Patrimonio artistico svendesi
Posted by Simona Maggiorelli su Maggio 9, 2003
Parla lo storico dell’arte Salvatore Settis: Così va tutto in malora
di Simona Maggiorelli
«L’Italia è il paese in cui è nato il concetto di tutela dei beni culturali come patrimonio pubblico, il paese che l’ha insegnato a tutto il resto del mondo», ricorda lo storico dell’arte Salvatore Settis, autore per Einaudi di un incisivo libretto, “Italia S.p.a”, contro la svendita del patrimonio storico artistico iniziata dal governo Berlusconi. «Nel futuro – dice – abbiamo due strade, o continuiamo a insegnare agli altri che cosa è la tutela o cominciamo a insegnare come si fa a mandare tutto in malora. In questo bivio io ho una posizione motto netta a favore di un’avanguardia dell’Italia conformata alla sua storia e alla sua Costituzione nel rafforzare le ragioni della tutela, lottando anche perché i nostri principi diventino i principi di tutta l’Europa». Con queste ragioni Settis, attuale direttore della Normale di Pisa e ex direttore del Getty Research Institute di Los Angeles, ha accettato di entrare a far parte del comitato scientifico istituito dal ministro Urbani, dopo i primi “fattacci” della vendita – mercé un decreto natalizio di Tremonti – di edifici come la ex manifattura tabacchi di Firenze, come palazzo Correr a Venezia e dopo la messa all’asta di 35 proprietà vincolate. Alcuni dei beni in vendita, essendo stati battuti già due volte e non avendo avuto compratori, saranno scontati del 25 per cento. L’asta finale sarà a base libera, quindi teoricamente qualcuno potrebbe anche acquistarli per pochi euro. «La situazione è grave – ammette Settis – perciò rispondere a Urbani mi è sembrato un dovere civico inderogabile. Era molto incuriosito da alcune pagine del mio libro, in cui per altro, il suo operato viene attaccato di continuo. Ci siamo incontrati, abbiamo discusso a lungo». E un serio ripensamento sembrerebbe aver colto davvero il ministro che, oltre a chiedere la consulenza scientifica di Settis e dell’ex ministro, il soprintendente del polo museale fiorentino Antonio Paolucci, ha radunato una commissione “legislativa”, affidando a Trotta, Cassese, De Vergottini e altri, il compito di disegnare una nuova legge di tutela che, sulla base della legge delega, riaffermi l’inalienabilità del patrimonio storico artistico. «Questione non di poco conto – ribadisce Settis – potrebbe voler dire l’inizio di un’inversione di tendenza. Ma significa anche una spaccatura all’interno dell’attuale governo. Il ministro del Tesoro Tremonti, con tutta evidenza pratica una diversa politica. C’è una discordanza nei fatti. Occorre chiarezza. Sui beni culturali governa Urbani o Tremonti? ». Settis, promette di chiederlo a gran voce, nelle sedi istituzionali e attraverso i giornali. Di recente investito da un’interrogazione parlamentare sui suoi compensi di consulente, squaderna alcune delle maggiori urgenze. «Innanzitutto ribadire l’inalienabilità del patrimonio storico», per questo occorre fare «un’approfondita indagine conoscitiva, di concerto con il Demanio, per stabilire in modo definitivo, quali siano i beni di valore artistico». E se le casse dello Stato necessitassero comunque di mettere in vendita qualcosa? «Si potrà cominciare con quello sterminato patrimonio di vecchie caserme, vecchie scuole degli anni 50». E quanto allo sbandierato modello americano di gestione privata dei musei? «Un mito da sfatare. Non può essere una soluzione da noi. Tutti i musei del mondo sono in passivo anche quando hanno milioni di visitatori. I musei americani sopravvivono perché hanno un grande capitale alle spalle, frutto di donazioni private. Il Paul Getty Museum ha un patrimonio di 7 miliardi di dollari. Ogni anno il museo incassa 15 milioni di dollari, che bastano a coprire solo il 20 per cento delle spese di gestione… Questo è il modello americano che si vorrebbe importare in Italia. Io non credo francamente che gli Uffizi abbiano 7 miliardi di dollari investiti da qualche parte».
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