Io, Camille Claudel
Posted by Simona Maggiorelli su marzo 1, 2014
Apettando la mostra Rodin, il marmo e la vita che, dopo Milano, dal 18 febbraio è aperta alle Terme di Diocleziano, torniamo indirettamente sull’opera e sulla vicenda biografica del grande scultore francese, ricordando il talento e la vita spezzata della sua amante, l’artista Camille Claudel (1864-1943). Di recente protagonista di una retrospettiva al Musée Rodin di Parigi ma anche al centro di una più ampia riscoperta punteggiata da film e biografie. Dopo Isabelle Adjani nel 1988, l’anno scorso è stata Juliette Binoche a far rivivere la tormentata storia della Claudel sul grande schermo. E fra i tanti omaggi e le storie romanzate che ne fanno un’eroina maudit (ripronendo il logoro e fuorviante binomio “genio e pazzia”) spicca invece la puntuale biografia Camille Claudel di Odile Ayral- Clause, docente di letteratura francese alla California Polytechnic State University. Scritta nel 2002, è stata di recente tradotta e pubblicata da Castelvecchi e permette di avvicinarsi alla dolorosa vicenda di Camille Claudel, nella sua complessità attraverso lettere, documenti, e incrociando testimonianze dirette e indirette, ripescate anche nelle cronache locali dei giornali in cui le infermiere del manicomio in cui l’artista fu internata nel 1913 parlavano di lei.
Vaglio critico delle fonti e narrazione mai arida fanno di questo libro un’opera davvero preziosa per chi voglia conoscere più da vicino la genesi di sculture affascinanti e oscure come Sacountala, forse l’opera più nota della Claudel, fra le poche che le sono sopravvissute. Il soggetto derivava dalla tradizione indiana e la scultrice rilesse il mito arricchendolo di riferimenti alla difficile condizione della donna nella società ottocentesca ancora “vittoriana” ma anche alla propria tormentata relazione con il maturo Rodin che in lei trovò una musa e una compagna capace come pochi altri di comprendere il senso profondo della sua arte, essendo artista in prima persona e in modo originale. Eppure Rodin non lasciò mai la sua compagna Rose che nella sua vita rivestiva un ruolo di moglie e madre, sembra in ombra. Ayral-Clause ricostruisce la relazione fra i due fin dall’inizio complicata, fra improvvise freddezze e allontanamenti da parte di Camille e sue ossessive richieste di essere l’unica allieva del maestro Rodin. Che fuggiva chiudendosi in un grigio ménage domestico contrassegnato anche dai problemi di un figlio taciturno e isolato che poi avrebbe cercato una via di fuga dall’asfittica dimensione familiare arruolandosi nell’esercito. Intanto le condizioni psichiche della Claudel si facevano sempre più instabili. Proveniente da una famiglia cattolicissima era giudicata figura scandalosa anche nella Parigi degli artisti dove era ammessa la libertà di pittori e scultori, ma solo se maschi. Accusata di rubare idee al maestro Rodin, Camille non smetteva di ripetere: «Traggo le mie opere esclusivamente da me stessa». «Ho fin troppe idee di mio» rispondeva nel 1899 a un critico che, alla vista della sua Clotho, l’accusava di aver plagiato un’opera di Rodin. La scultura a partire da sé, sostiene Ayral-Clause, era proprio il segno originale della grande artista francese.
dal settimanale left-avvenimenti
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