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Sculture da abitare. Le scelte poetiche di Sejima

Posted by Simona Maggiorelli su settembre 2, 2010

People meet in architecture a Venezia. Alla Biennale di architettura progetti giovani e innovativi. Ma soprattutto a misura d’uomo

di Simona Maggiorelli

amateur architecture

Linee morbide, vivibili. E un generoso ritorno ai materiali naturali come il legno. E poi grande aperture di luce e di fantasia. Sono questi se dovessimo riassumerli in estrema sintesi i segni che rendono riconoscibile questa seducente Biennale architettura 2010, aperta alle arti e incomparbilmente più vitale della Biennale arte vista l’anno scorso ( firmata da Daniel Birnbaum era un bilancio politically correct dell’agonia dell’arte contemporanea internazionale).

Padiglione Malesya Biennale di Venezia

Non vuole che si dica che  che quella che apre domenica 29 agosto 2010 è una Biennale dal segno decisamente femminile. L’architetto giapponese Kazuyo Sejima non ne fa una questione di genere, piuttosto di idee, di contenuti.

Ma non pare del tutto casuale che la prima Biennale di architettura diretta in laguna da una donna faccia d’un tratto piazza pulita dei colossali progetti da archistar per lasciare spazio a nomi giovani o emergenti (in tutto quarantasei, da ogni parte del mondo) con proposte che guardano alla qualità della vita, a un incontro armonico fra costruzione e ambiente e, soprattutto, a soluzioni abitative che facilitino le persone a incontrarsi oppure, perché no?, a vivere momenti di solitudine creativa.

Così, con la sua People meet in architecture ( aperta fino a  novembre, catalogo in due volumi edito da Marsilio) la schiva ed elegante Sejima rompe gli steccati fra le discipline e lascia che il linguaggio necessariamente rigoroso dell’architettura s’incontri con quello meno prevedibile della scultura, dell’installazione e perfino della performance.

Tanto che Smiljan Radic e Marcela Correa, da una pietra del terremoto del Cile hanno ricavato un pensatoio per una persona alla volta che incontrimo ad incipit delaa mostra. A ispirarli, hanno detto i due sudamericani, è stato il disegno Il bambino nascosto in un pesce dell’artista David Hockey, figurazione scarna e sottile, di un pesce ancora indefinito nella pancia, ma rosseggiante i di sogni e di nuove nascite.

E l’installazione- scultura di Radic e Correa si può davvero leggere come un esergo di una edizione della Biennale ricca di aperture visionarie e futuribili. Su tutto domina l’idea di rete, di stabilire possibilità di contatto fra individi, fra esterno e interno, fra paesaggio e costruzioni e  anche fra i differenti vani di una stessa abitazione. Ma sfuggendo alla logica minimalista dell’open space.  In questa chiave nascono le pareti porose e  a groviera di Toyo Ito che aboliscono la classica divisione dentro-fuori . Ma anche le  calde strutture mobili, componibili, di Studio Mumbai in continua trasformazione alla ricerca di un’osmosi fra architettura e natura.

Biennale di Venezia 2010 Malesya

E se i progetti che arrivano dal Giappone e della Cina colpiscono soprattutto per la leggerezza e il tono poetico ( farfalle trasparenti che calano dal soffitto nel Padiglione Cina mentre nella mostra di Sejima  più progetti riprendono l’antica tecnica di costruzione cinese di strutture che non gravano sul terreno)  è nei  padiglioni del Sudest Asiatico- e in quello Malesia e di Singapore in particolare, che s’ncontrano i progetti più immaginifici. Alcuni arrivando a ridisegnare completamente il volto di intere aree urbane.  E sono grattacieli che salgono ad altezze vertiginose seguendo curve e linee flessuose, palazzi dalla facciata che evoca l’immagine stilizzata delle valve di una conchiglia oppure le forme eleganti di un liberty anni Dumila.  Forme cangianti,  come in divenire, ma  che- anche perché pensate per stretti lembi di terra- hanno in comune l’altezza, la compattezza e la brillantezza di un tripudio di luci.

Ed è proprio l’uso della luce, anche utilizzata per cambiare la percezione degli spazi, il tema che fa da filo rosso a questa Biennale 2010, dalle luci verde acido del progetto dello studio francese R&Sie(n)  di Parigi che evoca cicli biologici all’uso prezioso di specchi d’acqua nel padiglione iraniano in Palazzo Malipiero dove sono esposti progetti di architetti iraniani che rileggono la tradizione dei giardini persiani. E ancor più la luce è elemento guida di installazioni d’arte che facendone un uso teatrale reiventano gli ambienti. Come accade nella spettacolare installazione di Olafur Eliasson per People meet in architecture che nel buio fa crepitare  getti d’acqua illuminati, come saette, da luci stroboscopicheche.

E se Eliasson usa la luce, un’altra artista ben nota a chi segue l’arte d’avanguardia, Janet Cardiff usa  il suono e il canto in una installazione che all’Arsenale ricrea una delle sue perfomance che invitano lo spettatore a entrare in scena per sperimentare le diverse vibrazioni dei suoni  lungo un percorso. E’ un invito a sentire, a guardare dentro se stessi, ma anche fuori di noi, per apprezzare ciò che ci circonda ritma tutta questa Biennale architettura 2010, in cui molti progetti prefigurano strutture mobili, che non segnano il paesaggio, ma anche cercano di valorizzarne il volto. Strutture componibili e scomponibili per uscite all’aperto, ma anche teeatri mobili, montabili e smontabili si trovano fra le proposte degli architetti invitati in Biennale da Sejima ma anche in alcuni padiglioni nazionali, organizzati autonomamente. Come quello del Regno del Bahrain alle Artiglierie che trasforma i capanni dei pescatori in proposte di case-palafitte con vista sul mare in tante varianti quanti sono le culture che s’incontrano in quel paese, da quella cinese a quella araba. Sono piccoli e suggestivi mondi a parte ai quali si accede salendo su passarelle di legno. Alla maniera asiatica e mediorientale: dopo essersi tolti le scarpe in segno di rispetto.

Ma c’è anche chi, alla ricerca di luoghi speciali e di prospettive che cambiano il proprio punto di vista, osa  ancora di più. Come Transsolar con la sua già famosa nuvola creata a tre metri da terra. E dotata di scala, per chi vuole ficcarci la testa dentro. Dall’Oriente, invece,  arriva il rendering del giovane studio giapponese Ishigami +Associates che tenta di disegnare l’infinito.

«L’architettura oggi deve essere capace di comunicare nuovi valori, di anticipare sogni e direzioni di una società in movimento». Parola di Kazuyo Sejima.

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Progettare al femminile

Posted by Simona Maggiorelli su settembre 2, 2010

Presentata a Roma la dodicesima edizione della Biennale architettura di Venezia, People meet in architetture, affidata alla giapponese Kazuyo Sejima

di Simona Maggiorelli

Sejima, casa a Tokyo

Per la prima volta nella storia della Biennale architettura la direzione, quest’anno, è stata affidata a una donna. La giapponese Kazuyo Sejima ha bucato il cosiddetto soffitto di cristallo e la sua Biennale porterà un segno “femminile” fin dal titolo People meet in architetture legando la qualità dell’architettura alla sua vivibilità e alle relazioni umane che la abitano. Ma chi è questa signora cinquantaquattrenne che ha dedicato la sua vita a una progettazione futuribile e insieme rigorosa ma che il pubblico italiano perlopiù ha imparato a conoscere solo dopo la sua nomina in Laguna? Definita dalla stampa specializzata una delle menti creative di primo piano degli anni Duemila, Kazuyo Sejima si è formata nello studio di Toyo Ito (che di lei dice: «sa usare la massima semplicità per collegare il materiale e l’astratta.

In realtà è dalla collaborazione con Ryue Nishizawa (sotto il marchio SANAA) che sono nate alcune delle sue opere di architettura più conosciute, dal New Museum di New York al Serpentine Pavilion di Londra, al 21st Century museum of contemporary art di Kanazawa, premiato nel 2004 proprio con il Leone d’Oro a Venezia. Dovendo sintetizzare lo stile Sejima lo si potrebbe definire minimalista, ma con un tocco di “follia”, di imprevista fantasia. Di fatto il suo modo di progettare rompe con ogni tradizione codificata. Anche perché per lei l’architettura del nuovo millennio deve sapere incidere positivamente sulla qualità della vita , rispettare e interpretare le esigenze degli individui e al tempo stesso rappresentare un’idea di società e di Res publica. Obiettivi alti e una concezione originale dell’architettura che ritroviamo concretamente declinati in questa Biennale numero 12 che aprirà i battenti il 29 agosto. Presentando ieri alla stampa People meet in architetture Sejima ha ribadito la sua idea di trasformare questa dodicesima Biennale un luogo di incontro lanciando da Venezia un «forum nuovo e attivo per le idee contemporanee». Anche per questo non saranno invitati a partecipare soltanto architetti, ma anche artisti e ingegneri, aprendo il dialogo fra le diverse discipline. «Ogni protagonista della prossima Biennale – ha spiegato Sejima – sarà curatore di se stesso». E i progetti avranno una cifra di spiccata originalità. Così ecco una grande pietra del terremoto del Cile trasformata in una grotta abitabile ad usum di chi voglia stare un po’ da solo. Ed ecco una vera e propria nuvola formarsi e librarsi a tre metri dal suolo, ecco progetti di architetti e “designer” di paesaggi, e staccionate in bambù disegnare gli spazi interni di un edificio, ma anche architetture di luce, suggestive quanto impalpabili che agiscono sullo spazio cambiandone l’atmosfera e il nostro modo di percepirlo. Dal punto di vista organizzativo accanto alle consuete partecipazioni nazionali, con mostre nei Padiglioni ai Giardini e nel centro storico di Venezia, la Biennale 2010 sarà caratterizzata da una ridda di eventi collaterali (in dettaglio sul sitio www.labiennale.org) e da una lunga serie di incontri pubblici con i protagonisti dell’architettura degli ultimi anni. «Se al centro vogliamo davvero mettere la qualità dell’architettura – sottolinea Sejima – allora è importante approfondire la conoscenza di quelle personalità che della qualità hanno fatto una vocazione personale». Da qui l’idea dei sabati dell’architettura dedicati in primis ai direttori delle precedenti edizioni della Biennale dagli italiani Vittorio Gregotti Paolo Portoghesi e Francesco Dal Co , Massimiliano Fuksas alle archistar straniere Hans Hollein, Deyan Sudjic , Kurt W. Forster, Richard Burdett, Aaron Betsky. Una collana di appuntamenti che proseguirà fino allachiusura della Biennale il 21 novembre.

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