Adrian Paci, The column

Adrian Paci, The column

Il poliedrico Adrian Paci e il pittore Edi Hila sono i protagonisti del padiglione dell’Albania.

Che debutta alla Biennale architettura di Venezia.

Facendo tesoro dell’esperienza dell’artista e ora primo ministro Edi Rama, mentore della rinascita di Tirana

di Simona Maggiorelli

Con una scelta originale e ricca di significati il padiglione dell’Albania (new entry in Laguna) si presenta alla XIV Biennale di architettura puntando sull’opera di due artisti, Edi Hila e Adrian Paci. E se da noi troppo poco si conosce ancora del lavoro del pittore Hila che ricrea il paesaggio urbano dipingendo facciate di palazzi, molto noto e apprezzato è il lavoro di Paci, scultore, pittore, videoartista, performer che dal 1992 vive a Milano e al quale si devono foto fulminanti come Centro di permanenza temporanea (2007) e come The Line (2007) che ci parlano di immigrazione con immagini potenti che non lasciano indifferenti. Alla Biennale che si apre il 7 giugno Adrian Paci presenta The Column (2013) un video di 25 minuti dedicato al trasporto di blocchi d marmo che, durante il viaggio per mare dalla Cina, diventano colonne “corinzie” grazie al duro lavoro di maestri artigiani. Un’opera visionaria e poetica che solleva domande radicali su arte e mercato, su dignità del lavoro e sfruttamento, sui ritmi forzati della globalizzazione. E che, al contempo, ci parla della ricerca di bellezza come esigenza profonda di ogni essere umano. In questo video ritroviamo molti temi che connotano il percorso di Paci fin dagli esordi: temi come il viaggio, il rapporto fra Oriente e Occidente, fra finito e non finito, fra realtà e invenzione.
Adrian Paci, come è nata quest’opera?
Nasce dall’incontro con una storia che mi ha raccontato un amico suscitando in me una visione. A cui poi ho cercato di dare forma. La storia di navi-fabbrica che producono in viaggio mi è parso racchiudesse in sé una grande potenzialità. La nave che varca i confini con a bordo lavoratori che trasformano, con le proprie mani, la materia prima diventa lo spazio dove s’incontrano e si scontrano in modo suggestivo molte tematiche.

Adrian_Paci_03Il conflitto, la tensione, zone di crisi potenzialmente offrono un terreno fertile per l’arte?
In Cina si dice “Ti auguro di vivere in tempi interessanti”. Un augurio ma anche una maledizione, perché i tempi interessanti non li scegli tu e non li scegli di sicuro per fare ricerca nell’arte. In quei frangenti dobbiamo azzittirci o, piuttosto, cercare di esprimerci? Io sono per la seconda opzione.
Con opere come Slowly (2004) lei ha saputo trasformare storie di migranti in immagini artistiche di valore universale. Un modo anche per dare voce a chi non ce l’ha?
è vero ma bisogna stare attenti a non cadere nel paternalismo e nella retorica buonista. Io cerco di raccontare ciò che conosco e ciò che mi attrae e mi incuriosisce. Non c’è niente di forzato. Non potrei fare diversamente. Trovo fastidiosa l’etichetta di artista che tratta “il tema dell’emigrazione” usata per un consumo mediatico.
Lei si è misurato con linguaggi diversi, rifiutando sempre la cronaca. Per rappresentare la realtà umana più profonda serve fantasia?
Eh sì, l’arte è alla fine un’ opera di finzione. Il problema è capire se questa finzione ci aiuta a penetrare nella verità delle cose. Io penso di sì.
Il tema del nomadismo e dell’incontro con culture differenti attraversa tutta la sua opera. Cosa significa per lei oggi rappresentare il padiglione nazionale albanese?
Adrian-Paci-Turn-On-620x388La Biennale di Venezia è una mostra dove i contributi nazionali si incontrano e si intrecciano. L’Albania non ha un suo padiglione permanente nei giardini, ma quest’anno ha un suo spazio all’Arsenale accanto ad altri. è un onore essere stato chiamato, con Edi Hila, a rappresentare il mio Paese che sta cercando di uscire dalla marginalizzazione dopo 50 anni di isolamento totale e 20 anni di transizione faticosa. Ma la partecipazione dell’Albania non punta sull’orgoglio nazionale. Attraverso la visione di due artisti, vuole dare un contributo al tema prosto quest’anno dalla Biennale. “L’essere in potenza”, l’apertura e la problematizzazione di identità chiuse sono al centro del nostro padiglione .
Dalla recente retrospettiva al PAC di Milano a quella parigina, alla Biennale architettura. Come vive questo climax e che direzione sta prendendo la sua ricerca?
Sono stati anni di lavoro intenso e per me mostrare, “mettersi in mostra”, non vuol dire mettersi su un piedistallo per essere celebrato, ma aprirsi allo sguardo critico dell’altro e questo comporta anche una certa fatica. Per ora sto lavorando su due nuovi mosaici e una serie di piccoli dipinti.

 

La sfida di Beyond Entropy

Con il padiglione dell’Angola, premiato con il Leone d’oro alla Biennale d’arte del 2013, l’architetto Stefano Rabolli Pansera ha conquistato l’attenzione del pubblico internazionale (anche quello dei non addetti a lavori) mostrando la sorprendente vivacità culturale di Luanda, capitale angolana che, in un decennio della fine di una guerra civile durata ben 27 anni, ha saputo trovare un riscatto anche attraverso un inedito sviluppo del territorio urbano. Seguendo questo filo rosso quest’anno la scommessa si rinnova e, con Jonida Turani, Stefano Rabolli Pansera cura il padiglione dell’Albania presentando alla Biennale architettura 2014 Potential monuments of unrealised futures un progetto che va alla ricerca delle potenzialità inespresse della modernità albanese. Così i due curatori di Beyond Entropy tornano a cimentarsi con un’area apparentemente fuori dal mainstream dell’architettura internazionale, ma che dalla fine del regime comunista sta attraversando una interessante anche se lenta fase di rinascita. Che ha ricevuto una bella spinta dalla “rivoluzione dei colori” compiuta dall’artista Edi Rama che quando era sindaco di Tirana svecchiò il volto della città invitando a ridipingere le facciate dei palazzi con tonalità vive e fantasiose. Oggi Edi Rama è  primo ministro e in questa veste sarà a Venezia per promuovere il padiglione dell’Albania. «Il suo impegno come sindaco e artista ha ispirato il nostro lavoro – racconta Jonida Turani-. Fra il suo modo di fare politica attraverso l’arte e il nostro modo di fare architettura attraverso l’arte c’è una profonda consonanza». Il progetto Beyond Entropy, che si estende dall’Europa, al Mediterraneo, all’Africa «punta a sviluppare le potenzialità già presenti nei territori – spiega Rabolli Pansera – senza l’imperativo di costruire a tutti a costi, ma anzi cercando di trasformare in modo positivo l’esistente. “Cambiare tutto senza cambiare niente” è il nostro “motto” facilitando il riarticolarsi delle forze già presenti nel contesto. E questo è stato anche l’obiettivo di Edi Rama».

dal settimanale left