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E Nam June Paik inventò la videoarte

Posted by Simona Maggiorelli su febbraio 17, 2013

Nam June Paik

Nam June Paik

Nam  June Paik (Seul 1932 – Miami 2006) è stato uno dei più creativi pionieri della videoarte, gettando le basi per l’arte multimediale degli anni Ottanta e Novanta: dai videoclip, alla videodanza, fino alle sue evoluzioni più performative in cui il linguaggio della pittura, della scultura e della musica s’incontrano con quelli del teatro e della danza ma anche con la cibernetica.

Insieme a Bruce Nauman e al più estetizzante Bill Viola, Paik ha dato un’impronta riconoscibile e originale all’arte cosiddetta “elettronica”, ha stabilito un canone e una “tradizione” che dura ancora oggi, nell’era digitale, emulata – a torto o a ragione – da giovani artisti da ogni parte del mondo. Dopo la storica personale che il Comune di Reggio Emilia gli dedicò nel 1990 nel Chiostro di San Domenico, ora è Modena a prendere il testimone del racconto della sua opera con la mostra Nam June Paik in Italia (catalogo Silvana editoriale, dal 16 febbraio al 2 giugno) avendo la possibilità oggi di rileggerla con uno sguardo più distanziato e storicizzante.

Curata da Marco Pierini, con Silvia Ferrari e Serena Goldoni, la rassegna propone una selezione di cento opere di Nam June Paik, provenienti da collezioni pubbliche e private, corredate da un ampia messe di documenti e fotografie che permettono di approfondirne la genesi e la “fortuna” critica.

E se oggi opere come Tv Buddha del 1974, come TV Cello del 1992 o i robot dedicati alla Callas e a Pavarotti, ci appaiono come incunabula un po’ naif di un modo di fare arte che intendeva avvicinare la tecnologia alla vita quotidiana e mettere al servizio della fantasia le possibilità che offre la tecnica, non si può trascurare  però il valore storico, di apertura verso nuovi scenari del nuovo millennio, che ebbero queste creazioni che possiamo vedere, fino al 2 giugno, nelle sale della Galleria civica modenese. Meno corrose dal  tempo  appaiono forse le opere fotografiche di Paik (rielaborate in senso pittorico) e i suoi tentativi di far incontrare sperimentazione musicale e immagini elettroniche. Dalla musica d’avanguardia Paik trasse ispirazione soprattutto nella fase in cui fu legato al movimento Fluxus. Ma già quando frequentava l’università a Tokyo l’artista aveva cominciato a sperimentare nelle arti visive stimolato dalla musica dodecafonica di Arnold Schönberg.

Poi sarebbero nate le collaborazioni con Stockhausen e con John Cage. E successivamente quelle con Laurie Anderson e con musicisti minimalisti come Glass. Ma forse il rapporto più fruttuoso nell’ambito musicale – quello meno disseccato dal concettualismo – fu quello ventennale con la violoncellista Charlotte Moorman che continuò fino agli anni Ottanta. Con lei cercò di ricreare il sogno wagneriano dell’arte totale.

Paik aveva intuito  che dopo il dripping e l’action painting di  Jackson Pollock non era più possibile praticare la pittura in termini tradizionali. E che era giunto il tempo di andare anche oltre lo spazio delimitato della tela. La videoarte da un lato e la performance dall’altro potevano  essere i terreni vergini da eplorare, dove finalmente i differenti linguaggi dell’arte non fossero più solo giustapposti, ma potessero realmente fondersi in una creazione originale. (Simona Maggiorelli)

dal settimanale left-avvenimenti

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