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La lezione di Urbani. Per una archeologia del presente

Posted by Simona Maggiorelli su giugno 6, 2013

museoFigura singolare Giovanni Urbani (1926 – 1994) nel panorama dell’arte italiana. Perché incurante di steccati e rigide compartimentazioni sapeva combinare l’interesse per l’archeologia e per la conservazione dell’antico con una acuminata e non di rado corrosiva osservazione del panorama contemporaneo.

Allievo di Lionello Venturi e di Cesare Brandi, Urbani ne seppe rielaborare la lezione in modo originale. Intellettuale dandy lo definisce Giorgio Agamben nella prefazione del libro Giovanni Urbani per un’archeologia del presente (Skira).

Ma senza la fatuità dell’esteta. Anzi impregnato di un forte senso del tragico (alimentato da letture filosofiche).

Coltissimo e aristocratico nelle sue frequentazioni intellettuali Giovanni Urbani trascorse tuttavia la vita dedicandosi alla tutela dei beni culturali lavorando all’Istituto centrale del restauro da semplice funzionario. Vi approdò in un anno cruciale per la storia italiana, il 1945. Arrivando a dirigerlo nel 1973. Per poi – anche questo un gesto davvero insolito in Italia – lasciare il proprio posto e ruolo anzitempo, molti anni prima della pensione, per spezzare il muro di silenzio che il mondo accademico aveva alzato attorno alle sue idee innovative e dopo aver amaramente constato l’impossibilità di realizzare i propri progetti.

Immagine 2A cominciare da quel Piano pilota per la conservazione programmata dei beni culturali in Umbria (1975) che esemplato in una mostra e un catalogo, tratteggiava un lungimirante modo di concepire la tutela, considerando l’opera d’arte come un organismo vivente, invitando storici dell’arte e restauratori a considerare anzitempo il suo divenire nel tempo, cercando di prevederne le possibili traettorie. E alla luce di quanto è accaduto di recente con i terremoti dell’Emilia e de L’Aquila, particolarmente illuminato ci appare oggi un testo come La protezione del patrimonio monumentale dal rischio sismico che Giovanni Urbani stilò nel 1983, dal quale sono poi derivate importanti iniziative dell’Istituto Centrale per il restauro come la realizzazione della Carta del rischio. Un testo paradossalmente “contro il restauro”, nel senso che punta a mettere l’accento sulla prevenzione dei guasti. Bene ha fatto dunque Bruno Zanardi a raccogliere e riproporre al lettore oggi questa preziosa raccolta di interventi di Giuliano Urbani – scritti giornalistici e d’occasione perlopiù – ma che nella composizione di questo volume, Per una archeologia del presente, mostrano un filo teorico fortissimo: un filo rosso di passione civile che portava Urbani a stigmatizzare una classe politica italiana che già negli anni Sessanta e Settanta si mostrava incurante e sorda verso l’importanza del nostro patrimonio artistico: capillarmente diffuso e definito in modo originale dal rapporto con il territorio in cui è inserito. «Il patrimonio culturale non viene inteso come vitale elemento di appartenenza e immedesimazione – annotava uno sconsolato Urbani – ma come superfluo ornamento e finisce con l’essere marginalizzato».

dal settimanale left

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