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Un mare di immagini (The sea is my land al Maxxi)

Posted by Simona Maggiorelli su luglio 25, 2013

Adrian Paci per The sea is my land

Adrian Paci per The sea is my land

“Voglio dita nuove per scrivere in un modo altro/Alte come gli alberi delle barche,/lunghe come il collo di una giraffa/per confezionare alla mia amata/un vestito di poesia».

Così recitano alcuni versi di Nizar Kabbani che l’artista siriano Ammar Abd Rabbo ha scelto per accompagnare una selezione di sue opere fotografiche esposte al MAXXI, nell’ambito della mostra The sea is my land (aperta fino al 29 settembre, catalogo Feltrinelli) curata da Francesco Bonami e da Emanuela Mazzonis.

Sono foto accecanti di colori o in scabro bianco e nero che raccontano momenti di vita pubblica, le feste, la vivacità delle città che si affacciano sul Mediterraneo, le speranze e gli slanci delle recenti primavere arabe ma anche le tragedie, la guerra e la distruzione.

E anche quando le immagini che scorrono davanti ai nostri occhi in questa collettiva romana sono terribilmente drammatiche lo sguardo di Ammar Abd Rabbo attraverso l’obiettivo appare caldo, vibrante, partecipe, come se si posasse sulla donna amata di cui parla il poeta. Come sensibili sono le sue dita che scattano fotografie dal linguaggio nuovo, poetico, quasi fossero pitture e non semplici istantanee di realtà.

E un registro lirico, denso di nostalgia è da sempre la cifra stilistica e personale di Adrian Paci, videoartista albanese che ha vissuto lungamente in Italia e che non poteva mancare da questa rassegna che racconta il Mare nostrum e le culture che lo abitano, attraverso l’opera di ventidue artisti perlopiù appartenenti alla generazione nata fra gli anni Sessanta e Settanta. Fra loro anche molte artiste che mescolano linguaggi diversi, dalla fotografia, al video, all’installazione per rappresentare la dimensione interiore del viaggio, dello sradicamento, lo spaesamento come fa la tunisina Mouna Karray, giocando fra cronaca e memoria, mettendo al centro dei frammenti di realtà che riescono ad evocare interi mondi, che ci appaiono ormai sfumati e perduti.

Marie Bovo per The sea is my land

Marie Bovo per The sea is my land

Racconta, invece, la vertigine di guardare il cielo dal centro di storici cortili Marie Bovo, facendo incontrare fotografia, scultura e architettura in opere che si presentano come inaspettate finestre per spiccare il volo verso il mare aperto. Verso quel Mediterraneo che continua ad essere solcato da imbarcazioni di fortuna cariche di persone in fuga dalla miseria e da regimi oppressivi e che nel lavoro di questi artisti appaiono come novelle zattere di Gericault che sfidano le correnti. E l’impossibile.

Come i lavoratori protagonisti del breve filmato di Yuri Ancarani che si cimentano con mestieri estremi al limite della sopravvivenza. E ancora l’ombra della guerra torna nelle immagini in bianco e nero di Fouad Elkoury e nell’installazione, intima e toccante, di dieci fotografie firmata da Mladen Miljanovic. Onde di speranza lasciano il posto alla risacca della disperazione dei migranti respinti. Il mosaico dei mille colori del Mediterraneo di cui parlava Braudel si riverbera nelle periferie cosmopolite di Parigi dove Mohamed Bourouissa ritrae gang giovanili in composizioni che evocano celebri quadri di Delacroix, trasformando scene di guerriglia urbana in arte.

(Simona Maggiorelli)

Sal settimanale left-avvenimenti

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