Cercasi critica militante
Posted by Simona Maggiorelli su giugno 22, 2010
Anticipazioni spettacolarizzate, interviste sdraiate, stellette. L’informazione letteraria è sparita dalle maggiori testate. La denuncia del critico Gian Carlo Ferretti e di un team di studiosi
di Simona Maggiorelli
Forse, come ora si suggerisce da più parti, non sono da rimpiangere gli anni in cui una critica letteraria neoavanguardista e ideologizzata sentenziava giudizi. Mentre la critica accademica, strutturalista o narratologica che fosse, rovesciava colate di piombo sulle terze pagine dei quotidiani, orgogliosa della propria separatezza e incurante della propria autoreferenzialità. Né tanto meno – ovviamente – andando più indietro nel tempo, sono da rimpiangere gli elzeviri cari al fascismo, di cui certe articolesse accademiche hanno finito poi, involontariamente, per essere figlie. Ma certo in questa Italia di pagine culturali appiattite, seriali, genuflesse davanti agli input del mercato editoriale e ai fabbricanti di best seller (tanto che capitano giorni in cui le maggiori testate nazionali paiono fatte in fotocopia) si sente viva e pungente, quanto mai, l’urgenza di penne dotate di spirito critico, capaci di smascherare il vuoto e la violenza di una certa cultura dominante, berlusconiana e vaticana. Anche se oggi, dopo molti anni dalla discesa in campo del Cavaliere con i suoi Drive in e i suoi Fede (che oggi imperversano anche in Rai), espressioni come “acquisire strumenti critici” o “sviluppare una propria autonomia di pensiero” si sentono sempre più di rado. Perfino nella scuola dove i ragazzi vengono allenati a essere “efficaci” ed “efficienti” secondo la fraseologia oggi più in uso nei giudizi degli insegnanti. Qualche giorno fa lo ricordava opportunamente Massimo Raffaelli alla tavola rotonda che si è tenuta alla Biblioteca nazionale di Roma per presentare la Storia dell’informazione letteraria in Italia (Feltrinelli) di un brillante decano della critica come Gian Carlo Ferretti e del giovane ricercatore Stefano Guerriero. Un libro importante, frutto di un proficuo confronto intergenerazionale e che viene a colmare una lacuna. Non che mancassero saggi e pamphlet su questo argomento. Basta pensare ad acuminati libri di Berardinelli come L’esteta e il politico (Einaudi) e Tra il libro e la vita (Bollati Boringhieri), oppure a La ragione in contumacia (Donzelli) di Massimo Onofri o al Dizionario della critica militante (Bompiani) di La Porta e Leonelli, ma anche a Il giornalismo culturale (Carocci) di Zanchini, solo per citarne alcuni. Nessuno di questi titoli però ha la completezza e l’esaustività di questa Storia dell’informazione letteraria. Che, nel ricostruire il lungo percorso che va dalla nascita della terza pagina nel 1905 sul Corsera ai giorni d’oggi, documenta acutamente tutte le trasformazioni e, non di rado, le degradazioni che ha subito il mondo culturale italiano. In primis sotto la dittatura del fascismo e adesso, seppur diversamente, nel mercato unico dei monopoli editoriali. Una congiuntura che specie negli ultimi anni, scrivono i due autori, ha visto non solo la progressiva scomparsa dai giornali del ruolo della critica militante ma anche di quella più semplicemente di servizio al lettore. Entrambe sostituite da anticipazioni spettacolarizzate, interviste sdraiate, presentazioni para pubblicitarie e stellette. Nel frattempo, va detto, avanza la critica “fai da te”, nei blog, nei social network, in siti come Anobii dove i lettori intervengono direttamente per esprimere un proprio giudizio. Segnali che qualcosa sta cambiando in questa Italia che, rispetto al resto d’Europa, legge poco o niente? Se da un lato questi fenomeni testimoniano una crescita dei lettori, come rileva Guerriero, dall’altro, nota Filippo La Porta, «sono l’esempio di una critica esclamativa», che più che sviluppare una riflessione, «agisce un riflesso». Quello che serve oggi è, soprattutto, «far parlare chi ha veramente competenza ed esperienza», dice Marino Sinibaldi di Fahrenheit. Di fronte a una produzione editoriale smisurata e massificata serve «un’ecologia del selezionare, tornare a saper cernere ciò che è importante», spiega il conduttore di Radio Tre.
Il compito del critico, ribadisce da parte sua Paolo Mauri, «è sviluppare una riflessione calma e approfondita su libri “necessari”, che ti toccano dentro, che ti cambiano e che, alla fine, sono quelli che resteranno nella storia della letteratura». Non certamente, viene da pensare, i “cannibali” in voga negli anni Novanta. «Sono stati una pura invenzione del mercato editoriale – ricorda Mauri -, non sono mai esistiti come movimento e fra loro non si sono nemmeno mai visti in faccia». Ma neanche resteranno, ci permettiamo di aggiungere, i Baricco, le Tamaro, i Faletti e molti altri romanzieri che figurano nel top ten delle vendite italiane. Scrittori blockbuster che nel loro libro Ferretti e Guerriero, giustamente, trattano come fenomeno di costume, più che come fatti letterari. Diverso, invece il caso Roberto Saviano e del suo Gomorra. «Si tratta di uno scrittore-personaggio per necessità, come Rushdie», annota Ferretti. E dal vivo, commentando le feroci critiche a Saviano di un intellettuale certamente non di destra come Alessandro Dal Lago nel suo Eroi di carta (il Manifestolibri) Guerriero aggiunge: «Non si può trascurare che Saviano difende il ruolo della parola anche in senso civile. è uno di quegli intellettuali che oggi supera il ruolo da “brigante di passo” che hanno esercitato in senso elitario tanti letterati nel Belpaese». «Credo che Saviano sia un intellettuale che svolge un lavoro molto importante – aggiunge Mauri -. Un lavoro di denuncia che oggi risulta scomodo, di disturbo alla politica». Anche a certa critica di sinistra? «Ma la sinistra in Italia non c’è più!», stigmatizza il direttore delle pagine culturali di Repubblica. «Bisogna avere il coraggio di dirlo, quella che rimane è una sinistra litigiosa o erede dei democristiani». E in tutto questo il giudizio di Dal Lago su Saviano? «Inaccettabile, tanto più in questo momento, proprio quando Berlusconi lo ha pesantemente attaccato».
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