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Il vero volto di Cleopatra

Pubblicato da: Simona Maggiorelli su novembre 15, 2013

Cleopatra

Cleopatra

Conosceva molte lingue, e aveva una forte personalità. Ma dopo la sconfitta ad Azio da parte di Ottaviano, Cleopatra la regina d’Egitto, subì un feroce attacco alla sua identità, le sue capacità politiche furono negate e la sua femminilità fu direttamente colpita dalla storiografia augustea. Un dittico di mostre a Roma permette di ricostruire la verità storica

di Simona Maggiorelli

Roma riscopre la propria vocazione archeologica e alcuni capitoli di storia antica finalmente liberati dalla retorica fascista. Come è stato giustamente notato, solo un anno fa, un’esposizione dedicata all’imperatore Augusto e al lungo percorso che lo portò al potere avrebbe avuto il sapore di un’esaltazione della romanità di marca fascista.

Il cambio di governo in Campidoglio, se non altro, ha sgombrato il campo da ogni ombra di retorica mussoliniana e i curatori della mostra Augusto (aperta fino al 9 febbraio 2014, catalogo Electa) non esitano a dire: «Con questo evento vogliamo invitare il pubblico a conoscere la storia romana, e quella di Augusto per quella che è stata, fra luci e ombre, liberandola da ogni lettura ideologica». Così Annalisa Lo Monaco, curatrice della mostra insieme a Eugenio La Rocca, Claudio Parisi Presicce, Cécile Giroire e Daniel Roger.

E’ particolarmente interessante è, ai nostri occhi, che questa retrospettiva dedicata ad Augusto -che riunisce pezzi sparsi fra varie collezioni a Roma , a Parigi e a Londra e che termina con un monumentale bassorilievo sulla battaglia di Azio – si possa vedere alle Scuderie del Quirinale, mentre in un’altra zona del centro storico romano è aperta una mostra archeologica dedicata a Cleopatra e che racconta quello stesso episodio: la sconfitta di Antonio e Cleopatra ad Azio, nel 31 a.C. ad opera delle flotte di Ottaviano

. Ma stavolta dal punto di vista opposto, ovvero da quello della regina egiziana che per evitare l’onta di essere fatta prigioniera e trascinata in trionfo da Ottaviano scelse il suicidio. Una morte, si tramanda, causata dal morso di un aspide, animale divino secondo la tradizione egizia. Giovanni Gentili curatore della mostra Cleopatra Roma e l’incantesimo dell’Egitto (fino al 2 febbraio 2014, catalogo Skira) ha trasformato le sale scure e ovattate del Chiostro del Bramante in un prezioso scrigno di immagini di un Egitto esotico e seducente. Bassorilievi, statue, papiri iscritti e mosaici, molti dei quali ritrovati nelle ville patrizie vesuviane e romane, mostrano vivaci scene di gare acrobatiche sulle rive del Nilo, tuffatori atletici che sfidano i coccodrilli e poi statue di divinità egizie, sfingi e ritratti di Cleopatra come Iside, in un tripudio di alabastri, marmi, oro e gemme. Si racconta che Cleopatra si fosse mostrata per la prima volta ad Antonio solo vestita di gioielli sulla prua di una imbarcazione dalle vele rosse. Certo è che la regina amava lo stile e l’eleganza orientale come si evince dalla vera e propria egittomania che la sua presenza a Roma (nel ‘46 a C. quando era ospite di Cesare a Trastevere) scatenò fra le matrone romane assai diverse dalla colta e carismatica Cleopatra.

Figlia del re Tolomeo XII Aulete ( “il flautista”) aveva ricevuto una raffinata educazione greca, parlava otto lingue, e aveva un notevole statura politica. Ma come ricostruisce bene questa mostra romana, Ottaviano lavorò per infangarne la memoria e attaccarne l’identità femminile e l’immagine pubblica. La storiografia augustea denigrò le sue capacità diplomatiche e politiche, rappresentandola con tratti virili e dipingendola come oltremodo lussuriosa (per questo Dante la immaginò all’inferno). Uno stravolgimento che ben presto diventò vera e propria damnatio memoriae.

dal settimanale Left-avvenimenti

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Una Marinella praticamente porno

Pubblicato da: Simona Maggiorelli su dicembre 2, 2009

Tutto Faber on the road concerto per concerto. In un nuovo libro curato da Elena Valdini per Chiarelettere

di Simona Maggiorelli

Tourbook Chiarelettere

«Da sei anni svuoto scatole, sacchetti e sacchettini e mentre svuoto, leggo fogli e foglietti con appunti di canzoni, pensieri sparsi, numeri di telefono…autografi dal tratto lindo della trascrizione in stampatello o nati dal cortocircuito delle idee, sicché ormai distinguo la grafia dell’elaborazione da quella dell’urgenza…E’ Dori a portarli direttamente qui in Fondazione da quando la famiglia ha accettato di creare all’Università di Siena il fondo De André. Così il mio lavoro è anche quello di preparare ogni foglio per il suo viaggio in Toscana… leggo e mi perdo; staziono, riemergo e riordino. Poi metto tutto in una bella busta e saluto…».

Comincia così il lungo percorso a tappe di Tourbook, Fabrizio De André 1975-1998 (Chiarelettere,470 pagine,59 euro), il volume in cui Elena Valdini ricostruisce punto per punto i concerti dal vivo del cantautore genovese lungo un arco di più di vent’anni, raccogliendo una messe incredibile di scritti autografi, biglietti,locandine,articoli di giornale. Un pazzesco lavoro d’archivio,il suo: meticoloso, attento, come può esserlo quello di una giovane laureata in storia contemporanea e innamorata della ricerca. Un lavoro dipanato in centinaia di pagine, scritte con piglio leggero, da cui riemergono dimenticati flash di storia ma anche fotogrammi di un De André intimo. In cui si racconta, per esempio, la facilità e il piacere che il cantautore aveva nell’improvvisare dal vivo, ma anche della sua inveterata paura del palco. Così se tante volte, anche all’ultimo, annullava i concerti lamentando fantomatici mal di gola, di fronte al pubblico borghese e modaiolo de La Bussola versiliese De André fu capace di improvvisare una cruda e durissima versione de “La canzone di Marinella”, tanto che un giornale titolò scandalizzato: “Una Marinella praticamente porno”. Aspetti privati, ma anche di storia italiana del costume che Elena Valdini ha usato come pezzi di un puzzle per costruire questo suo originale Tourbook, fatto di parole e immagini. La Fondazione Fabrizio De André onlus le ha aperto gli archivi e personalmente Dori Ghezzi le ha messo a disposizione i suoi ricordi perché,lei dice, «Fabrizio è di tutti». E’ nato così questo insolito viaggio in Italia in cui, capitolo dopo capitolo, Elena Valdini non solo rintraccia e racconta le performance del cantautore genovese collazionando le cronache del tempo ma soprattutto raccoglie dal vivo le testimonianze di musicisti e amici che con lui condivisero la vita on the road.

«La sera del 23 luglio 1998 una tonda luna avrebbe illuminato il palco dell’anfiteatro comunale di Nuoro su cui Fabrizio De André si stava esibendo – scrive Elena Valdini in Tourbook – al punto di catalizzare ancora oggi il racconto di quella serata…a parte questo non c’era modo di capirne altro. Una sintesi insolita perché chi me ne ha parlato non solo è uno spettatore attento, ma anche un abile narratore, di quelli che non si accontentano di usare la retorica del cielo e rifuggono dai facili sentimentalismi». L’anomala combinazione del racconto ha incuriosito Elena al punto da decidere di volare in Sardegna «per provare a capire il significato di quella luna tonda». Scopriremo poi che quei narratori speciali si chiamavano Pierangelo Bertoli e Tazenda, storico gruppo etnopop della Sardegna. Altrove nel libro troviamo la voce degli scrittori Stefano Benni e Diego De Silva, di Cesare B. Romana che per Sperling & Kupfer ha scritto la biografia Fabrizio De André l’amico fragile, ma anche quelle di Giorgio Gori, di Mario Ricci e di Bepi Morgia, che come l’autore de “La buona novella” veniva dalla Genova “bene” e poi, attraverso l’esperienza dell’anarchia, era approdato alla musica e allo spettacolo del vivo, a fianco prima di Baglioni e poi, con un bel salto culturale, di Fabrizio. E non solo. Uno spicchio di storia inedita viene anche da Eugenio Finardi che nel suo contributo al libro ricorda i lunghi viaggi silenziosi di un tour in cui lui faceva musicalmente da spalla. «In macchina perlopiù parlavamo dei nostri figli, quasi mai di musica. Eravamo entrambi molto timidi» ricorda l’autore di Musica ribelle. Un episodio apparentemente marginale ma che ci dà la misura di quale fosse il “modo” di De André che «non voleva essere ingabbiato nel personaggio né nella professione di cantante», ma ci dice anche di quanto fosse differente, vent’anni fa, il mondo della musica. «Allora i cantautori e i musicisti erano persone reali, raggiungibili» commenta Elena Valdini che Terra ha raggiunto telefonicamente in Fondazione De André.Ed è curioso sentire lei parlare di quella stagione culturale con tanta passione, lei che è nata nel 1981 e che le canzoni di De André le ha conosciute con le ninne nanne che le cantava sua madre. «In realtà – confessa – dopo aver dichiarato il mio amore in alcuni scritti che erano piaciuti a Dori Ghezzi come Volammo davvero uscito per Rizzoli e Il suono e l’inchiostro (Chiarelettere) è stata lei a spingermi a impegnarmi in questo lavoro: “proprio tu che non mai visto Fabrizio dal vivo, mi ha detto, prova a vederlo». Il punto era fare una ricostruzione di quei lunghi anni di concerti in una chiave nuova, fresca, che potesse parlare al pubblico giovane di oggi. «In tutte le sue iniziative del resto- nota Elena Valdini- la Fondazione De André non è mai andata nella direzione della costruzione di un monumento». E se Elena dice di aver sempre pensato Fabrizio De André come «uno dei più importanti intellettuali del Novecento»,dall’altra parte ammette che per lei, fin dall’adolescenza, è stato «un semplice compagno di viaggio per comprendere le cose del mondo, grazie a quella maniera che aveva di proporle senza saccenza, aiutandoti a sviluppare un tuo sguardo critico».

Ed è stata questa la molla che alla fine ha spinto Elena, armata di taccuino, a mettersi davvero in viaggio, percorrendo in lungo e in largo la penisola. Uno spirito e un fiuto da cronista che l’ha portata anche a cercare un personaggio del tutto estraneo al mondo della canzone come il leader Radicale Marco Pannella. «L’ho incontrato chiedendogli di aiutarmi a ricostruire la data precisa di un concerto che Fabrizio De André tenne in piazza Navona a Roma – ammette Elena -. E mai mi sarei mai aspettata che venisse fuori quello straordinario racconto che Pannella mi ha regalato di quel 3 giugno 1975 e che ho ripreso nel libro». Furono una giornata e una serata per molti versi davvero speciali quelle in cui Dori Ghezzi e Fabrizio De André si trovarono a parlare con Marco Pannella, Adele Faccio e «la neoarruolata» Emma Bonino. Il concerto era stato organizzato dal Partito Radicale e, come racconta lo stesso Pannella in Tourbook «Fabrizio cantò un bel po’in quella nostra serata di diritti civili». E poi rivolgendosi alla giovane intervistatrice aggiunge:«Vedi,la cosa meravigliosa è che lui cantava quello che noi cercavamo di far vivere…».

E se per il leader radicale le parole in comune con De André erano quelle della non violenza gandhiana, Elena che ha quasi cinquant’anni di meno aggiunge:«le parole che mi hanno sempre colpito di quegli anni sono partecipazione e autenticità. E poterle riscoprire attraverso questo viaggio mi ha molto emozionato. Non vorrei apparire nostalgica, ma andare a rivedere quei giorni tentandone un’analisi per noi che siamo nati negli anni Ottanta quando il clima culturale era tutt’altro significa anche poter realizzare che c’è stato un tempo in cui quelle parole, partecipazione e autenticità, significavano una cosa concreta e finalmente poterci dire oggi: allora si può fare».

Dal quotidianto Terra del 6 dicembre 2009

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