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Olivetti e il sogno di un’altra Italia

Posted by Simona Maggiorelli su luglio 26, 2013

Adriano Olivetti

Adriano Olivetti

In otto mesi le Edizioni di Comunità hanno venduto più di 40mila copie dei primi titoli di Adriano Olivetti usciti nella agile collana Humana Civitas. Grazie all’iniziativa di Beniamino de’ Liguori Carino (nipote dell’industriale di Ivrea) che ha recuperato il glorioso marchio e ha messo in piedi una rete di collaboratori che, tra l’altro, gestiscono con adesione quasi militante il rapporto diretto con 150 librerie indipendenti e con molte associazioni. «Per quanto sia una mia impresa indipendente – racconta il giovane editore – il progetto si lega all’attività della Fondazione che dal ‘62 porta avanti l’eredità olivettiana e al lavoro di BeccoGiallo (brand del fumetto civile) che condivide l’idea che il pensiero di Olivetti sia attuale soprattutto per la generazione dei 30/40enni, parlando d’innovazione, di tecnologia e di un nuovo modo di fare impresa senza perdere di vista l’umano».

L’importanza del sapere tecnico non scisso da quello umanistico, la riflessione sui movimenti e un certo ambientalismo sono alcuni dei temi olivettiani che le Edizioni di Comunità hanno riportato in primo piano pubblicando titoli come Democrazia senza partiti, Il cammino della comunità e Ai lavoratori, con prefazioni autorevoli firmate daStefano Rodotà, Salvatore Settis e Luciano Gallino. «Con questi primi libri e gli altri in arrivo vogliamo raccontare aspetti salienti della vicenda olivettiana con un linguaggio nuovo, più contemporaneo ed accessibile, anche fuori delle accademie. Abbiamo cercato di spogliarlo di quella mitologia con cui è stata neutralizzata la sua modernità», sottolinea de’ Liguori.

Gli stabilimenti di Ivrea

Gli stabilimenti di Ivrea

Quali sono oggi gli elementi più vivi e vitali del pensiero di Olivetti? «Sono quelli che mi hanno portato ad impegnarmi nella ripubblicazione anzitutto dei suoi scritti: la sua idea di una possibile giustizia sociale, la sua idea di sviluppo e di crescita che allora si concretizzava nella fabbrica e che oggi forse si realizza di più nelle opportunità offerte dalla tecnologia se finalizzata al potenziamento dell’umano». E su un piano più personale? «L’essere riuscito ad isolare gli aspetti universali del pensiero di Olivetti mi ha permesso di superare il rapporto parentale e il peso che ha avuto una personalità così forte sulla mia formazione. Mi interessa il valore civile del suo pensiero. Quella di Adriano Olivetti in fondo è l’Italia come avrebbe potuto essere. E la sua voce risulta oggi più chiara di cinqunat’ anni fa e più in linea con i tempi».

Fra le questioni che Olivetti in qualche modo aveva preconizzato c’è anche il ruolo dei movimenti alternativi al modello del partito “novello principe”. «Sì, per questo abbiamo pubblicato quel testo del ‘49 Democrazia senza partiti che non è un elogio dell’antipolitica. Olivetti parlava di comunità come organizzazione sociale locale che trovava poi rappresentazione politica in un coordinamento a livello nazionale».

Franco Fortini in Olivetti

Franco Fortini in Olivetti

Un’idea di comunità, la sua, che per quanto avesse accenti religiosi, quanto meno non idealizzava l’antico e l’Italia povera, ignorante, preindustriale osannata da Pasolini. «La grandezza di Olivetti e la sua originalità – commenta de’ Liguori – risiede proprio nel fatto che la sua filosofia sociale si legava a un’idea di modernizzazione industriale. Non dobbiamo dimenticarci che Olivetti era soprattutto un imprenditore che aveva saputo fare dell’azienda che aveva ereditato un’impresa fra le più avanzate a livello internazionale in termini di qualità del prodotto, di tecnologie di reti commerciali». E i rapporti che Adriano Olivetti aveva con gli intellettuali? «Fortini, Volponi e altri erano stati chiamati ad Ivrea non per fare i menestrelli del principe ma per ricoprire ruoli aziendali importanti. Le scienze per lui erano uno strumento dell’intelletto al pari delle discipline umanistiche. Vedeva il sapere tecnico come strumento di emancipazione». Questo sottintendeva una visione “complessa” dell’umano, che lo portava a non considerare solo i bisogni materiali degli operai? «Era la cifra che lo distingueva, alla fine degli Cinquanta Olivetti riusciva a mettere in relazione ciò che si sta facendo nel laboratorio di Ivrea con una certa idea di persona, profonda, empatica. Tutto era collegato e pensato con un fine umanistico».

 dal settimanale left-avvenimenti

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