Le sperimentazioni laiche di Enrico Baj
Posted by Simona Maggiorelli su luglio 25, 2010
A Castiglioncello, per tutta l’estate, una mostra ripercorle avventure nell’arte e le sperimentazioni di Enrico Baj.
di Simona Maggiorelli
Giocoso, intemperante, con il gusto della provocazione e di quel guizzo di fantasia che apre una finestra su nuovi mondi. L’arte e la vita di Enrico Baj sono ripercorse in Castello Pasquini, a Castiglioncello da una mostra curata per Skira da Luciano Caprile e da Roberta Cerini Baj dal titolo Enrico baj: dalla materia alla figura La rassegna aperta fino al 27 settembre e accompagnata da catalogo Skira raccoglie 77 opere realizzate dal poliedrico artista milanese dal 1951 , ovvero dall’anno di fondazione del Movimento Nucleare, fino agli anni Novanta, quando le sue ludiche sperimentazioni prendono forma di “maschere tribali”, “totem” e composizioni materiche a partire da objet trouvé. Ma andiamo con ordine. Il percorso delle sei sale nel bel castello in pineta prende le mosse dal De Rerum Natura di Lucrezio, a cui Baj era legatissimo per lo spirito laico dello scrittore latino, ma anche per la metafora del naufragio e della possibilità di raggiungere una sponda, un nuovo inizio. Metafora che si tingeva di significati ben concreti per Enrico Baj alla fine della seconda guerra mondiale. Fra speranza di un nuovo futuro e ferite ancora aperta e devastanti lasciate dal conflitto e dall’atomica in quegli anni l’universo di Baj era percorso ancora da atmosfere da day after . Lo racconta bene un’opera come Due figure atomizzate, un olio e smalto del 1951 in cui un sinistro processo metamorfico sembra erodere la stessa sostanza pittorica livida di colature e di umori. La mostruosa Zia Vannia del 1955 nasce da lì e lo stesso Baj non esita a escogitare nel 1956 un Autoritratto che lievita da un impasto informale. In questo ambito di ricerca si colloca anche l’idea dei “generali” rappresentati come se il concetto di violenza e di distruzione fosse insito nel loro corredo cromosomico. Général se promenant avec son petit chien del 1960 è una delle opere che più colpisce in questo senso. Non solo e non tanto per le sue grandi dimensioni ma il tono caustico, corrosivo. Ma a Castiglioncello incontriamo anche un altro quadro celebre di Baj, Zita de Bourbon-Parme, Impératrice d’Autriche, “dama” della frivolezza e della vacuità. Ma la mostra toscana dà anche spazio al successivo percorso creativo di Enrico Baj , in cui il piacere di stupirsi e di stupire il prossimo si unisce a una acuta analisi della società di cui l’artista milanese denuncia la masochistica vocazione per la catastrofe. Fino al tripudio di colori del finale . Nell’ultima sale ecco le “maschere tribali” e i “totem” in cui la pratica del “ready made” usata non per divertimenti fini a se stessi ma per una disamina dei comportamenti umani, capaci di mescolare nello stesso tempo una tecnologia sempre più sofisticata ad atteggiamenti regressivi. Così Attkuyu può inalberare un telefono cellulare mentre il bifronte Luigi XV e Madama Pompadura si fa trapanare il cranio da una lama. E a ribadire quanto Baj fosse incurante di generi e tecniche blasonate ecco, nelle vetrine di Castello Pasquini, “meccani”, i “lego”, le “plastiche”, i “mobili”, gli “specchi” che accompagnarono in tutto il suo percorso artistico.
Simona Maggiorelli
dal quotidiano Terra del 17 luglio 2010
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