Ferlinghetti bombarda Genova
Posted by Simona Maggiorelli su luglio 4, 2002
L’intervista. Centomila poesie scritte su volantini sono stati lanciati dalla terrazza più alta di Palazzo Ducale. Per un giorno intero versi brucianti, su quanto è successo un anno fa, planano sulle case, sugli uffici, sui marciapiedi della città. Il poeta beat spiega come nasce l’idea del festival internazionale di poesia di Genova di Simona Maggiorelli
Erano firmate da nomi di spicco del canone occidentale, ma anche da Ferlinghetti, Jodorwsky, e poi da Pozzani e Giannini, i poeti che hanno inventato il festival internazionale di poesia di Genova. “Poesia di strada, come azione concreta di comunicazione”, “poesia come mezzo per scuotere le coscienze”. Erano i motti del poeta “beat” Lawrence Ferlinghetti già più di quarant’anni fa. E ora, questi vecchi slogan tornano ad avere un senso, o almeno a cercare una nuova verifica nella realtà concreta di una Genova che non sembra aver ancora portato alla luce tutti i suoi cadaveri. Di acqua sotto i ponti, certo, ne è passata dal quel 1919 quando Ferlinghetti nacque in America da madre ebrea e da padre italiano, battitore d’aste Oltreoceano. La storia anni’30 e ’40 racconta di un ragazzo costretto a trascorre diversi anni in orfanotrofio e che un giorno scopre, abbastanza per caso, i romanzi di Hemingway, di Dos Passos, di Miller. Uno schiudersi di sguardi su un nuovo mondo, una finestra su universi raccontati dalla poesia e della letteratura. “Forse non sono cambiato da allora – ammette Ferlinghetti, in Italia per questa insolita avventura di “rivoluzione poetica” genovese ma anche per gli stretti rapporti che lo legano alla libreria di Firenze, unica succursale mondiale della mitica City Lights di San Francisco prima casa editrice di Allen Ginsberg. “Credo ancora che la poesia, l’arte possano essere un modo per toccare in profondità racconta Ferlinghetti – un mezzo certamente non violento ma che può provocare sommovimenti profondi”. Gli fa eco la “carta” ufficiale del movimento di rivoluzione poetica presentato a Genova nei giorni scorsi a bordo di una nave. “Ci rivogliamo – recita il manifesto – a tutti quelli che credono che sogni e quotidiano debbano danzare insieme”, già prefigurando e mettendo in cantiere altri bombardamenti poetici sulla Borsa di New York e sulla sede Ue di Bruxelles. “Questo manifesto di Genova rappresenta un risveglio per i poeti del mondo – dice Ferlinghetti – e spero che sia un risveglio per Genova, per Bruxelles, per la Francia e che risvegli tutti gli intellettuali addormentati degli Stati Uniti”.
Parole importanti, ci spieghi meglio…
“Oggi la civiltà occidentale è in declino, perché si è lasciata dominare dalla monocultura americana di oggi”.
Ha in mente un passato più democratico o più vivo della cultura amercana?
“Mi sentirei di dire, per averli vissuti, che negli anni Sessanta negli Usa c’era coscienza politica e poetica, ma è anche vero che quella rivoluzione politica che noi alimentavamo poi ha abortito. E il risultato è che oggi siamo immersi in un disastro tragicomico”.
Quali strategie potremmo utilizzare per rimettere in movimento, per scuotere l’opinione pubblica, che sembra da qualche anno ormai sempre più acquiescente ai poteri forti, disposta ad accettare le bugie di chi promette milioni di posti di lavoro, demagogici abbassamenti delle tasse, mentre sotto banco toglie ogni ammortizzatore sociale?
“Sono davvero sempre più convinto che uno degli strumenti sia la poesia, perché i poeti, se sono veramente tali, non sono compromessi, sono puri e rappresentano davvero una speranza”.
Ma non crede che di questi tempi di culto della produttività, in questi anni di storia basati sull’utile e sul guadagno la parola poesia rischi l’incomprensione?
“Di più, rappresenta un modo di essere e di sentire assolutamente bandito dalle società in cui viviamo. L’altra parola dimenticata e ostracizzata è “socialismo”, nel suo senso originario. C’è un anatema contro quest’idea, socialismo è diventato una parola tabù, negli Stati Uniti e in gran parte dell’Occidente non puoi nemmeno pronunciarla, perfino fra le persone che si dicono di sinistra”.
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