L’invenzione egizia
Posted by Simona Maggiorelli su luglio 16, 2012
Due mostre,a New York e a Parigi, ma anche nuovi studi contribuiscono a mettere in crisi una visione stereotipata dell’antica civiltà che nacque sulle sponde del Nilo
di Simona Maggiorelli
Immagini femminili, stilizzate, ed eleganti. Oppure più realistiche ma sempre rappresentate con pochi tratti essenziali. Insieme a statuette votive di animali campeggiano nella galleria virtuale del Metropolitan Museum (www.metmuseum.org) di New York come invito a visitare la mostra L’alba dell’arte egizia, aperta fino al 5 agosto.
Una esposizione che, attraverso centottanta reperti datati dal 4400 al 2649 a.C. scompiglia l’idea stereotipata che abbiamo dell’arte egizia basata su figurine seriali e geroglifici. Ma anche la bella mostra in corso al Musée Jacquemart di Parigi – e che all’opposto indaga il crepuscolo dei faraoni, dal 1075 a.C. al 30 a.C. – ci propone esempi di arte egizia che mettono a soqquadro le nostre poche certezze in questo campo.
Fortunatamente, in nostro soccorso, arriva l’egittologo e affasciante divulgatore Toby Wilkinson con il suo nuovo, denso, lavoro sulle molte trasformazioni a cui andò incontro la longeva civiltà del Nilo: dalle sue origini preistoriche e dalle prime incisioni del Wadi Umm Salam fino alla conquista romana.
«Lo studio dell’antico Egitto richiede un immenso sforzo di immaginazione e una buona conoscenza di due secoli di ricerche. Ma ad indicarci la via è pur sempre l’essere umano che abbiamo in comune con gli antichi egizi», ci rassicura l’archeologo inglese. Che ne L’antico Egitto (Einaudi) ripercorre il lungo e variegato sviluppo dell’arte egizia ricordandoci che già i primi faraoni avevano compreso il potere straordinario dell’iconografia nell’imporre un’ideologia: fondamentale collante in una società tribale politeista e molto divisa al suo interno.
Con interessata lungimiranza, insomma, i faraoni si affidarono al potere e alla forza di immagini, talora anche crudeli con rappresentazioni dello strazio dei popoli sottomessi, più spesso di abbagliante bellezza, come testimoniano cronache di fastose cerimonie pubbliche e possenti piramidi costruite come espressione di un governo dispotico che rivendicava origini divine.
(«Il potere regale era assoluto nell’Antico Egitto», scrive Wilkinson, «e la vita umana valeva ben poco»). Così se in libri come La genesi dei faraoni (Newton Compton, 2003), lo studioso di Cambridge aveva indagato le origini della storia egizia a cominciare dalla sue origini preistoriche fatte risalire ad almeno duemila anni prima delle piramidi dell’Antico Regno, in questo volume offre un avvincente quadro diacronico della civiltà egizia che, abbandonate modalità semi-nomadi, si strutturò ben presto attorno all’idea di stato nazione: «un’idea che ancora predomina nel nostro mondo a distanza di cinquemila anni», sostiene Wilkinson. Ciò che è certo è che quell’invenzione permise alla civiltà egizia una durata di tre millenni (quella romana durò “appena” un millennio). Un’idea che differenziava radicalmente l’Egitto dalla Mesopotamia basata su città -stato di grande ricchezza multiculturale.
da left-Avvenimenti
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