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Il ritorno di Confucio

Posted by Simona Maggiorelli su settembre 13, 2012

L’antico filosofo stigmatizzato da Mao come zavorra conservatrice è al centro di un sorprendente revival. La sinologa Anne Cheng denuncia le ragioni strumentali di questa riscoperta da parte del think thank del Partito

di Simona Maggiorelli

Festa per il compleanno di Confucio in Cina

Una statua di Confucio, un paio di anni fa spuntò improvvisamente in un luogo istituzionale e denso di scure memorie come piazza Tian’ammen, nel 1989 teatro della rivolta studentesca che il governo cinese represse nel sangue. Nel frattempo, anche nelle università cinesi si è ripreso a studiare Confucio e sono usciti nuovi lavori accademici per cercare di ricostruire filologicamente l’ancora incerto corpus delle opere di questo pensatore vissuto 2500 anni fa. Sul quale abbiamo poche informazioni sicure visto che la sua biografia fu scritta quattro secoli dopo la sua morte.

Ma oltre a dotte iniziative editoriali in Cina si segnalano anche film da blockbuster, sceneggiati e siti web dedicati a questa leggendaria figura e instant book che dispensano “pillole di saggezza” confuciana. Così nel Paese di Mao che aveva stigmatizzato Confucio come zavorra conservatrice, mettendolo al bando, si assiste più che a una riabilitazione a un vero e proprio revival. Non solo fra i ricchi imprenditori cinesi che troverebbero nelle pagine dell’antico studioso un rimedio allo stress di una vita frenetica all’insegna del motto «arricchirsi è glorioso» coniato da Deng. Ma anche fra un più ampio e indifferenziato pubblico questo maestro della misura, della ricerca di armonia e della morale tradizionale ha ripreso ad esercitare un forte appeal come dimostrano i milioni di copie vendute di alcuni libri come La vita felice secondo Confucio (pubblicato in Italia da Longanesi) della quarantenne consulente televisiva Yu Dan.

Un fenomeno così macroscopico e in controtendenza, dopo anni di svalutazione e ostracismo di Confucio (da Max Weber a Mao) che non può certo essere sfuggito all’occhiuto governo della Repubblica popolare cinese. La specialista di Confucio Anne Cheng, autrice di una Storia del pensiero cinese (Einaudi) tradotta in molte lingue venerdì 14 settembre sarà al Festivalfilosofia di Modena proprio per parlare di questo tema.

la sinologa Anne Cheng

Riguardo alla «febbre confuciana» che si registra oggi nell’Impero di mezzo, Cheng ha un’idea piuttosto interessante, ovvero che il governo cinese sia il vero deus ex machina di questa riscoperta. Dopo il fallimento della rivoluzione culturale (1966-1976) e di fronte alle pretese egemoniche dell’occidente industrializzato, il Partito comunista cinese (Pcc) ha promosso nell’ultimo trentennio un assiduo lavoro di ricerca degli “antecedenti”, delle radici cinesi che affondano nella storia antica, attraverso il restauro di edifici storici e il recupero di modelli filosofici autorevoli da contrapporre a quelli di un Occidente che, ancora a fine Novecento, pareva vincente su scala globale.

È in questo contesto che la vulgata confuciana passata indenne da una dinastia all’altra nel lungo medioevo cinese, improntando per secoli la vita politica e culturale del Paese ma anche il suo competitivo sistema scolastico, d’un tratto è tornata nuovamente “comoda” al potere. Tanto più nella congiuntura degli ultimi trent’anni, fra rapida crescita economica e “capitalismo di Stato”.

Così proprio mentre in Europa e negli Usa il capitalismo cominciava a mostrare un risvolto di disgregazione sociale, di edonismo e individualismo, spiega Anne Cheng, alcuni valori della tradizione confuciana come il senso del dovere, il rispetto della famiglia e dell’autorità, il lavoro assiduo, lo studio, la disciplina, insieme alla ricerca di armonia con l’ambiente, si sono rivelati strumenti utili per cercare di compattare un’identità nazionale sottoposta alle spinte centripete di un vertiginoso avanzamento economico e schiacciata da un mancato sviluppo democratico.

Una stampa che rappresenta Confucio

E ancora oggi capita che l’espressione «creare una società armoniosa» sia fra le più usate e abusate dall’apparato di partito ossessionato dall’ordine e dalla stabilità si Stato. Nelle sue lezioni al Collège de France (che si possono riascoltare sul sito http://www.college-de-france.fr) Anne Cheng fa un’approfondita disamina di questo “saccheggio” del vocabolario confuciano «in chiave visibilmente autoritaria, piegando il concetto di “società armoniosa” verso un’idea paternalistica delle relazioni fra governanti e governati». E non si tratta della prima volta per questo pensatore cinese del V secolo a.C.

Nei suoi studi Anne Cheng ha ricostruito la secolare storia degli usi ideologici e delle contraffazioni del pensiero confuciano, del resto – come accennavamo – non facile da restituire alla sua forma originale. Come scrive Maurizio Scarpari in Confucianesimo (Einaudi) la tradizione testuale delle opere del Nostro è assai ingarbugliata e lungo venticinque secoli di storia soggetta a continui rimaneggiamenti. Opere come I dialoghi  di Confucio  e I detti  composti dai suoi discepoli (nel 2006 pubblicati da Adelphi in nuova edizione), si sono strutturate nel tempo come uno stratificato palinsesto, in cui si può riscontrare l’eco di molte voci diverse e riscritture. Ma anche importanti scoperte archeologiche che in Cina negli ultimi decenni hanno portato alla luce una serie di frammenti di testo che sono simili a quelli de I dialoghi, hanno obbligato gli studiosi a rivedere  e ad analizzare più a fondo la natura del testo confuciano fatto di assemblaggi e di unità mobili. Al Festivalfilosofia di Modena la sinologa Anne Cheng traccerà anche un bilancio dei risultati di questi studi e di queste scoperte.

da left-avvenimenti  8-14 settembre

Una Risposta to “Il ritorno di Confucio”

  1. Kim said

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