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Diritti, individualità e libera ricerca secondo Vittoria Franco

Posted by Simona Maggiorelli su Maggio 23, 2005

di Simona Maggiorelli

Una domanda radicale abita le prime pagine del libro di Vittoria Franco, Bioetica e procreazione assistita, pubblicato da Donzelli. Una domanda diretta e essenziale: come è potuto accadere che in Italia sia passata una legge come la 40? Come è potuto succedere in un paese da molti anni all’avanguardia nella fecondazione assistita come l’Italia? Con centinaia di centri che, fino all’entrata in vigore di questa legge il febbraio di un anno fa, praticavano normalmente la fecondazione eterologa, la conservazione degli embrioni e la diagnosi preimpianto per selezionare embrioni sani.

Il fatto è che a 46 anni dalla prima proposta di legge in materia, scrive Vittoria Franco in questo suo agile e ficcante saggio, oggi abbiamo “una legge anacronistica, che detta norme vessatorie, piena di paradossi, lontana anni luce dal sentire comune e dai nuovi modelli di vita”. Su una materia così importante, delicata, nuova, afferma la senatrice diessina con grande franchezza “si è giocata una partita di scambio politico all’interno della maggioranza e fra questa e le gerarchie ecclesiastiche”. Una pagina nerissima della storia italiana e che con il referendum del 12 e 13 giugno si spera davvero di poter cambiare. Le ragioni per votare quattro sì sono argomentate con limpido rigore in questo nuovo libro della Franco, che da filosofa e ricercatrice, smonta una ad una le argomentazioni di Chiesa e governo Berlusconi, ma anche di un filosofo progressista come Habermas che, da qualche tempo, ha preso a scrivere contro la cosiddetta “genetica liberale” e le sue paventate derive. “Dove mai andremo a finire?” si domanda il filosofo tedesco. Prendendo, dice la Franco, quella che Mary Warnok chiama la posizione del pendio scivoloso, per cui in nome di un rischio remoto si rinuncia a risolvere casi concreti. Così, mentre perfino Habermas si mette a battagliare contro una fantasticata eugenetica, si impedisce a persone con gravi malattie genetiche come la talassemia o la fibrosi cistica di mettere al mondo figli sani e si impongono stop inderogabili a quella ricerca che potrebbe trovare una cura a malattie come queste, e come il Parkinson e l’Alzheimer, oggi inguaribili.

E tutto, scrive Vittoria Franco, nel nome di una “confusione che si fa fra vivente e persona”. Attribuire personalità giuridica all’embrione, come fa la legge 40 (nessun’altra legislazione al mondo fa altrettanto), tutelando il possibile nascituro più della madre, è un’operazione che non regge sotto il profilo giuridico e scientifico. La senatrice e responsabile nazionale della cultura per i Ds dedica i capitoli centrali di questo suo nuovo libro a questo argomento, ricostruendo il dibattito internazionale, proponendo confronti serrati con le altre legislazioni europee, suggerendo percorsi bibliografici e pubblicando in appendice alcune interessanti spigolature del dibattito in Senato. Un paio di punti ci paiono da segnalare in primis: “L’individualità – scrive la Franco – è il requisito minimo per attribuire personalità giuridica, ma l’embrione nella prima fase è un’entità costruita da poche cellule indifferenziate. Attribuirgliela, dunque, è più di una forzatura”. E poi citando i più avanzati studi scientifici aggiunge: “solo dal momento in cui inizia una vita mentale si può parlare di persona”. È alla nascita, dice la scienza medica, con il “venire alla luce” – come intuisce del resto anche il linguaggio comune – che avviene una trasformazione irreversibile e radicale per l’essere umano. Prima delle 24 settimane, la medicina insegna, il feto non ha nessuna possibilità di vita fuori dall’utero materno. Così quando Habermas parla di inviolabilità dell’embrione, fa notare Vittoria Franco, sposta il discorso su un piano di metafisica. Ma così appunto, l’embrione diventa “entità intangibile”: sacra. “E nel nome di un concetto astratto di sacralità della vita – scrive la Franco – si impedisce la vita umana legata alla nascita; il venire al mondo di un essere umano compiuto”. Ma c’è dell’altro. Isolando l’embrione come se fosse un’entità autonoma, capace di svilupparsi indipendente dall’utero – denuncia Vittoria Franco – “si torna a considerare la donna come un soggetto privo di dignità giuridica ed etica, come un semplice contenitore di un’entità astratta e superiore”. Viene a mancare insomma quel fondamento della libertà femminile che le donne conquistarono con la contraccezione, quando finalmente la sessualità non fu più maternità come ineluttabile destino, ma scelta. E l’articolo 1 della legge 40, quello che poi informa di sé tutto l’articolato, compie proprio questo passo: creare una discrasia con quanto afferma la legge 194 sull’aborto. Per poi poter revisionare la legge sull’aborto, come auspicato pubblicamente dal senatore Giulio Andreotti e dal ministro Rocco Bottiglione. “L’articolo 1 della legge 40 – sottolinea la senatrice – è in aperta contraddizione con quella famosa sentenza della metà degli anni Settanta che poi portò alla promulgazione della 194”. Una sentenza che metteva in primo piano la salute fisica e psichica della donna, stabilendo una gerarchia di diritti, fra chi è già nato e un ammasso di cellule in via di sviluppo, che ha solo una vitalità generica e che non è ancora vita umana, in senso pieno, con una sua integrità fisico- psichica. Il che non vuol dire, sottolinea Vittoria Franco che l’embrione sia solo materia, che possa essere trattato alla stregua di “una muffa”. Ma la tutela morale dell’embrione, cara anche ai sostenitori di quattro sì, non comporta come automatica conseguenza una sua equiparazione alla persona, il riconoscimento giuridico dei suoi diritti al pari di quelli dei soggetti già nati. “Se parliamo di protezione – scrive la Franco, da politico e da studiosa di bioetica – noi accettiamo che l’embrione non sia cosa assimilabile a oggetti inanimati, ma un’entità che appartiene al genere umano: come inizio di una vita umana possibile”. E un modo alto di considerarne il valore potrebbe essere proprio quello di non lasciare che venga gettato in un lavandino, qualora non impiantato e non più richiesto dalla coppia, ma di utilizzarlo per la ricerca scientifica, per cercare una cura a quelle malattie – tumori, malattie genetiche e degenerative – che , per usare un’espressione del premio Nobel Dulbecco, sono oggi i principali killer della specie umana.

Avvenimenti

Vittoria Franco è ricercatrice di Filosofia alla Scuola Normale Superiore di Pisa, senatrice e responsabile cultura per la segreteria nazionale dei Democratici di sinistra. Per la Donzelli ha pubblicato “Etiche possibili. Il paradosso della morale dopo la morte di Dio“.

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