lupo_agnelloRicchi e potenti che si fingono martiri per affermare un potere. Lacrime di coccodrillo per nascondere un delitto. Il vittimismo diventa egemone. Da Berlusconi a nuovi padroni. Dalla favola di Fedro alla realtà quotidiana. Daniele Giglioli indaga la genesi di questa mitologia nell’interessante saggio Critica della vittima edito da Nottetempo.

 

di Simona Maggiorelli

C’era una volta un lupo che, dopo essersi mangiato un agnello, iniziò a dire che l’animale gli aveva fatto un torto e, prima di lui, i suoi avi. La fiaba di Fedro tratteggia chiaramente un prepotente che fa la vittima. Per giunta calunniando chi ha subìto violenza. Un esempio di perverso travestimento, ben noto. Tracciando nessi con molte altre occorrenze, in letteratura e non solo, lo studioso Daniele Giglioli è arrivato a delineare una vera e propria mitologia della vittima. Che dai testi scritti, nel secolo scorso, è tracimata nella vita reale, secondo l’analisi del docente di Letterature comparate dell’Università di Bergamo che a questo tema ha dedicato un interessante libro, Critica della vittima (Nottetempo) e una lectio magistralis al Festivalfilosofia  di Modena, Carpi e Sassuolo.
«Il mito della vittima è qualcosa di molto diverso dal fatto che le vittime esistono e devono avere giustizia», precisa Giglioli, consapevole di aver affrontato un tema importante quanto spinoso. «Dagli anni Sessanta a oggi la condizione di vittima è diventata “desiderabile”- aggiunge -. Soprattutto per chi vittima non è. Ma tende a porsi in quella posizione perché gli garantisce una serie di vantaggi psicologici, identitari, retorici, qualche volta anche pratici».
VittimacspyOLAGL._SY300_Da dove nasce il mito della vittima?
A mio avviso da un vuoto, anche di positività. Quando non si riesce a distinguere ciò che è bene e ciò che non lo è, si tende ad attribuire alla posizione della vittima un valore. Perché la vittima è innocente. La vera vittima lo è. E non le si può rimproverare nulla; è incensurabile. Questo è il vantaggio a cui molti puntano.È il sogno di ogni potere assoluto, che non tollera alcun rimprovero. Sotto il regime, nessuno poteva criticare Luigi XIV o Hitler. Nella società moderna, per fortuna, questo non è più possibile.
Esiste un vittimismo dei potenti? Berlusconi ai servizi sociali, ne ha “approfittato”?
è sempre esistito. Proprio come racconta Fedro. Ma oggi queste modalità sono diventate egemoni. Per legittimare il potere, per imporre qualcosa. E quando non c’è un torto reale, se ne inventa uno presunto. Quanto a Berlusconi, ha fatto un uso abbastanza spregiudicato delle sue traversie giudiziarie, dicendo di essere una vittima e perciò migliore degli altri. È vero: ci sono persone migliori e peggiori. Ma quando, come in questo caso, non c’è un criterio, si ricorre al mito. Parlo di mitologia perché è senz’altro qualcosa che ha anche fare con strutture narrative arcaiche.
I migranti sono additati dalle destre razziste come un pericolo. Dall’altra parte trattarli come vittime da assistere è la risposta migliore?
Penso di no. C’è una ritrovata centralità del Mar Mediterraneo per il fatto che gran parte delle popolazioni in sofferenza del Medioriente si riversano su quest’altra sponda con speranza. L’idea che queste persone siano mosse solo da bisogni, è falsa. Gli esseri umani hanno anche dei desideri, sono dei soggetti, sono portatori di una cultura, di una identità che potrebbe anche “non piacermi”. La prima cosa da fare è sedersi a un tavolo e negoziare considerando non solo la soddisfazione dei bisogni, ma anche la realizzazione di altre esigenze. Questa è politica; questo significa trattarli da esseri umani. Il soccorso e l’assistenza si offrono anche a una nave di cavalli. Un carico di animali che fosse in pericolo finirebbe subito nella colonna di destra di tutti i giornali online, saremmo tutti commossi. Aristotele diceva che gli esseri umani hanno una voce come gli animali. Ma gli animali possono esprimere solo piacere o dolore, noi possiamo deliberare insieme ciò che è giusto o meno.
La mitologia della vittima fa leva sul senso di colpa. Sull’idea che l’essere umano sarebbe segnato dal peccato originario e da una tragedia originaria (l’assassinio di Abele). Fare i martiri per affermare con il crisma del sangue il proprio credo fa parte di un’ideologia religiosa storicamente determinata che possiamo anche criticare?
Sicuramente c’è un prelievo di termini. La parola martiri per esempio. Ma il Cristianesimo è una religione della “speranza”, anche se ultraterrena: soffrite qui e sarete ricompensati nell’aldilà. Il fenomeno di cui mi occupo è dilagante specie nel mondo dei consumi: se non hai qualcosa qui e ora, sei rovinato. Ti spetta. Con tutta la scarsa simpatia che uno può avere per le religioni rivelate, non dicono questo. La mitologia della vittima si basa sull’idea che l’umano è costitutivamente fragile. è umano ciò che può essere colpito. è una inversione di paradigma alquanto “sinistra”. Mi sorprende che intellettuali come Judith Butler, Giorgio Agamben e René Girard concedano qualcosa a questa antropologia negativa, basata su una mancanza originaria, incolmabile.
Levinas e Derrida sostengono che l’altro morente è “figura” della mia morte. In qualche modo l’anticipa, la prefigura. L’incontro con l’altro così sarebbe solo rispecchiamento, senza possibilità di dialettica, di conoscenza. Che ne pensa?
Sono abbastanza d’accordo. Così si vede solo il medesimo, solo ciò che pare l’unica cosa da vedere, ovvero il fatto che siamo tutti mortali. Sì è vero l’umano è incompiuto ma, in quanto tale, è creativo. Gli dei e gli animali, dicevano gli antichi greci, sono costretti a vivere sempre la stessa vita. Gli animali non possono cambiare la realtà in cui vivono, gli umani sì. Questo ha a che vedere con una potenza. Ma in un momento come quello attuale in cui tutti avvertono un senso di impotenza, ecco che una mitologia come quella della vittima che mette il vuoto al centro, sembra dare una spiegazione e anche una legittimazione. Niente è come io vorrei perché ci sarebbe una tara originaria di cui la vittima si fa portavoce.
Nel suo libro lei rilegge anche la figura di Pasolini alla luce della mitologia della vittima.
In Pasolini si incontrano il poeta e il copywriter che sa cosa funziona in una società di massa. Ha intuito e selezionato alcuni aspetti della propria biografia e ne ha fatto un tratto centrale di tutta la sua opera. Che poi è una sorta di identificazione cristologica o con il profeta. Prende per esempio il Vangelo secondo Matteo, caro agli ebrei, in cui Dio dice che Gesù viene a realizzare la parola dei profeti, che vengono regolarmente uccisi dal popolo. I grandi intellettuali sono come i cani da slitta che sentono, mezzo miglio prima, il crepaccio. Pasolini aveva evidentemente un sensorio molto sviluppato e procedeva con un suo modo un po’ confuso e insieme molto efficace. E poi se ci mettiamo la morte che ha fatto…

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