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Il Madre si fa agorà dell’arte

Pubblicato da: Simona Maggiorelli su luglio 14, 2013

Nanni Balestrini

Nanni Balestrini

Con un trittico di mostre che disegnano un ponte ideale fra il secondo Novecento e la ricerca attuale, e dopo molte polemiche, il  museo Madre riapre i battenti con un pieno di proposte. Che nelle intenzioni del neodirettore Andrea Villani vorrebbero contagiare creativamente il centro storico di Napoli. Nel caldo torrido dell’estate la ripida via dove sorge il museo ancora non sembra essersene accorta. E accoglie i globetrotter dell’arte con tapparelle abbassate, botteghe chiuse e scorci di cortili  insolitamente silenziosi. Ma basta varcare la soglia del Museo per essere catapultati in uno spazio-tempo completamente “altro”. Un’esplosione di colori ci travolge già nell’androne: fiammeggianti lame viola, verde e giallo avvolgono sequenze di telefilm anni Ottanta stile Dallas e corrodono telecronache di disastri ambientali.

Come per un sortilegio alchemico, nel film Tristanoil di Nanni Balestrini che senza sosta viene proiettato dabbasso, il colore cannibalizza il trash televisivo e la cronaca nera facendone mercurio vivo e pulsante, materia prima per immagini astratte che corrodono la figurazione e si propongono  in forme  nuove e dinamiche. Parte da qui, con questo energetico incipit, il viaggio nel nuovo Madre che, oltre alla sua straordinaria collezione e alle personali di due giovani artisti (Giulia Piscitelli e Mario Garcia Torres), fino al 14 ottobre, ospita la prima vera retrospettiva italiana di Thomas Bayrle (catalogo Electa).

Nato a Berlino nel 1937, Bayrle è maestro di una Pop Art percorsa da un umorismo surreale e da un gusto per l’assurdo molto tedesco. Una Pop art che sperimenta tecniche assai diverse, dalla pittura, alle stoffe stampate, dalle serigrafie alle installazioni. Caratterizzata da colori piatti e vicina al linguaggio della pubblicità e del design, – diversamente da quella di Warhol – la Pop Art di  Bayrle rivela un contenuto fortemente critico verso i meccanismi di omologazione imposti dalle società capitalistiche. Ma anche dai totalitarismi e dalle religioni.

Thomas Bayrle, Madonna Mercedes

Thomas Bayrle, Madonna Mercedes

Aperto e ciarliero, è lo stesso Bayrle ad accoglierci fra i suoi fumettistici ritratti costruiti con il logo di un famoso formaggino e a raccontarci in italiano i suoi collage che rappresentano parate cinesi affollate ed esplosive come scatole di fiammiferi. Addensate come le sue visioni metropolitane occidentali: paesaggi umani fatti di tanti tasselli solo all’apparenza tutti uguali. Opere che rivelano una trama fittissima  e finemente lavorata, che pullalano di presenze umane all’apparenza ordinatissime. Ma che a uno sguardo più attento appaiono percorse dalla forza centrifuga di una irriducibile originalità indivividuale: ogni tassello aggiunge al quadro una differenza, una deroga, un dettaglio imprevisto e imprevedibile tratteggiando il panorama fatto di esseri umani imperfetti e creativi.

L’interessante riflessione sull’uomo-massa sviluppata per immagini da Bayrle va di pari passo alla sua indagine sulle ideologie. In questo ambito rientarno le opere che stigmatizzano gli aspetti astratti e disumani del pensiero religioso e rituale. Ma anche le connivenze “pelose” fra carità e guadagno e l’intercambiabilità degli idola nelle società occidentali in cui, più di tutto si celebra il dio denaro.  In questo ambito spassosamente graffianti sono le  ricreazioni  di antiche Madonne punteggiate di Mercedes in miniatura o di macchine fotografiche Canon ma anche i rosari di Bayrle incisi su pneumatici e che catturano lo sguardo in una circolarità che non offre via di scampo. (Simona Maggiorelli)

dal settimanale left-avvenimenti

 

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Sol LeWitt, linea e colore

Pubblicato da: Simona Maggiorelli su dicembre 15, 2012

Sol LeWittIl Madre di Napoli apre una nuova stagione con una retrospettiva dedicata all’artista Sol LeWitt, protagonista della mimal art americana

di Simona Maggiorelli

L’arte astratta realizza una ricerca nuova rifiutando il realismo figurativo. Questo è un fatto   innegabile, evidente al primo sguardo. E certamente nella prima metà del Novecento segnò una svolta rivoluzionaria.

Ma si può dire che l’arte concettuale della seconda metà del secolo scorso, il minimalismo, oppure i segni grafici e ipnotici della Op art, per quanto si realizzino in liberi giochi di linee, esprimano una ricerca diversa e più profonda rispetto alla pittura che usa la figura come calco del reale?

«Penso che quello che faccio sia realismo e che l’uso di una quantità di linee sia più reale della pittura di un oggetto o di una persona», diceva Sol LeWitt raccontando in sintesi la propria poetica astratta. E in effetti questa sua affermazione all’apparenza paradossale ben inquadra l’uso razionale della linea e della geometria, e qualche volta persino della curva che l’artista americano praticava nei suoi grandi murales, dai colori piatti, puri e sgargianti, che ora tornano ad abbagliare lo spettatore al Museo Madre di Napoli, nella prima importante retrospettiva dedicata a Sol LeWitt dalla sua scomparsa nel 2007.

Una mostra, Sol LeWitt. L’artista e i suoi artisti (aperta fino al primo aprile 2013) che insieme al volume di Adachiara Zevi, L’Ialia nei wall drawings di Sol LeWitt (Electa) permette finalmente di mettere a fuoco come il lavoro di questo protagonista dell’arte contemporanea, più che collocarsi nell’avanguardia, avesse solide radici nella pittura figurativa e in particolare in quella classica e più arcaicizzante (Zevi, per esempio, rintraccia nelle opere dell’arte astratta di LeWitt nessi stringenti con l’opera di Piero della Francesca).

Sol LeWitt

Sol LeWitt

Nelle sue sculture ambientali l’artista americano cercava di ricreare la perfetta geometria della prospettiva rinascimentale e con l’uso di colori freddi, stesi in ampie campiture, la luce radente, quasi metafisica degli affreschi di Piero, di Beato Angelico e più indietro nel tempo lo splendore delle icone sacre. Ma grande merito di questa antologica e della sua curatrice, che ha una formazione da architetto, è anche sottolineare lo stretto legame che l’opera di Sol LeWitt ha sempre avuto con l’arte di progettare spazi e ambienti.

Le sue sculture – ce ne sono molti esempi anche in Italia, dal Pecci di Prato alla Fattoria di Celle vicino a Pistoia – si presentano come grandi sagome rifinite dal punto di vista formale. Come strutture primarie e geometriche. Grandi solidi astratti che modificano lo spazio circostante, anche attraverso il loro gigantismo. Non di rado si tratta di enviroments all’aperto che il passante è in qualche modo costretto ad attraversare, percorrere, scansare. E che, attraverso una molteplicità di scale ambientali e ampie e magnetiche zone  monocrome, tentano una sintesi fra architettura e pittura. Diversamente da altri artisti della Minimal art come Judd e Flavin, che pure hanno in comune con Sol LeWitt questo gusto per la più asciutta geometria, per l’equilibrio, per le auree proporzioni, LeWitt  non sembra cercare quella sospensione dello scorrere del tempo, quella fissità vagamente angosciante che hanno la maggior parte delle opere concettuali nate nel solco del Mainstream americano, iperazionale, lucido, autoriflessivo e quanto mai disseccato dal punto di vista della fantasia. Le sue superfici tranquille  e raggianti e al tempo stesso enigmatiche,  conservano miracolosamente un aspetto giocoso irriducibile.

L’avventura di una vita
IMG_9875_edited-1Nasce l’8 aprile 1928 ad Hartford, nel Connecticut, dove fequenta la Syracuse University dal 1945 al 1948. Dopo la guerra di Corea, si trasferisce nel 1953 a New York per studiare alla Cartoonist and Illustrator School e dove lavora come grafico per l’architetto Ieoh Ming Pei (1955-56). Realizza le prime sculture nel 1963-64, ma è solo nel 1966 che nascono le strutture aperte modulari a forma di cubo, basate su leggi geometriche e matematiche, con le quali epsone nella collettiva Primary Structures al Jewish Museum di New York. Il successo arriva con il minimalismo di moda negli anni Ottanta .Alla Biennale di Venezia del 1988 un suo Wall Drawing occupa tutto il Padiglione Italia. Non disdegnando possibili contaminazioni tra discipline diverse, per il gruppo musicale Contempoartensemble disegna un cofanetto d’autore che, edito nel 1994, è acquistato dal Museum of Modern Art di New York. Al 1997 data la sua partecipazione alla Biennale di Venezia e la realizzazione della Torre irregolare per Colle Val d’Elsa, eseguita nell’ambito del progetto Arte all’Arte. Dopo la retrospettiva organizzata dal Museum of Modern Art di New York nel 1978, una esaustiva ricostruzione del suo lavoro è computa nel 2000 dal San Francisco Museum of Modern Art. Alla XI Biennale di Carrara del 2002 presenta Curved Wall, che con i suoi inconsueti blocchi curvilinei in marmo bianco rappresenta una svolta significativa nella ricerca dell’artista. Muore l’8 aprile 2007 a New York.

da left -avvenimenti

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