimenti
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