Hartung e i libri dei lampi
Posted by Simona Maggiorelli su agosto 21, 2009
di Simona Maggiorelli

Hans Hartung, Oeuvre ultime
“Blitzbücher, libri di lampi”. Così da bambino Hans Hartung chiamava quei quaderni in cui, per vincere la paura dei temporali, disegnava saette. «Non mi sono mai lasciato chiudere nel corridoio… ormai volevo vedere. Meglio: disegnavo. Su uno dei miei quaderni di scuola coglievo al volo i lampi che apparivano», raccontava di sé Hartung già anziano. «Dovevo aver terminato di tracciare il loro zig zag sulla pagina prima dello schianto del tuono. Niente poteva accadermi se il mio segno era veloce quanto il lampo».
Un gioco, una gara, una piccola scaramanzia. Ma intanto nel giovanissimo Hartung (1904-1989) prendevano forma quelle che sarebbero state le sue due grandi passioni: l’arte e la scienza. Due ambiti che l’artista tedesco per tutta la vita cercò di fondere, praticando i campi più diversi del sapere. «Hartung era estraneo alle mode e al tempo stesso capace di esplorare i più diversi territori creativi, spaziando dalla ricerca scientifica all’astronomia, dalla fotografia al cinema, dalla pittura all’architettura», ricostruisce il presidente della Triennale di Milano, Davide Rampello, nel catalogo che accompagna la mostra L’oeuvre ultime aperta fino al 18 ottobre nella caserma Cosenz di Gaeta.
Le opere di questo ultimo periodo sono soprattutto quadri di grandi dimensioni dipinti con colori solari e percorsi dal movimento continuo di linee che sembrano tracciare trattorie di satelliti immaginari, libere da ogni calcolo matematico. Nei quadri realizzati negli ultimi anni di vita Hartung seppe ritrovare uno slancio vitale, creativo, sotto molti aspetti davvero sorprendente. «In realtà aveva attraversato un lungo periodo di immobilità totale», racconta il gallerista Antonio Sapone che per primo espose queste grandi tele a Nizza negli anni Sessanta e ora è il deus ex machina della mostra di Gaeta. Ma del tutto inaspettatamente qualcosa nel mondo interiore dell’artista si mosse: «Un bel giorno – prosegue Sapone – Hartung si è svegliato chiedendo di scendere con la sua sedia a rotelle fino al suo studio. Succedeva nella sua casa di Antibes, diventata in seguito la Fondazione Hartung Bergman. Ero lì. Vidi il suo sguardo meravigliato davanti agli strumenti e ai pennelli. Uno sguardo simile a quello di un bambino che scopre un regalo atteso a lungo». E diversamente dal segno drammatico che la sua pittura aveva avuto dopo la grande guerra, il gesto pittorico era fluido, leggero, vibrante. Aggiungendo così un ultimo poetico capitolo a quella personalissima strada nell’informale che Hans Hartung aveva saputo tracciare fin dagli anni Venti, anticipando molte intuizioni dell’Action painting americana, senza cadere nel nichilismo che contrassegnerà drammaticamente la vita e l’arte di Pollock e degli artisti che si ispirarono alla sua opera.
da left -avvenimenti 21 agosto 2009
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