Arte. La versione di Barney
Posted by Simona Maggiorelli su dicembre 10, 2009
di Simona Maggiorelli
A quattro anni dalla sua nascita, la Fondazione Merz di Torino può, a buon diritto, vantarsi del percorso compiuto fin qui. Oggi non è solo casa museo dedicata al maestro dell’arte povera Mario Merz scomparso nel 2003, ma anche crocevia di proposte internazionali, nonché casa editrice di cataloghi e monografie su artisti d’avanguardia. Così mentre (fino al 10 gennaio 2010) la Fondazione ospita un progetto site specific dell’artista concettuale Lawrence Weiner, ispirato alla ricerca di Merz sulla prospettiva e sul rapporto fra opera d’arte e contesto, in libreria arriva la monografia dedicata a Matthew Barney, curata da Olga Gambari riprendendo i fili della mostra e degli incontri dedicati all’artista californiano che si tennero a Torino nel 2008, con il coinvolgimento degli studenti dell’Accademia Albertina e di quelli del Dipartimento di Filosofia dell’Università di Torino.
Un volume, che in mezzo a tante pubblicazioni celebrative uscite negli ultimi anni sul visionario videomaker, ha il pregio di una freschezza immediata, fatta di dialoghi e conversazioni con l’artista mettendo tra parentesi il lato più modaiolo del suo lavoro legato ai video realizzati con la sua compagna, la cantante finlandese Björk, Il libro di Gambari edito dalla Fondazione Merz ripercorre tutta la rapida parabola dell’artista Usa (classe 1967) da quando, studente a Yale cominciava a pensare la sua immaginifica cosmologia e la sua surreale storia dell’uomo di cui il torrenziale The Cremaster cycle rappresenta una spiazzante summa. Al centro del film c’è l’indagine sull’essere umano nel suo singolare e specifico essere fatto di mente e corpo, nel suo essere mosso da passioni e talora lucidamente e follemente assassino.
«Nei video di Barney – prescisa Gambari – è soprattutto il corpo ad essere protagonista, come palcoscenico e contenitore di dimensioni che si elevano sino alla spiritualità più speculativa, alla scienza più teoretica, ma capaci di sprofondare nella carnalità più sensibile». L’altro asse di esplorazione di Barney, in tutta la sua opera, è la dimensione del tempo, come organismo di passato presente e futuro. Nei suoi video, «Il passato è un incubo da fiaba e serve a raccontare il futuro. Nel mondo di Matthew Barney -scrive Gambari – non si può entrare disattenti e veloci, con gli occhi, la mente e i sensi impegnati in altro, ingombri. Non è un posto da toccata e fuga, meglio non provarci nemmeno» Perché dentro c’è la società contemporanea, con il suo scorrere veloce, le sue contraddizioni, le sue luci e ombre, «dove elementi alti e bassi si mescolano di continuo» e la realtà va a braccetto con il sogno.
dal quotidiano Terra del 10 dicembre 2009
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