Rembrandt, l’arte e la vita
Posted by Simona Maggiorelli su novembre 25, 2011
Un saggio di Todorov riapere la discussione critica sull’arte di Rembrandt. Mentre a Padava sono in mostra straordinari ritratti provenienti dal Museo di San Pietroburgo
di Simona Maggiorelli
Come riesce un pittore a cogliere sulla tela la profondità dell’animo umano? Quale processo creativo porta ad un’opera di valore universale? Da domande così importanti e impegnative nasce lo studio del filosofo franco-bulgaroTzventan Todorov sulla pittura di Rembrandt, L’arte o la vita! (Donzelli). Un saggio che, fin dal titolo, sembra volersi distaccare dalla suggestiva interpretazione di un filosofo come Georg Simmel che ha raccontato l’arte di Rembrandt come totalmente immersa nel flusso della vita e tesa a cogliere, fuori da ogni idealizzazione, la verità psichica dei soggetti sui loro volti.
Fu proprio questa acuta sensibilità psicologica, secondo Simmel, a fare di Rembrandt uno dei più grandi innovatori della pittura del Seicento, insieme a Caravaggio e Velázquez. Anche a partire da Bergson, in Studi su Rembrandt (Abscondita) Simmel scrive dell’ impulso vitale che nei ritratti di Rembrandt si fa istantaneamente segno e rappresentazione del movimento psichico. Diversamente dai pittori classici e rinascimentali, Rembrandt non estrae i personaggi dal flusso del tempo per eternarli o celebrarne un astratto ideale. Prova ne è anche la straordinaria serie di autoritratti che ci ha lasciato, in cui sembra di poter percepire lo stato d’animo dell’artista in quel momento in cui rappresenta se stesso. Così, dal timido ragazzo che si affaccia alla vita dell’Autoritratto giovanile si arriva alle ultime tele in cui la ricchezza del vissuto dell’artista sembra condensarsi sul suo volto in tonalità dense, calde, scure. Ma esempio emblematico di questo penetrante modo di rappresentare l’età matura è anche il Ritratto di vecchio ebreo del Museo di San Pietroburgo che, insieme al Ritratto di vecchia, è in mostra dal 25 novembre nei Musei Civici agli Eremitani di Padova.
Che la genialità di Rembrandt stia nel suo saper cogliere nel volto l’individualità e l’identità dei soggetti, dopo Simmel, è un fatto acquisito dalla critica. E la lettura di Todorov non se ne discosta. Anzi. Lungo la strada aperta da Simmel, (curiosamente mai citato ne L’arte o la vita!) sottolinea l’originalità di Rembrandt nel rappresentare l’invisibile dei rapporti umani, specie fra donne e bambini. Dopo secoli di pittura occidentale che, soprattutto nel medioevo, ha rappresentato i bimbi come uomini in miniatura, Rembrandt restituisce loro un’ identità di esseri umani che stanno crescendo. Ma confrontando la vicenda biografica del pittore con la sua evoluzione artistica, Todorov arriva ad ipotizzare che per raggiungere quel livello di intensità espressiva Rembrandt non attingesse alla propria, diretta, esperienza di vita. Ma da una presa di distanza. Proprio quando si ammala la moglie Saskia o quando i figli muoiono uno dopo l’altro, nota Todorov, la sua pittura tocca apici imprevisti di prolificità e invenzione. Tanto più il destino si accanisce, tanto più Rembrandt si separa da tutto e da tutti, isolandosi in un mondo di sola arte. Come se per svelare la verità, dovesse separarsi dagli uomini , conclude Todorov. Suggerendo che solo il narcisismo di Rembrandt assicurò “la generosità delle sue creazioni”.
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