Tra la coppa del mondo e Mandela
Posted by Simona Maggiorelli su giugno 18, 2010
Dopo la sbornia dei Mondiali la letteratura aiuta a capire di più della Repubblica Sudafricana, il paese arcobaleno dove, finito l’apartheid, non cessano forti tensioni politiche e sociali. Lo racconta Ndumiso Ngcobo
“L’apartheid è morto! Viva l’apartheid! Se il nostro grande scrittore Can Themba potesse risorgere… non troverebbe il Paese troppo cambiato. Avremo pure passato una quindicina di anni senza apartheid, ma dalle nostre parti ci sono cose dure a morire». Parole forti, dirette, che nonostante la sua sincera ammirazione per la battaglia civile di Nelson Mandela, lo scrittore sudafricano Ndumiso Ngcobo annota in Alcuni dei miei migliori amici sono bianchi, appena uscito in Italia per i tipi di Voland.
Parole coraggiose che indicano la cruda realtà del “Paese arcobaleno” al di là dello schermo scintillante dei mondiali di calcio 2010. Spente le luci sull’evento mediatico che ha tenuto i tifosi di tutto il mondo appiccicati alla Tv, Ngcobo – anche con ironia e autoironia – ci aiuta a riabituare gli occhi alle cose nella loro luce naturale. Percorso da forti tensioni sociali e politiche, il Sudafrica è oggi in grande fermento dal punto di vista culturale ma anche un Paese ferito dal passato coloniale e, come ci ricorda Ngcobo, da un feroce razzismo che, ora che non ci sono più visibili fili spinati di apartheid a dividere l’upper class bianca dai neri delle townships, rimane tuttavia come pregiudizio mentale. E proprio questo complesso, e per molti versi contraddittorio, contesto, negli ultimi vent’anni è il tessuto su cui è cresciuta una letteratura alta, che parla con voce originale, nuova. Una multiforme galassia narrativa che case editrici italiane come Epoché, come edizioni e/o, come la stessa Voland ora ci permettono di conoscere più da vicino, portando in primo piano le nuove generazioni accanto alla presenza forte di autori come i Nobel Nadine Gordimer e John Coetzee (che da noi pubblicano per le majors, da Feltrinelli a Einaudi). Nuovi titoli che ampliano il nostro sguardo sul Sudafrica, così, fanno utilmente capolino sugli scaffali delle librerie. E mentre le edizioni e/o con il noir ad alta tensione Safari di sangue di Egon Meier denuncia gli scandali ambientali che colpiscono il continente africano, la coraggiosa Epoché propone il secondo romanzo del trentenne Kgebetli Moele, il crudo Tocca a te, che affronta il dramma dell’Aids, una malattia che in Sudafrica continua a diffondersi e a uccidere, non solo fra le classi più povere.
Tutta l’energia e il clima effervescente di una società giovane che viene dalle township, invece, è al centro del delizioso romanzo illustrato di Troy Blacklaws Bafana Bafana, «storia di calcio, di magia e di Mandela» (Donzelli), incentrato sull’avventura romantica di un ragazzino, nel villaggio chiamato Pelé perché ha il calcio nel sangue. La nazionale Bafana, bafana (che in lingua zulu significa i nostri ragazzi) – come si è potuto vedere in mondovisione – occupa un posto di primo piano nel pantheon dei miti sudafricani di oggi, non solo nei quartieri più poveri. Ma il “grido” Bafana Bafana risuona anche, in chiave sarcastica, nello spettacolo Bafana Republic del regista Mike Van Graan, storico partigiano della lotta anti apartheid o oggi pungolo critico, da sinistra, del governo sudafricano guidato dall’African national congress quando imbocca scorciatoie populiste. E il nome Bafana Bafana risuona immancabilmente anche nelle pagine romanzo autobiografico di Ngcobo da cui qui eravamo partiti e che affresca a colori forti la realtà dei trentenni di oggi, figli della classe media di Johannesburg. Da Van Graan a Ngcobo, Bafana Bafana, insomma, si fa metafora letteraria di quel collante nazionale che ancora manca in Sudafrica. è l’immagine di un sogno di riscatto soprattutto dei neri sudafricani che, per ironia della sorte, durante questi mondiali hanno rischiato di vedersi scippare la coppa proprio dalla nazionale di quel Paese, l’Olanda, dalla quale nel 1952 arrivarono i primi boeri.
Rinascimento nero. Alcuni dei miei migliori amici sono bianchi (Voland) di Ndumiso Ngcobo è un romanzo dalla lingua scanzonata, pieno di spiazzante bonomia nel sovvertire i modi politically correct di trattare il razzismo. Classe 1972, Ngcobo è una delle personalità di spicco della scena sudafricana post apartheid, come scrittore di romanzi ma anche come critico sulla rivista Mail and Guardian e come blogger corrosivo. Sono «un guerriero zulu in giacca e cravatta, catapultato nella cosmopolita Johannesburg» dice di se stesso. «Con questo- aggiunge ironico – non voglio dire che me ne vado in giro intonando canti di guerra della tradizione zulu o che vado sgranando il rosario dei cristiani, ma solo che come molti altri sudafricani sono cresciuto in più di una cultura. E credo che questo si renda tangibile in ciò che scrivo, senza che io a volte mi renda conto». Dopo aver insegnato matematica in una scuola superiore, Ngcobo ha lavorato in una multinazionale del settore agroalimentare svolgendo le mansioni più disparate. «Una peggio dell’altra», accenna sorridendo. «Ma mi sono fatto una grande cultura sui modi aziendali dei bianchi». Nel frattempo ha sempre continuato a scrivere, «è il mio modo di vivere – confessa – come una formica che continua a far rotolare le sue briciole». A catalizzare la sua attenzione di scrittore è soprattutto ciò che accade nella testa delle persone, ciò che accade nei rapporti. «Relazioni non sempre facili- sottolinea – in questa nostra società dove tradizioni come quella cristiana e quella zulu hanno ancora troppa parte. creando continui cortocircuiti di comunicazione». Di cui Ngcobo nei suoi romanzi usa anche tutto il lato spiazzante, surreale, involontariamente comico. Così fra «nere snob, bianchi flippati, tassisti maleducati e via dicendo», Ngcobo fa finta di tracciare quello che ci si aspetta da uno scrittore come lui, ovvero «un acuto sguardo interetnico sul Sudafrica di oggi». Ma lui non si accontenta e va più a fondo. E accanto alle colorate, dinamiche, vitali township, il suo sguardo si ferma sui quartieri residenziali fuori città, «freddi e inospitali». «Oggi gli abitanti bianchi del mio stesso comprensorio – scrive – mi guardano dall’alto in basso con diffidenza. Atteggiamento da me ricambiato con un odio al calor bianco. Non fraintendetemi, se ci capita di avvicinarci a meno di 5 metri ci scambiamo pallidi sorrisi. Mica siamo selvaggi arretrati e incivili. Ma basta uscire da quel raggio e il pallido sorriso scompare». Parola di Ngcobo, in barba a quanti, per questo, lo additeranno come traditore del Rinascimento nero.
Strumenti.AFrica di carta
Nei nuovi scenari geostrategici del XXI secolo, l’Africa occupa un posto importante. Non solo dal punto di vista demografico. Grandi risorse non sfruttate e strutture e infrastrutture inadeguate, povertà e conflitti etnici, religiosi, culturali, tensioni economico sociali, instabilità politiche e violenze di regimi dittatoriali e inevitabili migrazioni di massa. Per capirne di più, urgono strumenti di conoscenza. Specialista di storia africana e docente all’università di Gießen, Winfried Speitkamp offre essenziali chiavi di lettura in Breve storia dell’Africa (Einaudi), ripercorrendo la storia del continente dalla preistoria a oggi, ricostruendo forme sociali, formazioni politiche e regni, culture e credenze, scambi e aggregazioni che hanno caratterizzato la vita delle popolazioni africane fino al dramma dello schiavismo e gli sconvolgimenti politici, economici, territoriali e antropologici prodotti dalle potenze coloniali, la decolonizzazione. Poi le guerre per l’indipendenza, la nascita dei nuovi Stati. Ne risulta un quadro d’insieme che tiene unite sia la prospettiva diacronica, interrogando gli stessi problemi in epoche e contesti estremamente diversi, sia la prospettiva sincronica, delineando un’introduzione chiara e approfondita a uno dei contesti salienti della nostra storia attuale. Ma un racconto appassionato sull’Africa si trova, in chiave di esperienza personale, anche nelle belle pagine di Made in Africa (Elèuthera), in cui l’architetto di Emergency Raul Pantaleo, con un viatico di Erri De Luca, ripercorre la storia di missioni in Sudan, Centro Africa, Sierra Leone, Darfur e in tutti quei Paesi dove l’associazione fondata dal medico Gino Strada continua a salvare vite umane.
da left-avvenimenti del 18 luglio 2010
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