Settis: I beni culturali vanno tutelati, non venduti
Posted by Simona Maggiorelli su marzo 12, 2003
Intervista al direttore della Normale di Pisa, Salvatore Settis, a quasi un anno dall’entrata in vigore della legge sulla vendita del patrimonio pubblico
di Simona Maggiorelli
Hanno fatto appena in tempo a utilizzarlo come spazio per una mostra di arte contemporanea, con opere di Calzolari e altri maestri dell’Arte povera fra l’odore ancora intenso del tabacco. S’intitolava Sboom! e avrebbe dovuto segnare il primo passo verso la trasformazione della ex Manifattura Tabacchi di Firenze in cittadella della cultura. Un nome, un destino, avrebbe detto Tristram Shandy facendo contento il ministro Tremonti, che prima di Natale, mercé, un nuovo decreto, si è venduto il complesso fiorentino. E non solo. Dalla pagine del Giornale dell’arte l’archeologo e docente dell’University College di Londra, Gaetano Palumbo, denuncia: sono 35 le proprietà vincolate messe in vendita nella prima fase delle aste Scip, la società di cartolarizzazione degli immobili pubblici creata, prima della Patrimonio spa, nel novembre 2001. Sono già stati venduti Palazzo Correr a Venezia, un palazzo storico al centro di Palermo, e un edificio a Milano, costruito sulla zona dell’anfiteatro romano, mentre ancora invenduti risultano Palazzo Artelli a Trieste, la residenza termale dei Granduchi di Toscana a San Giuliano Terme, e Villa Manzoni a Roma. «Questi ultimi- spiega Palombo – essendo stati battuti già due volte, verranno messi in vendita con uno sconto del 25 per cento. Se anche in quel caso le proprietà non saranno vendute, sarà battuta un’altra asta con base scontata del 35 per cento. L’asta finale sarà a base libera, quindi teoricamente qualcuno potrebbe portarsi via queste proprietà per pochi euro». D’obbligo allora chiedere qualche lume in più al direttore della scuola Nornale di Pisa, lo storico dell’arte Salvatore Settis, fin qui strenuo avversario delle svendite volute dal governo di centro destra.
Professor Settis, l’assalto ai beni culturali da lei paventato nel libro Italia s.p.a (Einaudi) sembra già cominciato. Cosa sta succedendo realmente?
Negli ultimi mesi sono accaduti fatti molto discordanti. Da un lato ci sono state le vendite di cui parla Palumbo, dall’altro il ministro dei beni culturali Urbani rilascia dichiarazioni pubbliche e compie atti che vanno nella direzione opposta a quella indicata dal Ministro del Tesoro. Ha istituito una commissione di lavoro per una nuova legge di tutela che, sulla base della legge delega, riaffermi l’inalienabilità del patrimonio storico artistico.
Lei da poco ha accettato di entrare a far parte del comitato scientifico che affianca il lavoro di questa commissione diretta da Gaetano Trotta. Segno che crede alla sincerità del dietro front del ministro Urbani?
Fin’ora abbiamo fatto una sola riunione e anche in quell’occasione Urbani ha ribadito il suo impegno. Certo quello che non posso fare a meno di chiedermi è: qual è la politica del governo? Quella di Urbani o quella di Tremonti? Questo governo dovrebbe decidersi. Per parte mia lo sto chiedendo a gran voce nelle sedi istituzionali e attraverso i giornali. Occorre chiarezza, che si rispettino le regole, che pure ci sono. La vendita della Manifatura tabacchi, l’ho verificato di persona, è avvenuta senza chiedere il parere preventivo del Ministero dei Beni culturali, né tanto meno della soprintendenza locale. E questo è un fatto gravissimo, una violazione di quello che stabilisce la legge.
E se invece vincesse integralmente la linea Tremonti cosa accadrebbe?
Piano piano si venderebbero tutto il patrimonio, indistintamente. Io non sono un economista, ma se proprio dovessimo venderci qualcosa potremmo ben cominciare dalle scuole, dalle caserme dimesse degli anni’50, strutture e edifici che non abbiano un valore artistico o paesaggistico.
Lei parla spesso del patrimonio artistico come fulcro della nostra identità nazionale, della nostra memoria storica. Senza di questo che contributo possiamo dare all’Europa?
Intanto comincerei con il dire quello che l’Italia ha già fatto. Il nostro è il Paese in cui storicamente è nato il concetto di tutela dei monumenti, che lo ha insegnato al resto del mondo. Per il futuro si prospettano due strade: o continuiamo a insegnare agli altri che cosa è la tutela o cominciamo a insegnare come si fa a mandare tutto in malora. In questo bivio io ho una posizione molto netta a favore di un’avanguardia dell’Italia, in linea con la sua storia e la sua Costituzione, nel rafforzare le ragioni della tutela e perché i nostri princìpi diventino i princìpi di tutta l’Europa.
Avvenimenti 12 marzo 2003
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