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La bella follia di inizio Novecento

Posted by Simona Maggiorelli su ottobre 7, 2011

In mostra a Ferrara l’avanguardia che segnò una svolta storica. Da Matisse a Modigliani a Picasso, quando Parigi era fucina creativa di talenti

di Simona Maggiorelli

Modigliani Nudo 1917

Un Monet come non te lo saresti mai aspettato, scuro, vibrante, potente nel reinventare radicalmente la solita visione di un ponte sulle ninfee,  apre la danza de Gli anni folli, la mostra aperta fino all’8 gennaio in Palazzo Diamanti a Ferrara. Dando il la ad una esposizione che si offre come un appassionato viaggio nella Parigi di inizio Novecento, quando la capitale francese era una un’autentica fucina di talenti e di nuove tendenze. La rivoluzione del colore compiuta da Van Gogh in soli dieci anni, davvero brucianti, era appena alle spalle.

E ancora forte sui giovani artisti di Montparnasse e di Montmatre era l’influenza di Cézanne, il fascino delle sue figure oniriche e deformate, dalle braccia lunghissime. Pur venendo da esperienze diversissime, e avendo sviluppato poetiche quanto mai distanti, i due maestri avevano inaugurato una ricerca e un modo nuovo di dipingere che, per la prima volta, dopo più di un secolo di rigida pittura d’accademia, superava la visione piatta e razionale della realtà.

Picasso, 1924

Perfino Claude Monet, negli ultimi anni, ebbe inaspettatamente il coraggio di rimettersi in discussione e di riaprire i giochi della ricerca a partire dalla pennellata densa e materica di Van Gogh e dalle forme solide eppure senza contorni di Cézanne

Ci invita a pensarlo anche questa tela di Monet che arde di verdi, marroni e viola, questo Ponte giapponese a Giverny a cui il pittore impressionista lavorò tra il 1918 e il 1924 e che la curatrice, Maria Luisa Pacelli, ha scelto significativamente come incipit di questa collettiva che ripercorre tutto l’arco fra le due guerre.

E l’eco della solitaria ricerca di Cézanne (che era morto nel 1906) si avverte fortissima anche nell’evidenza plastica, quasi scultorea e tridimensionale, dei ritratti di Amedeo Modigliani, che proprio negli anni della bohème parigina, a contatto con artisti immigrati da tutto il mondo e studiando le opere del maestro di Aix-en Provence, riuscì a realizzare un proprio linguaggio originale, liberandosi del provincialismo macchiaiolo assorbito durante la prima formazione livornese. A Ferrara, oltre al celebre nudo del 1917 conservato al Guggenheim Museum di New York, si può vedere un raro e solare ritratto di fanciullo, Ragazzo con pantaloni corti (1918) proveniente da Dallas, che dallo sgabello dove è seduto sembra scivolare in avanti verso lo spettatore, come il celebre ritratto della moglie di Cézanne. Ma per ricreare l’aria di libertà e di fermento creativo che si respirava nella Parigi di inizio Novecento non potevano mancare in mostra anche alcune testimonianze della stagione cubista: opere pittoriche di Georges Braque, di Juan Gris e dei più tardivi Fernand Léger e Robert Delaunay che ( qui come del resto nei grandi musei di Parigi ) finiscono per sembrare degli esercizi di stile se paragonate alla potenza espressiva delle figure decostruite e scomposte  di Picasso. Accade qui per un tardivo Tavolino rotondo di Braque degli anni Venti e che le curatrici della mostra hanno messo crudelmente a confronto con una coeva natura morta di Picasso, in cui  gli oggetti appaiono stagliati su due diverse tonalità di fondo rosso, tracciati da linee nere, nette come incisioni sulla tela.  In quegli anni Venti, però, anche Picasso avrebbe risentito di un generale e torvo vento di riflusso che lo avrebbe portato a rifugiarsi in matronali figure femminili che paiono scimmiottare l’antico (Maternità, 1921). Per lui sarà solo la crisi di un momento. Non così per Derain, per Campigli, Severini e certo De Chirico che, nel calco dall’antico, caddero senza un filo di ironia. Mentre i surrealisti deviarono verso sogni iperlucidi, bizzarrie gelide e senza fantasia.

da left-avvenimenti

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