Nello storico spazio di Dorsoduro del Guggenheim di Venezia una selezione di opere della collezione Sonnabend
di Simona Maggiorelli
Una giovane donna dall’aria malinconica, distaccata, lontana. Così appariva, in bianco e nero, Ileana Shapira in una foto d’epoca che ora campeggia sulla copertina di una fortunata biografia scritta da Manuela Gandini per l’editore Castelvecchi. Quella ragazza di buona famiglia, nata a Bucarest, ebrea, ricchissima, moglie diciassettenne del grande gallerista Leo Castelli e poi del letterato Michael Sonnabend , di fatto, è stata il deus ex machina. L’artefice diretta o indiretta, di moltissima parte della scena artistica del secondo Novecento.
Al pari di un’altra signora dell’arte, Peggy Guggenheim, ma da una posizione più riservata e schiva. Anche se non meno tenace nell’annettere alla propria “scuderia” opere di avanguardia, che sapessero raccontare il proprio tempo, aspirando a diventare a loro modo classiche. Così a quattro anni dalla scomparsa di Ileana, il museo Guggenheim di Venezia le dedica un omaggio, fino al 2 ottobre, ospitando la mostra Ileana Sonnabend, un ritratto italiano curata da Antonio Homem e da Philip Rylands e che raccoglie una selezione di opere della collezione Sonnabend, – una settantina in tutto – legate dal filo rosso dell’amore di Ileana per il Belpaese.
In primo piano, così, un bianco e magnetico Concetto speziale di Lucio Fontana e opere scabre ed essenziali di maestri dell’Arte povera (Kounellis, Pistoletto, Paolini, Zorio, Merz, Calzolari, Anselmo), ma ecco anche il new Pop di Rotella e i collage di Rauschenberg d’ispirazione italiana, realizzati proprio per la gallerista, che insieme a Castelli, si fece mentore del lavoro dell’artista statunitense.
E poi ancora i freddi geometrismi di minimalisti come Dine e Sol Lewitt e, sul versante opposto, la cifra neoselvaggia di artisti come Baselitz e Kiefer che forse, più di tutti, risuonavano nella passione di Ileana per l’arte, coltivata fin da giovanissima in ambito mitteleuropeo, con piglio nomade e cosmopolita.
Come del resto lo fu la sua vita, trascorsa fino a 94 anni tra Parigi, Venezia e New York. Proprio nella Grande mela con il triestino Leo Castelli , Ileana Shapira diventò la “regista” di gran parte dell’arte americana anni Sessanta e Settanta. Insieme lanciarono i principali protagonisti del minimalismo ma anche dell’arte processuale e concettuale. E proprio grazie alla galassia di gallerie che Ileana e Leo, ciascuno a suo modo, contribuirono a far nascere nel quartiere di Soho, New York rilanciò la propria leadership culturale nel mercato internazionale dell’arte. E se quel legame esigente e complesso fra i due non poteva rimanere compresso nell’ambito di un matrimonio, per tutta la vita Ileana e Leo furono complici, sodali e sottilmente rivali sapendo di tracciare le linee della storia dell’arte del XX secolo.
da left-avvenimenti 2011

