La magia della pittura Rajput
Posted by Simona Maggiorelli su Maggio 16, 2010
Al Mao di Torino una delle più grandi collezioni di tempere e miniature indiane dal XVII al XIX secolo
di Simona Maggiorelli
Danzatrici dai lunghi occhi a mandorla, scene erotiche e avventure mitologiche dal Mahabarata. Ma anche gesta dei principi Rajput mescolate a racconti dal complesso pantheon politeista indù.
I cosiddetti Unni bianchi (Rajput significa «figli del re») che nel V e VI secolo emigrarono dall’Asia centrale per stanziarsi sulle colline prehimalayane e nell’India centrale, una volta diventati vassalli del Moghul, nel 1600 divennero raffinati committenti d’arte. Favorendo la fioritura di numerose botteghe di pittura nel Rajasthan.
Una delle più importanti collezioni di arte Rajput è in mostra al Mao, il Museo di arte orientale di Torino fino al 6 giugno. Una collezione che – come sottolinea la curatrice Claudia Ramasso nel catalogo Skira – non ha eguali nei musei italiani».
Stiamo parlando delle 250 opere della collezione che Isabella e Vittorio Ducrot hanno messo insieme soprattutto a partire dagli anni Settanta, quando Indira Gandhi tolse ai principi indiani i loro secolari privilegi costringendoli a trovarsi di che vivere. I Ducrot riuscirono allora ad acquistare a rate interi cicli di miniature e di tempere su carta che uniscono la precisione calligrafica al gusto di una pittura di grandi dimensioni in cui i colori, accesi e piatti, sono stesi per grandi campiture, mentre le figure sono definite da linee nere e nette.Un genere d’arte che riuscì a svilupparsi nei secoli (fino al XIX) in molti stili ma conservando al fondo un’identità precisa e riconoscibile. Anche quando le corti Rajput furono conquistate dalle grandi potenze musulmane. E la pittura Rajput acquisì una patina di eleganza persiana.
dal settimanale left-avvenimenti
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